Il colosso taiwanese dei chip investe una cifra record negli Stati Uniti. Una mossa strategica che ridisegna gli equilibri tecnologici tra opportunità economiche e tensioni geopolitiche
Un accordo epocale, eppure avvolto nella nebbia
Il 4 marzo 2025, in una cerimonia alla Casa Bianca, Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC) e il presidente Donald Trump hanno annunciato un investimento aggiuntivo di 100 miliardi di dollari per espandere la presenza dell’azienda taiwanese negli Stati Uniti. L’accordo prevede la costruzione di tre nuovi impianti di fabbricazione chip, due strutture di packaging avanzato e un centro di ricerca e sviluppo, tutti situati in Arizona. Questo nuovo impegno si aggiunge ai 65 miliardi di dollari già stanziati da TSMC per costruire tre fabbriche (o “fab”) nello stesso stato, portando l’investimento totale a 165 miliardi di dollari. Secondo la stessa TSMC, si tratta del “più grande investimento diretto estero nella storia degli Stati Uniti”.
Tra gli obiettivi dichiarati, vi è la produzione di chip avanzati per intelligenza artificiale e smartphone. La prima fab dell’Arizona è già operativa dalla fine del 2024 con tecnologia a 4 nanometri, rappresentando il primo risultato concreto dell’investimento iniziale di TSMC negli Stati Uniti.
Il piano di espansione prevede ulteriori sviluppi a medio e lungo termine: la seconda fab, attualmente in costruzione, dovrebbe utilizzare tecnologie più sofisticate a 3nm, 2nm e processi A16, con l’inizio della produzione previsto per il 2028. La terza fab, annunciata nell’aprile scorso, è progettata per impiegare processi a 2nm o più avanzati, con avvio della produzione pianificato entro il 2030.
Nonostante la grandiosità dell’annuncio, diversi analisti hanno sottolineato la mancanza di dettagli concreti sull’effettiva implementazione. Kuo Ming-Chi, analista di TF International Securities, ha osservato che “la mancanza di dettagli fornisce la flessibilità per la spesa basata su condizioni future”, come riportato da Taiwan News. Secondo TrendForce, anche con una realizzazione ottimale dei piani, le nuove fab non entrerebbero in produzione “prima del 2030 nella migliore delle ipotesi”.
Un elemento di incertezza è rappresentato dal ruolo del CHIPS and Science Act, la legge da 52 miliardi di dollari approvata durante l’amministrazione Biden per sostenere la produzione di semiconduttori negli USA. TSMC aveva ottenuto 6,6 miliardi in sussidi per i suoi precedenti piani di investimento. Tuttavia, durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione il 5 marzo, Trump ha sorprendentemente chiesto al Congresso di eliminare il CHIPS Act, affermando che “per TSMC l’unica cosa importante era non pagare i dazi” e che “sono venuti qui e stanno costruendo… Non dobbiamo dargli soldi”.
Il vaglio di Taipei: un processo non scontato
L’accordo tra TSMC e gli Stati Uniti non può considerarsi definitivo fino all’approvazione del governo taiwanese. Secondo la legislazione di Taiwan, le aziende che intendono investire più di 1,5 miliardi di dollari taiwanesi (circa 50 milioni di dollari Usa) all’estero devono ottenere l’autorizzazione del Dipartimento per la Revisione degli Investimenti presso il Ministero dell’Economia.
Ad oggi, il governo di Taiwan non ha confermato se TSMC abbia già presentato formale richiesta di approvazione. La portavoce del gabinetto Lee Hui-chih ha dichiarato che le informazioni sulle domande di investimento all’estero saranno rese pubbliche solo dopo la loro presentazione, come riportato da Taiwan News.
Sebbene l’atteggiamento ufficiale del governo taiwaneese appaia cauto, diversi segnali indicano un’apertura all’accordo. Il presidente Lai Ching-te ha dichiarato che l’accordo sarà esaminato “secondo la legge” e che il governo garantirà che le tecnologie “più avanzate” rimangano a Taiwan. Il premier Cho Jung-tai ha affermato che Taiwan non produrrà i suoi chip più avanzati negli USA nel prossimo anno.
In una conferenza stampa congiunta con il CEO di TSMC, C.C. Wei, il 6 marzo, il presidente Lai ha negato pressioni americane per l’espansione degli investimenti di TSMC, contraddicendo le opinioni di alcuni analisti che vedono nell’accordo una risposta alle minacce di Trump di imporre tariffe fino al 100% sui chip taiwanesi.
