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In vista di un possibile incontro (a Ginevra) tra Putin e Zelensky (con o senza Trump), la Svizzera si candida ad accogliere, nascondendo dietro la neutralità e il mito dei “buoni uffici” gli interessi dei potentati economici.
Il problema: Putin, come Netanyahu, è un criminale e un assassino su cui pende un mandato di cattura internazionale della Corte penale internazionale (CPI).
Gli USA (come Russia, Cina, India, Israele, Iran, Egitto, Arabia Saudita, fior fiore dei paesi che con la democrazia c’entrano poco) non riconoscono la CPI e possono invitare chi vogliono. Ma la Svizzera sì: nel 2022 il Dipartimento di Cassis ricordava che “la CPI difende lo Stato di diritto e la giustizia a livello internazionale” ed è “stata creata per lottare contro l’impunità di guerra e i crimini di aggressione”.” La Svizzera – diceva – la sostiene come parte dei suoi valori e obiettivi di politica estera”.
Parole già dimenticate: pronti a rimangiarsi tutto, magari per guadagnare punti nelle future trattative sui dazi con Trump. Con la scusa che Putin verrebbe a Ginevra per una “trattativa di pace”. Mon œil, direbbero i ginevrini!
Inquietudine e indignazione per la sentenza su Don Rolando Leo, condannato per abusi su nove minorenni a 18 mesi sospesi, ben sotto i 5 anni e mezzo chiesti dall’accusa e persino della metà del massimo proposto dalla difesa.
Sconcertano le motivazioni del giudice Pagnamenta quando afferma che, nella sua carriera, ha visto “fatti ben più gravi”, che in questa vicenda le “vittime erano vestite” e che don Leo avrebbe mostrato un “sincero pentimento”. Il giudice ha inoltre sottolineato che gli atti commessi sono da considerarsi come “i meno gravi” nella gerarchia delle molestie e delle violenze…
Ma come si può parlare di “meno grave” in casi di abusi su minori? Ogni molestia è violazione della dignità e non esiste pentimento che cancelli il trauma. Minimizzare, come avviene anche nelle violenze contro le donne, alimenta la vittimizzazione secondaria, ferisce chi denuncia e scoraggia altre vittime.
La giustizia dovrebbe proteggere e credere, non trasformarsi in luogo di silenzio imposto.
Il calcio è ormai un’industria pienamente inserita nelle logiche del capitalismo finanziario. Anche in Ticino, ogni settimana emergono operazioni più o meno trasparenti attorno alle squadre di Lugano, Bellinzona, Locarno, Paradiso, ecc.
Queste società hanno perso la loro vocazione sportiva e sociale, trasformandosi in strumenti per far circolare denaro (comprando e vendendo calciatori), tessere relazioni e costruire influenze. Altrimenti non si spiegherebbe l’interesse di un miliardario come Mansueto per una realtà sportivamente modesta come il FC Lugano. Né quello di altri investitori, certo meno ricchi ma non meno motivati dal profitto, attorno a Bellinzona, Locarno e altrove.
Nel frattempo, la frequenza in questi stadi stadi – nuovi o vecchi – diminuisce o stagn, come a Lugano, dove nemmeno le promesse di una “nuova era” (leggasi: nuovo stadio) bastano ad aumentare gli abbonamenti.
Tutti proclamano di voler fare il bene delle città, di promuovere lo sport, soprattutto tra i giovani “nostrani” – che poi però raramente arrivano in prima squadra.
A queste narrazioni si aggrappano i Municipi, desiderosi di offrire nuovi “circenses” in un contesto dove rispondere al bisogno di “panem” è sempre più difficile. E con loro, qualche politico locale speranzoso di rilancio personale, dai sostenitori di tutti gli schieramenti al PSE a Lugano fino ai naufraghi politici come Brenno Martignoni a Bellinzona.
Certamente è doveroso continuare a criticare Cassis per la sua posizione su Gaza. Ma perché gli altri ministri restano in silenzio? Sicuramente in nome della “collegialità”; così Cassis può imporre la sua linea, visto che nessuno all’interno o all’esterno del Consiglio federale lo contraddice.
Non stupisce il silenzio della collega di partito, più preoccupata delle conseguenze dei dazi USA per le imprese svizzere, né l’indifferenza dei due UDC o del responsabile della Difesa. Ma i rappresentanti del PSS? Più di altri avrebbero il dovere di denunciare quanto succede a Gaza, ricordando che non può essere affrontato con il metro del rispetto della collegialità; avrebbero l’occasione per riaffermare davanti ai cittadini e alle cittadine quei principi che la Svizzera peraltro afferma di difendere. Nessuno li biasimerebbe: anzi, un loro intervento rafforzerebbe le critiche a Cassis e all’intero governo.
Oppure aspettano anche loro di andare in pensione per parlare liberamente?