Le idee neoreazionarie, che combinano visioni libertarie e autoritarie della politica, stanno dilagando nelle galassie dell’estrema destra in un contesto di espansione delle nuove tecnologie che potrebbero trasformare l’umanità come la conosciamo. Elon Musk appare come un’espressione di queste forme di tecnoutopismo potenzialmente antidemocratico.
Preferireste che nel 2024 visitassero l’Argentina Papa Francesco o Elon Musk? Il “sondaggio” proposto su un account web dopo la vittoria del libertario Javier Milei alle elezioni presidenziali argentine del novembre 2023 ha avuto un risultato prevedibile: si trattava dell’account di un sostenitore del nuovo presidente, che ha definito Papa Francesco “un rappresentante del Maligno sulla Terra”. I suoi seguaci hanno espresso quasi all’unanimità la loro preferenza per il magnate di origine sudafricana, che ha elogiato Milei per il suo netto rifiuto dell’idea di “giustizia sociale”. Il Papa, che non è mai tornato in patria dalla sua nomina nel 2013, aveva accennato alla possibilità di recarsi in Argentina nel 2024, e anche il capo di Tesla ha espresso il desiderio di visitare Buenos Aires, che è diventata una nuova mecca per la destra radicale.
Perso tra le centinaia di milioni di post giornalieri, questo “sondaggio” può darci qualche indizio su come leggere la destra contemporanea, sulla sua estetica, sul suo linguaggio e sul suo carattere iconoclasta. La destra è tradizionalmente legata a vecchie gerarchie, ma queste vecchie gerarchie sono state erose da una diffusa crisi di autorità e da una crescente messa in discussione delle élite – non solo politiche, ma anche culturali e sociali – nello stesso momento in cui la nuova destra ha enfatizzato il suo aspetto “anti-sistema”.
In La rivolta del pubblico, l’analista statunitense Martin Gurri ha scritto: “Siamo stretti tra un vecchio mondo che è sempre meno in grado di offrirci sostentamento intellettuale, spirituale e forse anche materiale, e un nuovo mondo che non è ancora nato. Data la natura delle forze del cambiamento, potrebbero volerci decenni prima di rimanere bloccati in questa posizione sgraziata”. I punti di riferimento del vecchio regime, come i giornali e i partiti politici, continua Gurri, ”hanno cominciato a disintegrarsi sotto la pressione di questa collisione al rallentatore. Anche molte caratteristiche che apprezzavamo nel vecchio mondo sono in pericolo: per esempio, la democrazia liberale e la stabilità economica. Alcune di queste finiranno per essere distorte in modo permanente dalla tensione. Altre semplicemente scompariranno. Si tratta di una lotta tra l’autorità per il vecchio schema industriale che ha dominato a livello globale per un secolo e mezzo e il pubblico per la struttura incerta che si sforza di diventare manifesta”.
Da quale parte, allora, dobbiamo collocare le nuove destre estreme che pullulano in un Occidente che, come negli anni Venti, si sente nuovamente minacciato, in “decadenza”? Si tratta forse di destre legate all’“interregno” che il sistema globale sta attraversando, non ancora cristallizzato. Per lo storico Enzo Traverso, si tratta di un insieme di correnti che non hanno ancora finito di stabilizzarsi ideologicamente. Ciò che le caratterizza, scrive, “è uno specifico regime di storicità – l’inizio del XXI secolo – che spiega il loro contenuto ideologico fluttuante, instabile, spesso contraddittorio, in cui si mescolano filosofie politiche antinomiche”.
Si tratta, insomma, di destre che non hanno raggiunto il governo o che, avendolo raggiunto, non sono state in grado di attuare il loro programma massimalista; destre radicali che hanno modificato la scena politica occidentale ma che non l’hanno (ancora) ridisegnata, almeno non radicalmente. Nel frattempo, la collisione al rallentatore di cui parla Gurri ha anche eroso l’autorità dei chierici e degli intellettuali, alterato il modo in cui le persone leggono e discutono – e le idee circolano – e senza dubbio ha cambiato il modo in cui la realtà politica e sociale viene significata.