L’impatto reale: numeri e prospettive economiche
Nonostante le cifre impressionanti, l’impatto di questo investimento sulla capacità produttiva globale di TSMC potrebbe essere più contenuto di quanto appaia a prima vista. Secondo Kuo Ming-Chi, anche quando tutti gli impianti statunitensi saranno operativi, rappresenteranno solo il 5-7% della capacità globale di TSMC.
TrendForce ha stimato che la quota di Taiwan nella produzione di semiconduttori avanzati potrebbe scendere dal 71% al 58% entro il 2030, e dal 53% al 30% per i processi maturi. Queste proiezioni differiscono da altre stime più conservative, evidenziando l’incertezza su come evolverà realmente la distribuzione geografica della produzione. Rimane il fatto che nel complesso secondo gli osservatori, sebbene con una certa redistribuzione geografica, Taiwan manterrà un ruolo dominante nel settore.
Sul piano finanziario, le operazioni statunitensi di TSMC potrebbero rivelarsi meno redditizie rispetto a quelle di Taiwan. Gli analisti stimano che il margine lordo delle fabbriche USA si attesterà tra il 30% e il 35%, rispetto al 50% o più delle operazioni a Taiwan. Secondo le stime, ciò potrebbe ridurre il margine lordo complessivo di TSMC dell’1,5-2% quando gli impianti USA saranno pienamente operativi. Nonostante queste sfide, Wei ha dichiarato che TSMC “non ha paura” di competere anche senza sussidi governativi. “Onestamente, chiedo solo equità. Non abbiamo paura di competere”, ha affermato durante la conferenza stampa con il presidente Lai, come riportato dal Financial Times. Questa dichiarazione arriva in risposta alle minacce di Trump di eliminare i sussidi previsti dal CHIPS Act.

Il grande scacchiere internazionale: USA, Taiwan e Cina
La nuova strategia degli Usa
L’investimento di TSMC rappresenta un importante tassello nella strategia americana mirata a riportare la produzione di semiconduttori avanzati sul suolo nazionale. Questa priorità, iniziata durante la prima amministrazione Trump e proseguita sotto Biden con il CHIPS Act, ha assunto rinnovata urgenza nel secondo mandato di Trump.
La Casa Bianca afferma che questi investimenti sono fondamentali non solo per la crescita economica, ma anche per la sicurezza nazionale. Durante la cerimonia di annuncio, Trump ha sottolineato che “i semiconduttori sono la spina dorsale dell’economia del 21° secolo, e davvero senza i semiconduttori non c’è economia,” aggiungendo che “dobbiamo essere in grado di costruire i chip e i semiconduttori di cui abbiamo bisogno proprio qui nelle fabbriche americane, con competenze americane e manodopera americana.”
David Sacks, consulente della Casa Bianca per l’AI e i semiconduttori, ha specificato che l’investimento iniziale di 65 miliardi di dollari di TSMC era stato sostenuto da un sussidio di 6,6 miliardi del CHIPS Act, mentre i nuovi 100 miliardi sarebbero frutto della strategia di Trump incentrata sui dazi. Questa nuova posizione della Casa Bianca segna un cambiamento rispetto all’approccio precedente basato su sussidi. “TSMC è disposta a investire negli USA perché può evitare di pagare tariffe,” ha spiegato Sacks, evidenziando che la produzione in Arizona per clienti come Apple e Nvidia rimpatria efficientemente la produzione, come riportato da DigiTimes.
Particolarmente significativa è stata la risposta di Trump quando un giornalista ha chiesto se l’investimento potrebbe minimizzare l’impatto sull’approvvigionamento americano di semiconduttori nel caso in cui la Cina isolasse o occupasse Taiwan. “Non posso dire minimizzare — sarebbe un evento catastrofico, ovviamente,” ha risposto. “Ma ci darà almeno una posizione in cui abbiamo una parte molto grande [della produzione] negli Stati Uniti,” aggiungendo che trasferire una produzione significativa sul suolo americano fornisce un “significativo vantaggio strategico”, riducendo la dipendenza da Taiwan e mitigando i rischi di possibili interruzioni nelle forniture.
Taiwan: perdita di influenza o mossa strategica?
