Apprendiamo con sconcerto che al Festival di Sanremo, nella serata dedicata alle cover, verrà portata anche la canzone “Bella stronza” di Marco Masini. Non conoscendo il testo della canzone, molti commenti si soffermano superficialmente sul titolo, come se il problema fosse l’epiteto “stronza” in sé, mentre all’interno di quel testo c’è molto, molto di più. Molto di peggio.
Se ha suscitato giuste polemiche e indignazione l’ingaggio (poi revocato) del rapper Tony Effe per lo spettacolo di Capodanno di Roma Capitale, non meno indignazione dovrebbe suscitare il fatto di proporre ai milioni di persone che seguiranno il Festival di Sanremo sulla televisione pubblica italiana (al di là dei gusti personali è un dato di fatto) l’ascolto di una canzone il cui testo era pesante già 30 anni fa quando è uscita e a maggior ragione lo deve sembrare dopo tutto il lavoro che è stato fatto per denunciare il legame tra linguaggio sessista e misogino e la violenza sulle donne che ha dati incontrovertibili e riscontrati (senza contare il sommerso, il non denunciato) che ad esempio ogni Centro Antiviolenza può fornire.
In questa canzone, oltre alla sequela di insulti sessisti (che essenzialmente girano con poca fantasia intorno al concetto di prostituzione) rivolti a una donna che lo ha lasciato, ci sono riferimenti espliciti a momenti di violenza e desiderio di stupro, con colpevolizzazione della donna: la donna in questione infatti è particolarmente stronza perché “hai chiamato la volante quella notte / e volevi farmi mettere in manette / solo perché avevo perso la pazienza”, cioè perché la donna terrorizzata ha chiamato la polizia per salvarsi dalla sua violenza. Un altro “verso” del “poeta” recita così: “Mi verrebbe da strapparti quei vestiti da puttana e lasciarti a gambe aperte finché viene domattina”.
Non a caso il “cantante” Fedez porta questa cover dedicandola pure lui alla sua ex, identificandosi 30 anni dopo nei sentimenti e nei pensieri del “maestro” Masini…
Questo teatrino potrebbero farlo nei loro concerti, ma no, questo teatrino fa invece gola alla Rai, sempre in cerca di “fenomeni” da dare in pasto al pubblico per stare al passo con il peggio di Mediaset (vedi Temptation Island?).
Quindi la Rai, servizio televisivo pubblico italiano, che allo scoccare del 25 novembre fa il suo compit(in)o con messaggi e proposte di palinsesto contro la violenza sulle donne, non riscontra nessuna contraddizione nel lasciar riesumare e proporre a milioni di spettatori un contenuto del 1995 così palesemente in contrasto con le campagne contro la violenza sulle donne e gli appelli a “denunciare al primo schiaffo”? Il servizio pubblico televisivo italiano desidera quindi coscientemente contribuire alla normalizzazione di contenuti e linguaggi sessisti, misogini e violenti in un Paese dove ogni anno più di 100 donne sono vittime di femminicidio?
Femminicidio, sì, l’omicidio di una donna in quanto donna, di una donna che ha detto no, che ha lasciato un uomo che non amava più, che non ha fatto quello che l’uomo si aspettava da lei… che è stata “stronza”, come la ex di Marco Masini che gli ispirò la canzone (e che si salvò la vita dal maltrattante chiamando la volante quella notte, verrebbe da pensare ? Viste le intenzioni espresse…).
Femminicidio: una parola che indica questa evidente specificità, ma che ha richiesto una lunga e tenace lotta delle donne per essere riconosciuta e che, ad esempio, in Argentina un presidente amico di Trump, di Musk e di Meloni vorrebbe cancellare.
Spiace constatare che tutto ciò accade nell’indifferenza generale, anche femminile.
Sul caso Tony Effe ci sono state inoltre prese di posizione molto ambigue e silenzi pesantissimi, dettati presumibilmente da interessi di casta discografici. Una pagina imbarazzante.
Vorremmo invece contribuire a sollevare la questione, suscitando l’indignazione e la protesta delle donne, delle femministe, magari organizzando dei presidi di denuncia davanti alle sedi Rai.
Nessuno ha impedito a Tony Effe, a Fedez o allo stesso Masini di fare i propri concerti; ciò su cui si riflette è il coinvolgimento, anche economico, di amministrazioni e istituzioni pubbliche che si rendono complici della diffusione di messaggi che vanno in netto contrasto in primis con il lavoro che le attiviste e i centri antiviolenza portano faticosamente avanti ogni giorno; in secondo luogo con tutto ciò che a parole le amministrazioni e le istituzioni stesse affermano di voler contrastare.
Crediamo quindi siano necessarie azioni visibili che esplicitino una forte indignazione nei confronti dell’atteggiamento della Rai, che si rende complice della diffusione di un linguaggio tossico, abusivo e criminale sulla pelle delle donne. Facciamoci sentire !
*articolo apparso su Sinistra Anticapitalista.