Le immagini dell’assalto al Campidoglio di Washington del 6 gennaio 2021 da parte di un’orda di insorti che contestavano il risultato delle elezioni americane hanno fatto il giro del mondo. Il mix di tonalità bizzarre, incompetenza strategica e pericolo effettivo ha evidenziato le emozioni insurrezionali che attraversano parte della nuova destra radicale. Il Campidoglio non è stato un fulmine a ciel sereno: nell’agosto 2020, una grande manifestazione a Berlino contro le restrizioni sanitarie nel contesto della pandemia di Covid-19 ha innalzato la bandiera della “libertà” e ha attirato una folla eterogenea di attivisti anti-vaccini, critici new age della medicina mainstream e sostenitori di teorie complottiste. Molti dei manifesti denunciavano la “dittatura del coronavirus”, e in effetti i sondaggi mostrano che molti tedeschi ritengono di vivere sotto una dittatura.
Verso la fine della giornata, diverse centinaia di manifestanti hanno tentato di occupare il Bundestag, il parlamento federale. Emblemi di gruppi neonazisti e del complotto Qanon e bandiere dell’ex Reich tedesco hanno formato un cocktail che ha generato una forte ansia nell’opinione pubblica tedesca. Più tardi è stata la volta di Roma, dove una manifestazione contro le restrizioni sanitarie è sfociata in un tentativo di assalto a Palazzo Chigi, sede del governo, e dopo scontri con la polizia, una parte dei rivoltosi ha impunemente attaccato la sede della Confederazione Generale Italiana del Lavoro. Le truppe del gruppo di ultradestra Forza Nuova hanno avuto un ruolo in queste proteste, ma ciò che rende sintomatica questa mobilitazione “insurrezionale” è stata la sua capacità di fondersi in un ampio stato d’animo anti-istituzionale e “anti-sistema”.
L’eccitazione di scendere in piazza e l’euforia di opporsi al “sistema” sembrano ora molto propensi a piegarsi a destra, o a essere catturati da correnti reazionarie radicali. Gli eventi “insurrezionali” appena citati sono stati caratterizzati anche da uno strano folklore – tutti ricordiamo l’immagine ormai immortale dello sciamano cornuto a Capitol Hill – e sembrano esprimere un nuovo tipo di anticonformismo, accentuatosi dopo la crisi del 2008 e, soprattutto, dopo il trionfo di Donald Trump nel 2016. Al di là di questi episodi più o meno incongrui, c’è qualcosa di più profondo e meno spettacolare, ma che non può non preoccuparci: l’emergere di figure e vettori di un nuovo senso comune, che esprimono nuove forme di trasgressione di destra, spesso sostenendo di ribellarsi al nuovo totalitarismo del “politicamente corretto”.
È banale constatare che l’estrema destra è all’offensiva in Occidente; lo è meno la conferma che il suo linguaggio e i suoi riferimenti sono cambiati, così come il pubblico a cui possono fare appello. Combinando variamente nazionalismo e antistatalismo, xenofobia e cenni alla comunità omosessuale (pur denunciando la “lobby gay”), negazionismo climatico ed ecofascismo, antisemitismo e sostegno entusiasta a Israele, le “destre alternative”, i cui contorni sono spesso porosi, incarnano una sorta di irriverenza “politicamente scorretta”, capace di sedurre una fascia di giovani stanchi della “banalità del bene” progressista e di quella che molti percepiscono come una predicazione paternalistica e inquisitoria.
Già uscite dai margini in cui si erano trovate nel secondo dopoguerra, le destre radicali cercano di spingere verso una rivoluzione culturale anti-progressista (una vera e propria controrivoluzione culturale, secondo le parole della destra ungherese e polacca), navigando nella crisi dell’idea di futuro e nell’inflazione imperante delle distopie, lontane dai movimenti degli “indignados” dei primi anni 2000 e più vicine a una contestazione reazionaria delle élite politiche e culturali. Uno dei più enigmatici ideologi della nuova ultradestra, l’americano Curtis Yarvin, ha dichiarato che “il regime liberal-progressista inizierà a vacillare quando i ragazzi cool inizieranno ad abbandonare i loro valori e la loro visione del mondo”.
