Pubblichiamo questa interessante presa di posizione del Collettivo femminista Io l’8 ogni giorno che risponde alla campagna inscenata da qualche tempo da deputato del Centro Giuseppe Cotti; ma che vede anche un ruolo attivo e importante di deputati del PLR (a cominciare dal suo presidente) e della Lega che hanno presentato l’interrogazione dalla quale prende le mosse il commento che segue. (Red)
Il gran consigliere centrista Giuseppe Cotti, segretario comunale di Brissago, è tornato alla carica con la questione dell’educazione al genere attraverso un’interrogazione parlamentare dal titolo: Identità di genere e scuola elementare: la prudenza ha ancora la precedenza? – cofirmata dal liberale Alessandro Speziali. I due politici, piuttosto giovani peraltro, sembrano essere diventati i crociati locali dell’antigender.
Già nell’estate del 2023 Cotti si era distinto per il livore mediatico con cui si era accanito contro due paginette dell’agenda scolastica cantonale. Grazie al suo agire, seguito a un intervento di Lorenzo Quadri sul giornaletto leghista della domenica, aveva indotto una serie di ingiustificate paure che, sostenute da alcune famiglie e da alcune aree politiche conservatrici, avevano impedito a molte bambine e bambini di quinta elementare di ricevere e quindi imparare a utilizzare l’agenda. In questo modo si era negato il valore formativo del diario quale strumento didattico in favore della censura di un paio di vignette.
Speziali invece si era distinto per un’interrogazione della scorsa estate da titolo: Formazione per docenti ed educazione di genere: c’è un approccio ideologico?
Tra le domande poste al Gran consiglio, in perfetto stile trumpiano, vi era: “Il Consiglio di Stato concorda con la definizione secondo la quale un «uomo» è un essere umano adulto di sesso maschile e una «donna» è un essere umano adulto di sesso femminile?”
Spiacevole ma evidente è il goffo tentativo di spostare l’attenzione pubblica su problemi decisamente meno gravi rispetto a quelli che affliggono il nostro Cantone, il nostro Paese e il mondo intero. Pensiamo solo alle guerre, ai problemi legati al surriscaldamento climatico e all’esaurimento delle risorse naturali, alla violenza sulle donne, alle crescenti disuguaglianze sociali, al razzismo, ecc.
Invece il “gender”, come spesso viene chiamato allo scopo di spaventare chi è sprovvisto di riferimenti culturali per comprendere di cosa si stia parlando, diventa una sorta di contenitore legato a paure irrazionali. Fomentare l’ansia in merito al “gender”, secondo una studiosa del calibro di Judith Butler, ha conseguenze inquietanti: “è anche un modo, per le autorità esistenti (Stati, chiese e partiti), di spaventare le persone per disciplinarle e indurle ad accettare forme di censura, nonché a esternalizzare le proprie paure e il proprio odio e proiettarli contro le minoranze” (2024, p.8).
Non solo un approccio liberticida e discriminatorio, ma anche un tentativo di ripristinare un sedicente ordine patriarcale preesistente al “gender”, negando così gli studi storiografici che da anni producono ricerche inerenti all’esistenza storica di identità non binarie. Analizzando l’interrogazione di Cotti, Speziali e altre/i, appare evidente che vi sono molte incongruenze.
Partiamo dall’inizio. Il testo riconosce il valore del progetto “sono unico e prezioso” di ASPI ma si precipita a sottolineare che nell’ultima edizione “sono stati inseriti – seppur in maniera marginale – riferimenti all’identità di genere e alla fluidità di genere. Data la delicatezza della tematica e il dibattito scientifico ancora aperto, emergono perplessità sull’opportunità di affrontare tali concetti in un contesto scolastico destinato a bambini, senza un adeguato confronto con le famiglie e senza un solido consenso scientifico”.