Per Taiwan, l’accordo presenta sia opportunità che rischi. Tradizionalmente, la concentrazione della produzione di semiconduttori avanzati sull’isola è stata vista come uno “scudo di silicio” che protegge Taiwan rendendo altre potenze, in particolare gli Stati Uniti, più propense a difenderla da un’eventuale aggressione cinese. Questo concetto è così radicato che TSMC viene comunemente definita “la montagna sacra che protegge la nazione”, come riporta il Financial Times. La preoccupazione è che, trasferendo parte della produzione avanzata negli USA, Taiwan possa indebolire questo scudo protettivo. Ko Ju-chun, parlamentare del principale partito di opposizione taiwanese, il Kuomintang, ha espresso questo timore dichiarando: “Più TSMC produce negli Stati Uniti, meno importante sarà Taiwan nella geopolitica e meno incentivi avranno gli Stati Uniti ad aiutare Taiwan in futuro,” come riportato dal Taipei Times.
D’altra parte, alcuni analisti vedono nell’accordo un rafforzamento dei legami strategici con gli USA. Su Tzu-yun, dell’Institute for National Defense and Security Research di Taiwan, ha sostenuto che l’investimento di TSMC renderà Taiwan “più sicura” e aiuterà a far crescere l’industria dei chip. Secondo Su, citato dal Taipei Times, ciò creerà un clima di fiducia tra Taipei e Washington e alleviererà le preoccupazioni di Trump sulla sicurezza economica degli USA.
Wei ha cercato di rassicurare l’opinione pubblica taiwanese sottolineando che l’investimento negli USA non avverrà a spese di Taiwan. Ha evidenziato che TSMC sta costruendo 11 nuove fab a Taiwan, rispetto alle cinque pianificate negli USA nei prossimi quattro anni. Inoltre, ha chiarito che il centro di R&D negli USA si concentrerà sul miglioramento della tecnologia di processo già esistente, mentre la “vera R&D” per lo sviluppo della prossima generazione di tecnologie di produzione rimarrà nel centro globale a Taiwan, dieci volte più grande con 10.000 ingegneri.
In un’analisi per il Global Taiwan Institute, viene evidenziato che, nonostante l’apparente cessione di una parte del controllo sulla produzione avanzata, l’accordo potrebbe in realtà rafforzare la posizione di Taiwan. “Mentre i controlli sulle esportazioni danno agli Stati Uniti una maggiore leva legale sulle aziende taiwanesi, danno alle stesse aziende e al governo taiwanese un maggiore accesso alla tecnologia statunitense, aumentano il sostegno politico alle politiche pro-Taiwan negli Stati Uniti e, idealmente, impediscono ai concorrenti cinesi di superarle.”
La reazione cinese: preoccupazione e propaganda
L’annuncio dell’investimento ha suscitato aspre critiche da Pechino. I media e i funzionari governativi cinesi hanno inquadrato l’espansione come un’offshoring, imposto forzatamente dagli USA, dei “gioielli della corona” dei semiconduttori di Taiwan, con l’Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese che ha esplicitamente caratterizzato la decisione dell’azienda come un “regalo” di tecnologia critica ai concorrenti americani.
Secondo quanto riportato da DigiTimes, i media cinesi vedono l’investimento di TSMC come un segno di fuoriuscita di tecnologia e indebolimento dell’industria dei semiconduttori di Taiwan. I commentatori sostengono che gli USA stiano spingendo TSMC a costruire strutture entro i propri confini e cercando dati tecnici riservati e tecnologie avanzate, potenzialmente compromettendo il vantaggio tecnologico e la competitività globale di Taiwan.
Il Global Times, pubblicazione del Partito Comunista cinese, sostiene che gli USA intendono ricollocare il settore dei semiconduttori di Taiwan utilizzando la tecnologia di TSMC per migliorare la propria industria, come Intel. Questo potrebbe spostare Taiwan da attore chiave nella catena di approvvigionamento globale dei semiconduttori a fornitore di tecnologia per gli USA, intaccando la sua posizione di leader tecnologico.
Il People’s Daily suggerisce che gli USA stiano gradualmente indebolendo l’influenza di Taiwan nella catena di approvvigionamento globale, mentre Guancha, pubblicazione cinese di tendenza nazionalista, ha riportato che l’investimento di 100 miliardi di dollari di TSMC si allinea alla strategia statunitense di centralizzare l’industria globale dei semiconduttori attraverso dazi e politiche, diminuendo così il ruolo dei settori dei semiconduttori asiatici.