Oggi definirsi di destra, soprattutto sui social network, non è semplicemente un’espressione di conservatorismo stantio – che pure c’è – o di conformismo sociale – che pure c’è – ma un segno di ribellione contro la presunta “Matrix progressista”. Per i giovani socializzati nella cultura del trolling online, trollare i progressisti è diventata una posizione di sfida. Da varie piattaforme – 4chan, Twitter, Instagram o YouTube – le destre radicali non si riducono più al fanatismo di gruppo di un tempo e pongono sfide che passano dalle reti alle strade, per non parlare delle declinazioni violente di questi discorsi, concretizzate in attentati e massacri in nome della “difesa dell’Occidente” o della lotta contro la “grande sostituzione”. Ma stiamo anche assistendo a vere e proprie ribellioni elettorali, che minacciano la democrazia liberale come la conosciamo in Occidente. Oltre alle vittorie di Donald Trump nel 2016 negli Stati Uniti e di Jair Bolsonaro nel 2018 in Brasile, ci sono le vittorie di Giorgia Meloni in Italia e di Javier Milei in Argentina e il ritorno di Trump nel 2024, insieme all’ascesa e alla persistenza dell’estrema destra in gran parte dell’Europa e dell’America Latina.
Come interpretare il fenomeno Milei alla luce di questo nuovo contesto globale (o più precisamente occidentale) e cosa ci dice questa inaspettata ascesa libertaria nel paese sudamericano sulle trasformazioni in atto a destra e sul momento attuale?
Modulazioni della “libertà“
Al di là degli episodi più o meno incongrui sopra descritti, c’è qualcosa di più profondo: il cambiamento di segno ideologico dell’indignazione. Se il libro Indignatevi!, del nonagenario francese Stéphane Hessel (2011), ha colto il clima epocale dei movimenti degli indignados tra il primo e il secondo decennio del XXI secolo, dieci anni dopo questa indignazione sembra mutare. L’anticonformismo sociale nei confronti dello status quo continua a vivere, e per molti aspetti è ancora più profondo, ma cosa significa indignarsi nel 2020? Ci sono diverse risposte a questa domanda – anzi, un approccio rizomatico sembra produttivo1 – e una di queste crediamo sia l’emergere di un nuovo tipo di “libertarismo”. Non si tratta solo di correnti definite, ma di una presenza più o meno diffusa in diversi gruppi della destra radicale, che si è rafforzata durante la pandemia e da allora si sta espandendo.
“Il libertarismo in tempi di pandemia: una reazione temporanea o la rinascita di un’ideologia?”, si chiede un articolo della rivista The Conversation. L’autrice di questo breve testo sottolinea che “storicamente [il libertarismo] ha cercato una nicchia particolare ai margini dei partiti conservatori e socialisti, ma oggi non ha remore a definirsi di destra e persino di destra radicale”.
Osserva che “non c’è dubbio che particolari congiunture possono favorire la nascita o il risorgere di alcune ideologie adattate a nuovi contesti. Crediamo che ciò stia accadendo attualmente con il libertarismo”. In effetti, il fenomeno, che è stato influenzato dalla vittoria di Trump nel 2016, ha ricevuto un nuovo impulso dalle restrizioni statali nel contesto della pandemia di Covid-19.
Queste hanno in qualche modo ridefinito il concetto di libertarismo. Hanno ridefinito in qualche misura l’uso del termine “libertà” nel dibattito pubblico e hanno fatto pagare ai governi costi politici elevati; mobilitazioni di piazza di varia portata e natura – spesso molto eterogenee – hanno attraversato molte capitali occidentali. Da Trump alla presidente della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, passando per Jair Bolsonaro, osserviamo queste modulazioni del significante “libertà”, associato a un progetto reazionario. Questo fenomeno ha avuto come momento culminante la vittoria di Milei in Argentina, con oltre il 55% dei voti nel ballottaggio del novembre 2023.
Quanto questa rinascita del “libertarismo” – in particolare tra le giovani generazioni – sia più un fenomeno passeggero o qualcosa di più permanente nel nostro panorama politico rimane incerto. Ciò che è chiaro è che la ricezione del libertarismo di destra in Argentina – e non solo – è un fenomeno facilmente individuabile, e per certi versi curioso, che a volte si confonde nel magma dei nuovi movimenti di destra “alternativi” che hanno modificato la discorsività politica e alterato il modo di intendere la ribellione e la critica al “sistema”. Stiamo assistendo a una sorta di “populismo della libertà” che, nel caso dell’Argentina, ha portato alla sorprendente vittoria elettorale di Milei, impensabile fino a pochi mesi fa in un paese senza storia di outsider alla presidenza.

