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Pubblichiamo questi due interessanti articoli di Pierre Rousset che fa il punto su alcune questioni legate alla situazione cinese, nel quadro più ampio della evoluzione e dei problemi del capitalismo mondiale. (Red)

Le difficoltà della deglobalizzazione

La globalizzazione felice (per il capitale) appartiene al passato remoto. Ad essa è succeduta la crisi della deglobalizzazione, che ha aperto la strada a conflitti geopolitici tra gli stati e a parziali ripiegamenti protezionistici. Tuttavia, non è facile liberarsi dalle interdipendenze create dalla formazione di un unico mercato mondiale e dall’internazionalizzazione delle catene di produzione.
Queste interdipendenze sono ancora molto vive, mentre altre questioni, come la guerra e il riscaldamento globale, si impongono all’attenzione dei governi.

L’equilibrio di potere con gli USA

I primi segnali di Donald Trump sono ambivalenti. Ha nominato in posti chiave degli accaniti oppositori di Pechino, ma ha sospeso il divieto di TikTok. E cosa dobbiamo pensare di Elon Musk, un importante investitore e sostenitore di Xi Jinping che ha proposto un piano per risolvere la questione di Taiwan a vantaggio di Pechino (l’uomo più ricco del mondo si concede tutto il diritto di interferire)?
Xi Jinping deve avere difficoltà a prevedere se un accordo sarà auspicabile e possibile con Trump – per una volta lo capiamo. È un segno il fatto che la sua politica rimane molto cauta sul fronte valutario? I tempi erano maturi per rafforzare il ruolo internazionale dello yuan, ma per il momento non se ne sta approfittando.
Il braccio di ferro tecnologico e commerciale tra le due potenze è in corso e potrebbe portare all’imposizione di un duopolio sino-statunitense sul mondo o, al contrario, a un confronto armato. Gli Stati Uniti rimangono dominanti nella sfera militare, così come nei semiconduttori avanzati. Chiedono che il campione olandese dei chip per l’intelligenza artificiale, Nvidia, smetta di fornire i suoi prodotti di alta gamma alla Cina.
Nonostante i massicci sussidi alla ricerca, le aziende cinesi non sembrano in grado di recuperare il ritardo in questo settore cruciale. Di conseguenza, Pechino minaccia di bloccare l’esportazione negli Stati Uniti di diversi metalli essenziali per la produzione di semiconduttori (gallio, germanio, ecc.).

Tra l’Europa occidentale e Putin

L’influenza della Cina si estende in lungo e in largo, dall’Africa all’America Latina, ma ciò non sostituisce i legami con i paesi capitalisti sviluppati. L’accesso agli Stati Uniti sarà probabilmente limitato. Di conseguenza, Xi Jinping potrebbe rivolgersi all’Europa occidentale, all’Australia e alla Corea del Sud – ma poi c’è la guerra in Ucraina condotta dal suo amico Putin, alleato della Corea del Nord!


È giunto il momento di sacrificare questa incrollabile amicizia? Difficile, in un momento in cui il riscaldamento globale apre le regioni polari allo sfruttamento e alle comunicazioni marittime. Pechino non è un paese confinante con l’Artico e ha bisogno di Mosca per partecipare alla grande partita strategica che si sta giocando in questa regione, in un momento in cui Donald Trump vuole impossessarsi della Groenlandia!

Il destino del mondo dipende in parte da leader come Donald Trump e Xi Jinping, il che non è affatto rassicurante. Al caos dall’alto, opponiamo l’internazionalismo dal basso.

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Crisi e peculiarità del capitalismo cinese

Secondo i dati ufficiali pubblicati il 17 gennaio, il prodotto interno lordo (PIL) della Cina sarebbe cresciuto del 5% nel 2024 e l’obiettivo fissato da Xi Jinping sarebbe stato raggiunto, come (quasi?) sempre.