Oltre il triangolo: impatti globali sulla catena dei semiconduttori
Il futuro di una industria in trasformazione
La strategia americana mirata a riportare in patria dopo decenni la produzione avanzata di semiconduttori sta generando onde d’urto ben oltre il triangolo USA-Taiwan-Cina. Come evidenziato dal think tank cinese IC Wise, citato da DigiTimes, anche altri attori chiave nell’ecosistema globale dei semiconduttori stanno subendo pressioni significative.
La Corea del Sud, con giganti come Samsung Electronics e SK Hynix, è particolarmente vulnerabile. Nonostante i significativi investimenti di entrambe le aziende negli Stati Uniti – Samsung ha stanziato oltre 37 miliardi di dollari, incluso un impianto all’avanguardia a Taylor, Texas, mentre SK Hynix ha destinato 3,87 miliardi per uno stabilimento di packaging a West Lafayette, Indiana – Trump ha dichiarato che la Corea del Sud non sarà esente dalle sue politiche sui dazi. Il presidente ha criticato il paese asiatico per avere tariffe medie quattro volte superiori a quelle degli Stati Uniti, affermando che saranno imposti dazi sia agli alleati che agli avversari.
Anche la Malaysia dovrebbe essere preoccupata, essendo un importante hub nel settore del packaging, assemblaggio e testing di semiconduttori (back-end) e un nodo significativo nella catena di approvvigionamento globale dei chip, potenzialmente vulnerabile alle politiche americane sui dazi. Secondo DigiTimes, questa strategia “influisce significativamente su Taiwan, fa pressione sulle aziende sudcoreane come Samsung Electronics e SK Hynix, sfida l’industria di backend IC della Malaysia e aumenta la pressione sulle aziende di semiconduttori giapponesi ed europee da parte degli Stati Uniti.”
Chris Miller, autore di “Chip War” e analista del settore, ha osservato sul Financial Times che “i prodotti come smartphone ed elettronica di consumo probabilmente rimarranno radicati a Taiwan e in Cina”, suggerendo che, nonostante gli sforzi di diversificazione geografica, alcune produzioni rimarranno concentrate in Asia per ragioni economiche e logistiche.

Vincitori e vinti nel grande riassetto
La riorganizzazione globale dell’industria dei semiconduttori sta creando vincitori e vinti inaspettati. La posizione dominante di TSMC nell’ecosistema potrebbe paradossalmente rafforzarsi, nonostante le sfide.
Intel, tradizionalmente il principale concorrente di TSMC negli Usa e bandiera (sebbene ormai usurata) della capacità manifatturiera americana, sembra essere il grande perdente. Recentemente, il consiglio di amministrazione ha sorprendentemente licenziato l’amministratore delegato Pat Gelsinger, che aveva promesso di investire massicciamente in R&D e di sfidare TSMC producendo chip per conto di altre aziende. Secondo DigiTimes, la decisione a sorpresa del consiglio di amministrazione di Intel di licenziare il CEO Pat Gelsinger è attribibile a diffuse preoccupazioni sul costo elevato degli investimenti proposti e sul lungo orizzonte temporale necessario prima che questi potessero portare risultati concreti, una strategia ritenuta insostenibile dagli investitori.
Ancora più sorprendente, circolano voci secondo cui Intel potrebbe cedere la sua attività di produzione di chip – forse a un consorzio che includerebbe TSMC – che sarebbe poi incaricato di gestire gli impianti di produzione del suo ex rivale. Un possibile spin-off dell’attività di produzione di chip di Intel, potenzialmente a un consorzio che includerebbe TSMC, sarebbe stato “impensabile un mese fa, per non parlare di due anni fa quando il CHIPS Act è stato approvato per la prima volta”, osserva DigiTimes.
Nel frattempo, aziende come Apple, Nvidia e AMD – principali clienti di TSMC – sembrano accogliere favorevolmente l’espansione della capacità produttiva negli Stati Uniti. Come ha evidenziato Wei durante l’annuncio, questi clienti hanno esercitato forti pressioni su TSMC per ottenere impegni significativi di capacità produttiva, specialmente per chip AI avanzati.