In questi processi ci sono sempre elementi contingenti, come l’apparizione dello stesso Milei, con la sua particolare forma di carisma, sulla scena pubblica, ma l’espansione del suo discorso si è verificata in un momento internazionale specifico: l’ascesa alla presidenza di Donald Trump negli Stati Uniti, che, con l’aiuto di Steve Bannon, ha diffuso la retorica dell’Alt Right su scala globale e ha funzionato come ambiente favorevole a un tipo di destra radicale che ha messo in discussione l’ordine liberale internazionale, incarnando allo stesso tempo una guerra culturale anti-Woke al di là degli Stati Uniti2. Milei e i suoi nuovi seguaci si sono rapidamente identificati con il trumpismo.
Oggi non è insolito che le utopie libertarie di destra – spesso alimentate dalla fantascienza – si mescolino promiscuamente con (retro)utopie che cercano di tornare a una sorta di passato aureo o di muoversi verso futuri antiegalitari e, soprattutto, si combinino con le idee del cosiddetto movimento neoreazionario.
Anche se, a prima vista, libertari e reazionari non dovrebbero avere un terreno ideologico comune, ci sono alcune sensibilità condivise che permettono articolazioni che, solo in superficie, appaiono troppo strane. Sia i libertari che i reazionari odiano la “menzogna egualitaria”, disprezzano la “correttezza politica” e immaginano forme post-democratiche capaci di evitare la “demagogia dei politici” e le “superstizioni stataliste delle masse”. Entrambi possono far parte di coalizioni populiste, come quella che ha portato Trump al potere, che parlano a nome del popolo contro le élite.
E, non ultimo, tutti rifiutano allo stesso modo i “guerrieri della giustizia sociale”, un termine ombrello usato negli Stati Uniti per squalificare non solo la lotta per la giustizia sociale in senso stretto, ma anche la difesa del femminismo, dei diritti civili e del multiculturalismo, e che è stato sostituito dal concetto di woke. Il rifiuto dell’idea che la giustizia sociale (e altre sfaccettature egualitarie nel campo del genere, della “razza” e dell’ambiente) possa essere possibile – e anche più desiderabile – ha una lunga storia ed è legato alla difesa del laissez faire e al rifiuto dello stato (la Scuola austriaca di economia di Ludwig von Mises e Friedrich Hayek è uno dei suoi principali fondamenti teorici).
Curtis Yarvin, noto anche con lo pseudonimo di Mencius Moldbug, ha creato il concetto di “Cattedrale” per indicare il complesso intellettuale americano, che comprende le principali università, la stampa e, ovviamente, Hollywood. Un posto speciale in questo quadro spetta all’intellettuale e linguista Noam Chomsky: anche se molti potrebbero vederlo come anti-establishment, in realtà ciò che vende, secondo Yarvin, è puro conformismo verso “La Cattedrale”, una “teocrazia atea” in grado di dominare le menti; una sorta di “pillola blu” progettata per impiantare un tarlo che non ci permette di vedere la realtà per quello che è.
Yarvin si presenta come l’anti-Chomsky e il portatore della “pillola rossa”. Queste figure derivano dal film Matrix, in cui il protagonista, Neo, deve scegliere tra la schiavitù (la pillola blu) e l’illuminazione (la pillola rossa). Oggi, ironizza Yarvin, separare Chiesa e stato dovrebbe significare separare Harvard o Stanford dallo stato, perché è lì che la verità viene creata e poi imposta all’opinione pubblica attraverso i media, negli Stati Uniti e non solo.
Le democrazie occidentali sono sistemi orwelliani come il nazismo o il comunismo, mantengono la loro legittimità “plasmando l’opinione pubblica”, “formattando le informazioni” che vengono diffuse. È così che l’opinione pubblica “esamina il mondo attraverso una lente gestita dal governo”. Per spiegare questa forma di controllo, Yarvin utilizza il termine “pwn”, originariamente usato dagli hacker quando prendevano il controllo del computer di qualcun altro. Come possiamo quindi vedere la realtà per quello che è quando siamo pwnati? Attraverso la pillola rossa.