All’inizio risulta poco chiaro a quale branca scientifica si faccia riferimento, essendo il genere un ambito trasversale alle discipline. L’utilizzo dell’aggettivo scientifico è abusato in tutta l’interrogazione, e induce a credere in chi legge che vi sia sostanza in quello che viene affermato.
Il progetto dell’ASPI, come ben spiegato dalla responsabile in una recente intervista, prevede una presentazione alle famiglie attraverso serate informative che avvengono prima degli incontri di classe. La finalità del progetto è anche offrire strumenti per rispondere a domande che bambini e bambine pongono e che possono mettere in difficoltà le persone adulte.
Nonostante ciò, nel testo dell’interrogazione si arriva a chiedere il coinvolgimento delle famiglie… Ma in che senso? Non basta l’ingerenza assai poco pertinente del Gran consiglio nella scuola, per esempio con l’imposizione del tedesco in prima media in un contesto dove vi è un problema reale di mancanza di personale insegnante? Ora si reputa “fondamentale” coinvolgere anche le famiglie! Viene da domandarsi perché non si sia mai chiesto alle mamme e ai papà di scrivere i programmi scolastici, magari personalizzati per ogni bambino e bambina secondo il credo ideologico del proprio entourage a prescindere da quelle che sono le finalità educative e democratiche della scuola? Il fatto di essere state/i allieve e allievi non rende professioniste/i dell’insegnamento e invece di attaccare la scuola con richieste deliranti sarebbe opportuno investire e migliorare le condizioni di lavoro del corpo docente, che da decenni subisce solo peggioramenti.
Ma andiamo oltre. Nel secondo paragrafo vi è il tentativo di dare sostanza alla scientificità evocata ricorrendo a istituzioni europee come fonti autorevoli per giustificare la propria interrogazione. Si dice infatti che l’Accademia Europea di Pediatria (EAP) e la Società Europea di Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (ESCAP), raccomandano un approccio prudente basato sul principio di precauzione.
Pare dunque di capire che non si dica di non trattare il tema, ma di farlo con prudenza. Visto che l’intervento di ASPI sul genere è stato definito dagli stessi postulanti “marginale”, basterebbe quest’evidenza per far capire l’inconsistenza dell’interrogazione.
Nel secondo paragrafo si fa accenno al contagio sociale cioè l’influenza ambientale e culturale, seppur anche in questo caso le fonti consultate non giungano a conclusioni definitive. Il problema è certamente sistemico e sociale, perché l’influenza ambientale e culturale riguarda ogni aspetto dell’esistenza umana. Appare tuttavia lecito domandarsi se Cotti e Speziali si sono chiesti gli effetti del contagio sociale del patriarcato, visto che vi sono stati otto femminicidi dall’inizio dell’anno in Svizzera. Perché non interrogarsi su questo, che ve ne sarebbe assai più bisogno?
Il testo dell’interrogazione si conclude con un’altra contraddizione e con una domanda. Si chiede di istituire una commissione etico-scientifica indipendente con il compito di definire linee guida basate su evidenze scientifiche per l’introduzione di tematiche di genere a scuola, dopo aver scritto un’interrogazione che ha fondato la propria argomentazione sulla presenza di un dibattito scientifico aperto e la mancanza di un solido consenso scientifico.
Anche noi ci poniamo delle domande. Ma tutte le interrogazioni meritano di essere discusse o ci vorrebbe una commissione indipendente che stabilisce se esiste un principio di ragione sufficiente per darvi seguito? Perché non chiediamo alle cittadine e ai cittadini di valutare la coerenza logica delle interrogazioni che sono sottoposte al parlamento? Sarebbe un po’ come chiedere alle famiglie di decidere che cosa bisogna insegnare a scuola.
Secondo noi a scuola è necessario fare educazione al genere per prevenire la violenza sulle donne, per educare al rispetto e alla cittadinanza democratica, come già previsto dal Piano di studio della scuola dell’obbligo.