La nuova geografia tecnologica mondiale
L’economista Liu Pei-chen del Taiwan Institute of Economic Research ha stimato che, man mano che gli impianti di TSMC in Arizona entreranno in produzione, la quota di Taiwan nella produzione di semiconduttori potrebbe gradualmente diminuire fino al 75-80%, come riportato da Taiwan News. Questo suggerisce un cambiamento graduale ma significativo nella distribuzione geografica della produzione globale di chi Tuttavia, Liu ha anche sottolineato che Taiwan manterrà vantaggi competitivi cruciali grazie alla sua “catena di approvvigionamento completa, a vantaggi di clustering e a costi del lavoro più bassi”, fattori tali da garantire che rimanga il principale hub per la produzione avanzata e il packaging di TSMC.
Secondo il rapporto del Global Taiwan Institute, “la mancanza di alternative nazionali a TSMC e ad altre aziende nei paesi alleati significa che, mentre i controlli sulle esportazioni danno agli Stati Uniti una maggiore leva legale sulle aziende taiwanesi, danno a quelle stesse aziende e al governo taiwanese un maggiore accesso alla tecnologia statunitense.”
Kuo Ming-Chi prevede che i clienti statunitensi rimarranno “altamente dipendenti dalla capacità produttiva di TSMC a Taiwan ‘per anni'”, e che “il funzionamento con successo degli impianti statunitensi di TSMC nei prossimi anni dipenderà ancora fortemente dal supporto tecnico a distanza dei team di TSMC a Taiwan”.
La partita non è finita: conclusioni e prospettive
L’accordo da 100 miliardi di dollari tra TSMC e gli Stati Uniti rappresenta un passaggio storico nell’evoluzione dell’industria globale dei semiconduttori, ma la sua reale portata e le sue implicazioni appaiono meno rivoluzionarie di quanto suggerisca la cifra impressionante.
La vaghezza dei dettagli operativi, come sottolineato da diversi analisti, offre a TSMC una notevole flessibilità nell’implementazione. Con tempistiche che probabilmente vedranno molti dei nuovi impianti entrare in produzione solo dopo il 2030, e nessuna garanzia che i sussidi del CHIPS Act rimarranno disponibili, l’accordo appare più come una dichiarazione d’intenti strategica che come un piano industriale dettagliato.
Il governo taiwanese, pur dovendo ancora approvare formalmente l’investimento, sembra orientato favorevolmente, ma mantiene una cautela prudente sulla protezione delle tecnologie più avanzate. Le dichiarazioni congiunte di Wei e del presidente Lai cercano di rassicurare l’opinione pubblica taiwanese sul fatto che il cuore tecnologico e produttivo di TSMC rimarrà saldamente a Taiwan.
Nonostante la dimensione impressionante dell’investimento, l’impatto sulla capacità produttiva globale sarà relativamente modesto. Le operazioni previste negli Usa costituiscono solo il 5-7% della capacità globale di TSMC e ciò fa pensare che Taiwan manterrà il suo ruolo dominante nella produzione avanzata di semiconduttori. La vera R&D, il controllo aziendale e la maggior parte della produzione ad alto valore rimarranno a Taiwan, limitando l’erosione del cosiddetto “scudo di silicio”.
Sul piano geopolitico, l’accordo rappresenta un delicato equilibrio per Taiwan: rafforzare i legami con gli USA senza compromettere il proprio valore strategico o irritare eccessivamente la Cina. Mentre Pechino vede negativamente questo sviluppo, interpretandolo come un tentativo americano di indebolire l’influenza taiwanese nella catena di approvvigionamento globale, gli analisti sottolineano che la dipendenza degli USA da Taiwan persisterà per molti anni.
Come ha sintetizzato Sung Wen-Ti, ricercatore non residente presso l’Atlantic Council’s Global China Hub, citato dal Taipei Times: “L’effetto dell’accordo sulla volontà degli USA di difendere Taiwan è incerto. Dipende in concreto da come Trump si sente in un particolare giorno, e dal fatto che Pechino riesca o meno in futuro a superare l’offerta di Taiwan.”
In questo grande gioco dei semiconduttori, dove tecnologia, economia e politica internazionale si intrecciano inestricabilmente, l’unica certezza è che la partita è ancora aperta, e che il suo esito influenzerà profondamente non solo i rapporti tra Stati Uniti, Taiwan e Cina, ma l’intero assetto tecnologico ed economico mondiale nei decenni a venire.
*articolo apparso sul blog substack.com l’8 marzo 2025.