Questa “pillola” opererebbe sulla chimica del cervello per vedere come funziona la cattedrale “dall’esterno” del complesso. Viste dall’esterno, le democrazie occidentali “sono esempi particolarmente eleganti di ingegneria orwelliana”, che “opera nel contesto di una stampa libera e di elezioni eque e competitive. Il sistema può essere orwelliano, ma non ha Goebbels. Produce Gleichschaltung [sincronizzazione della società] senza Gestapo. Ha una linea di partito senza un partito”. Un “trucco pulito” che rende più difficile la presa di coscienza di come tutti siano dominati (pwned) [Le citazioni sono tutte tratte da Mencius Moldbug: «A Gentle Introduction to Unqualified Reservations», 2009].
I neoreazionari – una delle sottogalassie della destra radicale – che qualche anno fa hanno attirato molti articoli di analisi, sono legati al mondo tecnologico della Silicon Valley, che include la ricerca nelle scienze cognitive. I loro referenti mettono in discussione la democrazia e l’uguaglianza. La neoreazione è un movimento di culto, antimoderno e futurista, di libertari disillusi dalla democrazia che hanno deciso che la libertà è una cosa e la democrazia un’altra, e che il cambiamento non può più essere ottenuto attraverso la politica.
Yarvin è un ingegnere informatico di San Francisco, proprietario della startup Tlön, che ha ricevuto finanziamenti da Peter Thiel, cofondatore di PayPal e primo investitore di Facebook, ed è diventato popolare nel settore più radicale del trumpismo. Come si legge in un recente articolo, Yarvin si distingue tra i commentatori di destra per essere probabilmente la persona che ha dedicato più tempo all’ideazione di come, esattamente, il governo degli Stati Uniti potrebbe essere rovesciato e sostituito – “riavviato”, come ama dire – con un monarca, un amministratore delegato o un dittatore al timone. Yarvin sostiene che un leader creativo e visionario – “come Napoleone o Lenin” – dovrebbe prendere il potere assoluto, smantellare il vecchio regime e costruire qualcosa di nuovo al suo posto.
Utopie neoreazionarie
I neoreazionari vedono la democrazia come un prodotto catastrofico della modernità, un regime “subottimale” e instabile, orientato al consumo piuttosto che alla produzione e all’innovazione, e che porta sempre a un aumento della tassazione e della redistribuzione (i politici devono vincere le elezioni). La democrazia è consumismo orgiastico, incontinenza finanziaria e reality TV politico. Non genera progresso, lo consuma. Per questo finisce per produrre una società di parassiti.
L’unico rimedio è un neoelitismo oligarchico, in cui il ruolo del governo non dovrebbe essere quello di rappresentare la volontà di un popolo irrazionale, ma di governarlo correttamente. Anche i libertari classici spesso si lamentano del fatto che la democrazia è troppo permeabile alle popolazioni ostili al laissez faire e impregnate di una “mentalità anticapitalista” gregaria. Eventualmente anche del “socialismo”.
Quindi, se è realisticamente difficile credere che lo stato possa essere eliminato, Yarvin sostiene che si può almeno curare la democrazia. La chiave è trattare gli stati come imprese. I paesi verrebbero smantellati e trasformati in aziende concorrenti gestite da amministratori delegati competenti – una qualche variante o combinazione di monarchia, aristocrazia o del cosiddetto “neo-cameralismo”, in cui lo stato è una società anonima divisa in azioni e gestita da un amministratore delegato che massimizza i profitti; una sorta di feudalesimo corporativo. Yarvin propone che i paesi siano piccoli – in realtà città-stato, come Hong Kong o Singapore, ma più liberi dalla politica e più tecno-autoritari – e che tutti siano al servizio dei cittadini/consumatori.
“Gli abitanti sarebbero come i clienti di un supermercato. Se non sono soddisfatti, non discutono con il direttore, ma vanno altrove”, spiega Nick Land, un filosofo britannico che ha ispirato il cosiddetto movimento accelerazionista, ha lasciato il mondo accademico, si è trasferito in Cina ed è diventato un neoreazionario. “Se si considerano le tre famose opzioni di Albert Hirschman in una situazione politica, Uscita, Voce o Lealtà, noi puntiamo sul meccanismo dell’Uscita, mentre la democrazia si basa sul diritto alla Voce”, afferma l’autore del saggio L’Illuminismo Oscuro, uno dei principali riferimenti della neoreazione. Land ritiene che la tecnologia ci stia portando verso la singolarità e il futuro post-umano, verso una sorta di neo-specie, e che sia inutile cercare di evitarlo perché accadrà comunque.
