Lezioni di Pasqua (ebraica)

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In questi giorni (da domenica 13 a domenica 20 aprile) ricorre la Pasqua ebraica. In questa occasione, gli ebrei ricordano che i loro antenati biblici furono schiavi in Egitto. Ma sono divisi sulla lezione principale da trarre da questo evento

Per i più cinici, così come i nostri vicini di allora approfittarono della nostra debolezza, d’ora in poi dovremo essere armati fino ai denti e saranno i nostri vicini di oggi a tremare. Questo punto di vista è costante tra i leader israeliani. Per altri, che i primi chiameranno sognatori, come noi abbiamo conosciuto il giogo degli stranieri, non possiamo più tollerare che un popolo sia incatenato, e soprattutto non da noi. Eppure questo è ciò che pensano sempre più uomini e donne ebrei in tutto il mondo, che si oppongono a maggior ragione ai massacri di Gaza perché vengono commessi in loro nome. Io sono uno di loro.

Come sappiamo, ogni volta che c’è un picco di violenza in Medio Oriente, c’è un’esplosione di antisemitismo ovunque. In Europa, dal fatidico 7 ottobre, non si sono verificati incidenti gravi contro singoli individui. Ma sui social network cresce il coro: gli ebrei locali sarebbero corresponsabili del massacro dei gazesi. Non importa quante volte ripetiamo che “non dobbiamo importare il conflitto”, non si fa nulla.

Ora viviamo in un villaggio globale. Per ragioni che tutti comprenderanno, gli ebrei e i musulmani, ovunque vivano, hanno forti legami con le parti coinvolte nel conflitto israelo-palestinese. Ma il modo in cui esprimono le loro simpatie può aggiungere benzina al fuoco e gettare i semi di una guerra civile o, al contrario, rafforzare la nostra capacità collettiva di portare a una pace giusta tra i due popoli coinvolti.

L’infame etichetta di antisemitismo viene scagliata contro chiunque critichi anche solo lievemente la politica israeliana.

Ovviamente, non si possono tollerare commenti offensivi, etichette lesive e la rinascita di vecchi pregiudizi antisemiti. Ma come possiamo opporci in modo utile, cioè senza confondere tutto? La propaganda israeliana, veicolata dalle principali associazioni ebraiche qui e altrove, alimenta deliberatamente la confusione distribuendo l’infame etichetta di antisemitismo o di compiacenza nei confronti di questo razzismo a chiunque osi criticare la politica israeliana, per quanto blandamente.

L’effetto principale di questo gioco di prestigio semantico è quello di dare una nuova verginità all’estrema destra, da Fratelli d’Italia al Rassemblement National al Vlaams Belang, il cui antisemitismo di fondo è ora più discreto, lasciando il posto a un’islamofobia più redditizia dal punto di vista elettorale. Questo trucco è reso ancora più facile dal fatto che si sente in profonda collusione ideologica con i cugini suprematisti ebrei al potere a Tel Aviv, che almeno non si fanno scrupoli a mettere in riga “gli arabi”.

Sia chiaro: gli ebrei del mondo, nel loro insieme, non sono responsabili dei crimini di Netanyahu e dei suoi simili. I musulmani d’Europa sono nella posizione migliore per capirlo, visto che sono costretti a prendere le distanze ogni volta dai crimini degli islamisti. Ma per placare la rabbia assordante che sale nell’opinione pubblica indignata dalle atrocità dell’esercito israeliano a Gaza, e le cui reazioni sono talvolta rivolte ai bersagli sbagliati, il mondo politico deve affrontare con attenzione le proprie responsabilità.

Fare ordine in casa propria

In primo luogo, deve garantire che il suo approccio al conflitto israelo-palestinese sia il più equilibrato possibile. Non c’è motivo di trattare Russia e Israele in modo diverso quando questi due paesi commettono crimini di guerra e violano in modo pesantissimo il diritto internazionale. Eppure l’Europa è del tutto parziale in questo senso, non avendo mai intaccato minimamente la sua partnership strategica con Israele nonostante l’arrivo al potere di un governo di estrema destra, nonostante la colonizzazione e l’attuazione di un regime di apartheid contro i palestinesi, nonostante una “operazione speciale” a Gaza che assomiglia sempre più a un genocidio. Possiamo rallegrarci del fatto che, in questo deludente concerto europeo, qualcuno si distingua in una luce positiva, anche se potrebbe fare molto di più con azioni concrete.

Due: deve diffidare di tutte le iniziative che mettano le varie vittime del razzismo l’una contro l’altra. Separare la lotta all’antisemitismo da quella all’islamofobia, nelle risoluzioni e nelle manifestazioni, significa voltare le spalle a un approccio inclusivo a questa lotta vitale, che può essere efficace solo se tutte le popolazioni interessate sentono riconosciute le loro sofferenze e le loro preoccupazioni. Solo così si potrà evitare che l’estrema destra islamofoba inquini le azioni contro l’antisemitismo.

Ma per superare il senso di solitudine in cui si sono spesso abbandonati dopo il 7 ottobre, spetta anche agli ebrei qui presenti alzare gli occhi dai loro ombelichi e fare qualche passo per riconnettersi con l’umanità universale in cui hanno un posto da difendere. Facendo la loro parte per fermare il massacro in corso a Gaza. Prendendo posizione per la giustizia per il popolo palestinese schiacciato sotto lo stivale israeliano.

E facendo causa comune con tutte le minoranze nate dall’immigrazione popolare che, per molti aspetti, hanno assunto il ruolo di capro espiatorio che fino a poco tempo fa era attribuito agli ebrei. Per fortuna siamo sempre di più a farlo. D’altra parte, mi stupisce che gli ebrei che si definiscono progressisti o liberali non abbiano nulla da dire sui massacri israeliani a Gaza. Che altri si preparino a votare per l’estrema destra per islamofobia mi fa orrore. Quando si tratta di antirazzismo, “ognuno per sé” porta solo alla sconfitta per tutti. Questa è la mia lezione di Pasqua.

*articolo apparso su leblogcosmopolite

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