A Gaza oggi come fecero i nazisti in URSS nel 1941, la fame come arma di genocidio

Tempo di lettura: 3 minuti
image_print

Le immagini dei bambini di Gaza, che la maggior parte dei media occidentali si rifiuta di mostrare, non lasciano dubbi: ricordano quelle dei campi di sterminio nazisti filmate da registi come John Ford, Samuel Fuller e George Stevens subito dopo la loro liberazione: scheletri viventi, con la pelle incollata alle ossa, gli occhi infossati nelle orbite, gli occhi appannati.

Va quindi detto che l’attuale uso della fame da parte dello stato di Israele come arma di guerra contro la popolazione di Gaza è molto simile al “Piano della fame” attuato dai nazisti in Unione Sovietica nel 1941-1942, per eliminare 30 milioni di cittadini sovietici. In entrambi i casi, le vittime sono state preventivamente disumanizzate e coloro che si consideravano la “Herrenrasse” (razza dominante) erano determinati a sterminare i loro “Untermenschen” (subumani), slavi ed ebrei allora e palestinesi oggi, e a svuotare il territorio dalle popolazioni autoctone per occuparlo e colonizzarlo.

E a Goering, che disse a Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri di Mussolini, che “quest’anno in Russia moriranno di fame dai 20 ai 30 milioni di persone. E probabilmente è una buona cosa, perché alcuni popoli devono essere decimati”, è molto simile il ministro israeliano Bezalel Smotrich, che ha dichiarato senza mezzi termini che sarebbe stato “giustificato e morale far morire di fame 2 milioni di palestinesi a Gaza”

Detto questo, alla fine “solo” circa 6 milioni di sovietici (soldati, civili, ebrei) morirono di fame, non perché ai nazisti mancasse la volontà o la determinazione di portare a termine il loro piano di affamamento, ma perché la loro guerra contro l’URSS prese una piega per loro sbagliata. Ernest Mandel ha quindi chiaramente ragione quando osserva (nel suo Premesse materiali, sociali e ideologiche del genocidio nazista) che “non è vero che i piani di sterminio dei nazisti fossero riservati esclusivamente agli ebrei. Gli zingari subirono una percentuale di sterminio paragonabile a quella degli ebrei. A lungo termine, i nazisti volevano sterminare cento milioni di persone nell’Europa centrale e orientale, soprattutto slavi”.

In breve, la Shoah non è l’unico olocausto della storia. Ma se non è unico, se ce ne sono stati altri prima o contemporaneamente alla Shoah, allora lo stesso Ernest Mandel ha ragione a trarre la seguente conclusione: “Diciamo deliberatamente che l’Olocausto è finora l’apice dei crimini contro l’umanità. Ma non c’è alcuna garanzia che questo vertice non venga eguagliato, o addirittura superato, in futuro. Negarlo a priori ci sembra irrazionale e politicamente irresponsabile. Come disse Bertolt Brecht: ‘Il grembo che ha partorito questo mostro è ancora fertile’.

In poche parole, Ernest Mandel non solo invalida gli argomenti di tutti coloro che hanno fatto fortuna ripetendo che la Shoah è unica, “indicibile” e “irripetibile”, ma ci mette in guardia e ci prepara alla possibilità di nuovi olocausti. E così facendo, risponde in anticipo alle due reazioni fin troppo familiari, ognuna infondata e stupida come l’altra: quella che lo definisce come un “sacrilegio” e vieta qualsiasi paragone tra la Shoah e ciò che sta attualmente accadendo ai palestinesi di Gaza, e quella che si chiede “come è possibile che gli ebrei facciano ai palestinesi ciò che essi stessi hanno subito per mano dei tedeschi?”

Finché “il grembo che ha partorito questo mostro rimane fertile”, cioè finché esistono e si riuniscono quelle che Mandel chiama le “premesse materiali, sociali e ideologiche del genocidio nazista”, sono possibili nuovi olocausti e il nostro dovere è quello di prepararci a prevenirli mobilitando tutte le nostre forze contro le loro “premesse”.

Allora cosa possiamo dire e fare nei confronti dei leader dei 153 paesi, compresi i “nostri”, che, pur avendo firmato la Convenzione sul genocidio, si rifiutano palesemente di applicarla? Cosa possiamo dire e fare nei loro confronti quando rifiutano il “dovere di prevenire il genocidio” imposto loro da questa Convenzione, un dovere che “sorge non appena uno stato è a conoscenza, o dovrebbe normalmente essere a conoscenza, di un grave rischio di genocidio”, che include “l’uso della fame come arma di guerra”,… “atti che costituiscono crimini di guerra, crimini contro l’umanità, in particolare lo sterminio, e atti di genocidio”? (vedi il rapporto del 15 maggio – in francese – di Human Rights Watch) Cosa si può dire e fare nei confronti di questi complici dei genocidari e di altri colpevoli di crimini contro l’umanità?

E che dire della sinistra, soprattutto di quella israeliana? Visto quello che non dice e che non fa nel bel mezzo del genocidio dei palestinesi di Gaza, possiamo solo esclamare: questa sinistra israeliana è sinistra solo di nome! (vedi il giudizio sulla sinistra israeliana – in francese – dato il 7 maggio dall’Agence Média Palestine) Perché non c’è nemmeno bisogno di essere di sinistra per ribellarsi a questo genocidio, per fare tutto il possibile per fermarlo, combattendo con le unghie e con i denti contro i genocidari che gestiscono Israele.

Eppure questa “sinistra” israeliana non fa nulla di tutto ciò. Certo, denuncia Netanyahu, arrivando persino a definirlo fascista, ma non dice nulla dei palestinesi che vengono metodicamente affamati e sistematicamente bombardati e massacrati a decine di migliaia dall’esercito del loro paese. Si rifiuta di essere solidale con loro. Non gliene può importare di meno. Proprio come i suoi omologhi “di sinistra” nella diaspora che parlano “genericamente” di pace e coesistenza con i palestinesi, ma non osano nemmeno prendere le distanze dai genocidari e dai loro esecutori (militari e non) facendo quello che fecero gli antifascisti tedeschi sotto il Terzo Reich e che, fortunatamente, migliaia di altri ebrei negli Stati Uniti e nel mondo stanno facendo oggi: scendere in piazza a fianco dei palestinesi, brandendo pubblicamente le quattro parole che salvano l’onore degli ebrei e dell’umanità: “not in my name”!

articoli correlati

Italia. Contrastare la legge finanziaria. La prospettiva dello sciopero generale. Unità sindacale e unità della classe lavoratrice

New York – Mamdani. Le lezioni di una vittoria e le battaglie che ne seguiranno

Il Medio Oriente e il capitalismo fossile: petrolio, militarismo e ordine mondiale