Matthew Goodman osserva che “i neoreazionari tendono a immaginare un futuro di monadi: non un singolare impero ariano che si estende da Washington alla Florida, ma un paesaggio infinitamente frammentato di città-stato basate sul principio ‘tutto esce e niente voce’. Se non si è soddisfatti, si passa alla città-stato successiva, al prossimo re amministratore delegato o al prossimo amministratore delegato-re”. Non c’è politica, solo regole. Coloro che non sono in grado di rispettare le regole di un re – poveri, improduttivi e mentalmente deficienti – non devono essere uccisi in massa, ma possono essere rinchiusi in una capsula collegata a un mondo virtuale, Matrix-style. Su diverse questioni sono d’accordo con i paleolibertari, in particolare nel disprezzo per la democrazia.
I neoreazionari difendono la libertà personale, ma non quella politica. Yarbin ha persino osservato che gli Stati Uniti dovrebbero “perdere la loro fobia per i dittatori”. L’idea alla base del loro ragionamento è che mentre la tecnologia e il capitalismo hanno fatto progredire l’umanità negli ultimi due secoli, la democrazia ha fatto solo danni, quindi l’idea, molto semplicemente, è quella di separare il capitalismo dalla democrazia. Non si tratta di una novità: infatti, il “matrimonio” tra capitalismo e democrazia è recente e sempre instabile; ciò che è nuovo, semmai, sono i modi per raggiungere questo obiettivo. Né è nuova l’utopia di eliminare la politica: anche il marxismo era entusiasta di sostituire il governo sugli “uomini” con l’amministrazione delle cose nel comunismo. Ma in questo caso l’idea di emancipazione è assente, sostituita da una ricerca di efficienza e, cosa più importante, questa sorta di ultra-liberalismo reazionario rinuncia alla dissoluzione dello stato, il cui potere crescerebbe enormemente, mentre si suppone che si trasformi in qualcos’altro.
In questa visione, scrive Jason Lee Steorts, caporedattore della conservatrice National Review, in modo critico e ironico, il ‘governo’ avrebbe un forte incentivo economico a rendere la vita piacevole, evitando così l’uscita, e può fare ciò che deve essere fatto senza essere ostacolato da rituali liberal-democratici. La libertà, nel senso di partecipazione politica e sovranità popolare, non esisterà più, ma ci viene promesso che, poiché il regno sarà così ben governato e così sicuro, così meraviglioso sotto ogni aspetto, ognuno potrà pensare, dire o scrivere ciò che vuole, “perché ‘lo stato – la corporazione sovrana – non ha motivo di preoccuparsi’. La libertà di pensiero, di parola e di espressione non è più libertà politica. È solo libertà personale”.
Poiché la corporazione trae il suo reddito dalle tasse sulla proprietà e i sudditi del regno possono andarsene quando vogliono, fare cose spiacevoli, come usare il potere per uccidere o imprigionare, sarebbe negativo per gli affari. Inoltre, se l’esecutivo si dimostra incompetente, gli azionisti possono sostituirlo. “Più Fnargland [il nome di uno stato utopico neoreazionario] riesce a rendere felici i suoi residenti, più può farli pagare”, dice Moldbug/Yarvin. Uno Starbucks su larga scala. Se le classi dirigenti (azionisti) finiscono i cittadini/clienti, la società si scioglie.
Come scrive Park MacDougald, “il sentimento antidemocratico è raro in Occidente, quindi le conclusioni di Land sembrano scioccanti, provocazioni deliberate, e in parte lo sono. Ma mentre le sue prescrizioni per la ‘dittatura aziendale’ – prese in prestito da Moldbug – sono ovviamente radicali, la critica alla democrazia non lo è”. Infatti, continua MacDougald nel suo articolo su The Awl, Land condisce il suo saggio con citazioni dei padri fondatori dell’America, come Thomas Jefferson, John Adams e Alexander Hamilton, per ribadire che la Costituzione è sostenuta da una simile paura del popolo. La neoreazione non fa altro che portare queste paure al loro passo logico successivo: eliminare la necessità del consenso elettorale.