Tuttavia, a dicembre, alcuni economisti cinesi “importanti” avevano espresso seri dubbi al riguardo; tra questi, Gao Shanwen, che stimava la crescita a circa il 2% – prima di essere severamente punito. In effetti, dopo la crisi del Covid-19, le misure di stimolo non hanno permesso il ripristino dei consumi. Il paese sta attraversando una crisi di sovrapproduzione. Il divario tra una domanda interna debole e un marcato aumento delle esportazioni è in continua crescita.

Mutazione capitalista inceppata

La Cina, seconda potenza economica mondiale, è diventata una componente importante dell’ordine capitalista internazionale, ma la sua struttura sociale rimane molto complessa, segnata da una storia specifica. Come sottolineano il mio amico Au Loong-yu o Romaric Godin su Mediapart del 24 settembre, bisogna tenere conto delle caratteristiche proprie del capitalismo cinese per capire come il paese sia confrontato oggi con le stesse difficoltà dei paesi occidentali avanzati (sovraccapacità industriale, esaurimento della finanziarizzazione, limiti della crescita tecnologica per riprendere i termini di Godin), mentre non ha ancora completato la sua trasformazione, avviata da Deng Xiaoping dopo lo schiacciamento del movimento operaio, studentesco e popolare nel 1986.
Il completamento di questa trasformazione capitalistica è ostacolato dal peso a tutti i livelli dell’apparato burocratico, dalla corruzione sistemica e dalle modifiche del potere introdotte da Xi Jinping quando ha deciso di diventare presidente a vita: maggiore emarginazione delle strutture governative e fine della collegialità nella direzione del PCC a favore del suo unico gruppo. La collegialità era una garanzia di continuità e un freno. La grande differenza tra il processo di piena reintegrazione della Russia e quello Cina nel mercato mondiale è che a Pechino c’era un pilota efficace ai comandi dell’aereo. Questo successo è soprattutto quello dei tre predecessori di Xi, piuttosto che quello di quest’ultimo.

Debiti, corruzione e stagnazione

Lo scoppio della “bolla immobiliare”, con il fallimento del gigante Evergrande nel 2021, illustra il ruolo dei legami, spesso familiari, tra pubblico e privato nel sistema capitalista cinese. Se questa crisi ha assunto tali proporzioni è perché a ogni livello c’è stata collusione tra i burocrati al potere e i loro parenti nel settore privato per moltiplicare gli investimenti, fonti di profitti legali e illegali. Le sue conseguenze sono profonde a causa del peso dei debiti accumulati, ma anche delle conseguenze sociali. Xi Jinping si rifiuta di attuare una politica di protezione sociale. Per prepararsi alla pensione e provvedere alle spese sanitarie (a pagamento), molti cinesi modesti hanno acquistato appartamenti sulla base di progetti che poi non sono mai stati costruiti oppure per finire sono andati ad abitare in città rimaste in gran parte fantasma.

I genitori ora temono che i loro figli vivano peggio di loro. La disoccupazione giovanile è molto alta e i diplomi non garantiscono più l’accesso a un lavoro dignitoso. La popolazione si sta impoverendo e deve risparmiare in vista di un futuro molto incerto. Harold Thibault, in un reportage apparso su Le Monde dello scorso 9 gennaio, descrive i negozi e i ristoranti deserti dai “declassati del consumo”. Xi Jinping esorta la popolazione a dimostrare resilienza prima che l’economia si riprenda, ma le aziende sono soggette a una concorrenza feroce che le porta a tagliare su tutto.
Il desiderio di potere assoluto rende paranoici. Xi Jinping mette in carcere uomini d’affari, “disciplina” la finanza, epura ripetutamente l’apparato del partito, lo stato maggiore dell’esercito, i servizi segreti… La Cina rimane un mercato che non può essere ignorato, ma investirvi è diventato un gioco rischioso, che lascia perplesso il capitale internazionale. Si può parlare di una vera e propria crisi di regime dagli scossoni imprevedibili.

*articoli apparsi su L’Anticapitaliste il 30 gennaio 2025