Proprio per questo motivo, anche se si tratta di una costellazione di gruppi o pensatori marginali, la neoreazione può funzionare come un sistema di allarme precoce di come potrebbero apparire una futura destra antidemocratica e un capitalismo autoritario. Non è un caso che i neoreazionari guardino all’Asia per i loro esempi, dove molte di queste idee sono probabilmente meno scioccanti che nel progressismo occidentale. L’idea è che un governo economicamente e socialmente efficace si legittimi senza elezioni. Un’altra sovrapposizione con i libertari di destra o i paleolibertari.
Nelle parole di MacDougald, si tratterebbe, piuttosto che di un nuovo fascismo, di una tecnocrazia capitalista rigidamente formalizzata, una sorta di puro funzionalismo basato sugli incentivi, senza mobilitazione di massa o riorganizzazione sociale totalitaria o un particolare culto della violenza. In poche parole, la sovranità popolare sarà eliminata e, come substrato, c’è in queste posizioni uno “strano tipo di conservatorismo culturale disilluso”, anche se “assolutamente privo di moralismo”.
A questo, i neoreazionari come Land aggiungono un oscuro futurismo. Il mercato genera nuove realtà prima ancora di aver avuto il tempo di accordarsi su cosa fare di quelle vecchie, e questa tendenza si intensifica in modo esponenziale (o iperbolico) ai massimi livelli di sviluppo tecnologico. MacDougald aggiunge acutamente che, nonostante il razzismo e l’autoritarismo dei neoreazionari, la loro economia politica è più vicina alla Singapore di Lee Kuan Yew che al Reich di Adolf Hitler. Land è elitario, più fedele al quoziente intellettivo che all’etnia, e con un marcato disprezzo per i “proletari che hanno difficoltà ad esprimersi” dell’ala nazionalista bianca.
Ma lo stesso Land sottolinea che sono proprio questi “proletari” a costituire il grosso della reattività odierna. “C’è un modo diretto con cui gli americani possono porre fine alla democrazia: eleggere un presidente che prometta di cancellare la Costituzione”, ha scritto Moldbug. E forse qui si può stabilire un qualche nesso tra neoreazionari e nazional-populisti, anche se nel caso di questi ultimi l’appello alla sovranità popolare è fondamentale, almeno prima di prendere il potere.
In un articolo del 2009, Peter Thiel ha dichiarato di “non credere più che libertà e democrazia siano compatibili”. La neoreazione esprime, a sua volta, una forma di autoritarismo di destra intrecciato con una sorta di oscuro transumanesimo. Certo, si tratta di una visione del mondo minoritaria, ma, come ha scritto Klint Finley, getta una luce sulla psiche di parte della cultura tecnologica contemporanea.
Ecco perché vale la pena considerarla, più che per la sua forza politico-intellettuale, come un sintomo: al di là del suo esotismo, la neoreazione comunica cose che ci sono. La retorica di Milei – che parla di libertà ma non di democrazia – è affine ad alcune dimensioni del post-libertarismo neoreazionario. Quando un giornalista lo ha interrogato esplicitamente sul suo sostegno alla democrazia, Milei ha risposto: “Conosce il paradosso di Arrow?” Non ha mai risposto di sostenerla.
Nel frattempo, Elon Musk, con le sue connotazioni tecno-futuriste e post-democratiche, stava diventando una figura di culto per ampi settori della destra radicale, tra cui Milei e Bolsonaro, che lo considerano un “eroe della libertà di parola”. Oggi virulento anti-woke, il capo di “X” – che si proietta come figura centrale del trumpismo 2.0 – sintetizza molti degli elementi della nuova destra radicale: provocazione, anticorruzione politica, libertarismo economico. Ha investimenti in astronautica, neurotecnologie, auto elettriche. Musk è un anarchico di destra nella sua espressione chimicamente più pura, ha scritto Asma Mhalla. Ma Musk è molto più del nome di un magnate della tecnologia. È anche un sistema che fa parte di nuovi tipi di attori ibridi, che sono allo stesso tempo aziende private, attori geopolitici e talvolta spazi pubblici, e che pongono una serie di sfide ai confini del pubblico e del privato in un contesto di rimilitarizzazione e geopoliticizzazione del mondo.
Comprendere la portata politica, ideologica e geostrategica del progetto di Musk permette, sottolinea Mhalla, di rendere visibili queste nuove forme di potere e, allo stesso tempo, di comprendere meglio l’attuale fragilità dei nostri modelli istituzionali. E anche la fragilità della democrazia, anche laddove sembrava consolidata.
*articolo apparso sul numero di gennaio/febbraio 2025 della rivista latinoamericana Nueva Sociedad.
1. «Javier Milei atacó al papa Francisco: ‘Es el representante del maligno’», video en canal de YouTube de W Radio Colombia, 7/9/2023, disponibile su www.youtube.com/watch?v=3j4ahcbrtdq.
2.M. Gurri: La rebelión del público, Adriana Hidalgo, Buenos Aires, 2023.
3. Sebbene questa affermazione si riferisca stricto sensu ai Paesi sviluppati, non è meno vero che si tratta di un modello a cui il resto del mondo aspira.
4.José Antonio Sanahuja: «Interregno. La actualidad de un orden mundial en crisis» en Nueva Sociedad No 302, 11-12/2022, disponible in www.nuso.org.
5.E. Traverso: Las nuevas caras de la derecha, Siglo XXI Editores, Buenos Aires, 2018, p. 19.
6.P. Stefanoni y Marc Saint-Upéry: «Prólogo» in P. Stefanoni: La rébellion est-elle passée à droite?, La Découverte, París, 2022.
7.Steven Forti: Extrema derecha 2.0. Qué es y cómo combatirla, Siglo XXI Editores, Madrid, 2021.
8.James Pogue: «Inside the New Right, Where Peter Thiel Is Placing His Biggest Bets» in Vanity Fair, 22/5/2022.
9.P. Stefanoni: ¿La rebeldía se volvió de derecha?, cit.
10.S. Hesse: Indignaos, Destino, Madrid, 2011.
11. La nozione di rizoma, mutuata da Gilles Deleuze e Félix Guattari, si riferisce a una struttura senza centro, senza una linea di subordinazione piramidale o arborescente (senza radice o tronco) o articolazioni predefinite, ed è molto utile per il tipo di fenomeni che stiamo affrontando, che trascendono i partiti di estrema destra.
12.M. Victoria Gómez García (con Javier Álvarez Dorronsoro): «Libertarismo en tiempos de pandemia: ¿una reacción temporal o el resurgir de una ideología?» in The Conversation, 12/5/2021.
13.Pablo Semán y Nicolás Welschinger: «El ‘populismo de la libertad’ como experiencia» in Le Monde diplomatique edición Cono Sur No 276, 6/2022.
14. I termini “woke” e “wokeness” provengono originariamente dal gergo politico afroamericano, dove erano in qualche modo equivalenti ai termini “conscious/consciousness”. Il loro uso polemico e peggiorativo contro la sinistra e i movimenti sociali progressisti si è diffuso a macchia d’olio negli Stati Uniti a partire dal 2020 circa, prima di essere importato dalla destra in altri Paesi.
15.Laura Raim: «La ‘derecha alternativa’ que agita a Estados Unidos» in Nueva Sociedad Nro 267, 1-2/ 2017, disponible en www.nuso.org.
16. Nel corso del tempo, il concetto di giustizia sociale ha incluso altre sfaccettature egualitarie nel campo del genere, della “razza” e dell’ambiente.
17.M. Moldbug: «A Gentle Introduction to Unqualified Reservations», 2009, disponibile in www.unqualified-reservations.org/2009/01/gentle-introduction-to-unqualified.
18.Andrew Prokop: «Curtis Yarvin Wants American Democracy toppled. He Has Some Prominent Republican Fans» in Vox, 10/2022.
19.Matthew Shen Goodman: «Bears Will Never Steal Your Car: Reacting to the Neoreactionaries» in Leap, 9/6/2015.
20.Ibíd.
21.M. Moldbug: «Good Government as Good Customer Service» in Unqualified Reservations, 25/5/2007.
22.P. MacDougald: «The Darkness Before the Right» in The Awl, 28/9/2015.
23.Ibíd.
24.M. Moldbug: «A Gentle Introduction to Unqualified Reservations», cit.
25.P. Thiel: «The Education of a Libertarian» in Cato Unbound, 13/4/2009.
26.Mark O’Connell: «The Techno-Libertarians Praying for Dystopia» in Intelligencer, 30/4/2017.
27.K. Finley: «Geeks for Monarchy: The Rise of the Neoreactionaries» in TechCrunch, 23/11/2013.
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