A 14 anni dallo scoppio della rivolta popolare, è finalmente caduto il regime tirannico e sanguinario di Bashar al-Assad, dopo soli 12 giorni di guerra civile. I gruppi armati dell’opposizione (gli islamisti dell’Hayat Tahrir al-Sham, HTS, il Fronte di Liberazione del Levante, e i filoturchi dell’Esercito Nazionale Siriano-ENS) hanno prima conquistato Aleppo e da là, mentre scoppiavano insurrezioni in tutte le principali città, sono arrivati a far collassare il regime, il cui esercito e le cui milizie si sono rapidamente dileguati o sono addirittura passati dalla parte dei ribelli. Tutto il popolo, nella sua composita formazione (sunniti, drusi, cristiani, curdi…) ha salutato la caduta di Assad e la bandiera con le tre stelle rosse ha iniziato a sventolare ovunque nel paese, nei social, nella diaspora dei milioni di rifugiati siriani dispersi in tutto il mondo.
L’ultracinquantennale regime della famiglia Assad, che qualcuno si ostina a descrivere come “antimperialista”, è responsabile di numerosi crimini contro l’umanità e contro il suo stesso popolo: dal massacro di oltre 30.000 persone nella repressione dell’insurrezione della città di Hama nel 1982 al bombardamento chimico con gas Sarin che ha ucciso più di 1.400 civili a Ghouta, sobborgo di Damasco, nel 2013, per non parlare dell’assedio e dell’affamamento del campo profughi palestinese di Yarmouk (2013-15), o della tortura nel carcere di Sednaya, “il mattatoio” o dei bombardamenti di ospedali, scuole, mercati, quartieri per schiacciare la “primavera siriana”. A Bashar e prima a suo padre Hafiz al-Assad vanno attribuiti il massacro di oltre mezzo milione di persone e l’esilio di milioni di uomini e donne siriani.
Il regime, dieci anni fa, era riuscito a restare a potere di fronte alla generalizzata rivolta popolare solo grazie al sostegno della Russia di Putin e dei suoi aerei impegnati a distruggere e massacrare le città ribelli e dell’Iran degli ayatollah, attraverso l’invio delle milizie Hezbollah libanesi e di altri gruppi paramilitari sciiti.
La rivoluzione e l’insurrezione siriana, come oggi la resistenza palestinese, sono state tradite da tutte le potenze reazionarie della regione (Qatar, Arabia Saudita, Turchia) e dall’Occidente “democratico”. Così come sono state ignorate o addirittura avversate da ampi settori della sinistra internazionale, in varia misura legati con il regime e oggi nostalgici di Assad.
La caduta di Assad è anche un risultato indiretto dell’eroica resistenza del popolo ucraino, contro la quale è da quasi tre anni impegnata tutta la forza militare della Russia putiniana che quindi ha scelto di abbandonare Assad e i suoi al loro destino. La caduta di Assad costituisce una vittoria importante e storica. La gioia della popolazione siriana è giusta. La fine del potere di Assad ha aperto le porte delle carceri, ha liberato migliaia di prigionieri della dittatura, sta incoraggiando milioni di rifugiati a pensare di tornare nel proprio paese. La fine della dittatura può consentire che si faccia luce sulle migliaia di persone scomparse.
Nessuna tirannia sanguinaria è indistruttibile, nonostante l’appoggio criminale di questa o quella potenza imperialista. Ma il futuro politico della Siria non è ancora definito ed è necessario rimanere lucidi e vigili nella nostra solidarietà. La rivoluzione siriana non puntava solo alla caduta del regime: i protagonisti di questi 13 anni di lotte volevano costruire una società democratica e socialmente giusta, capace di garantire l’inclusione e il rispetto di tutte le componenti culturali, etniche e religiose, contro ogni forma di sciovinismo, cosa che non potrà essere fatta da formazioni guidate da impostazioni fondamentaliste e autoritarie. E occorre valutare anche le profonde differenze tra la formazione islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e i mercenari dell’Esercito nazionale siriano, del tutto subalterni al regime di Erdogan.
E’ significativo che Salih Muslim, leader del PYD, il Partito dell’Unione Democratica, la formazione curda attiva nel Nord della Siria, abbia accolto con favore la caduta del regime e abbia pubblicamente invitato al dialogo con HTS per costruire una nuova Siria per tutti.
Occorrerà vigilare anche perché le varie potenze regionali e internazionali non intervengano in Siria con qualunque pretesto. E vigilare anche sull’azione di HTS e dell’ENS, non dimenticando quanto accaduto nel decennio scorso in Egitto, in Libia o in Tunisia, dove i processi rivoluzionari, anche dopo aver cacciato i dittatori, sono stati deviati e le forze della controrivoluzione si sono riorganizzate sotto altre forme. E occorre non trascurare che l’ISIS, seppur sconfitto, sopravvive ancora nell’Est siriano.
La caduta di Assad aiuta ma non garantisce affatto che si sviluppi l’autorganizzazione delle classi popolari necessaria per dare corpo alle loro rivendicazioni progressiste, democratiche e sociali e per creare lo spazio democratico che consenta una vera liberazione e una politica alternativa. E fondamentale sarà, in un paese stremato da oltre dieci anni di guerra, la ricostruzione della società civile e delle organizzazioni popolari di massa, dei sindacati, delle organizzazioni femministe, delle associazioni locali.
E noi, in Europa e in tutto il mondo, noi internazionalisti dovremo evitare che ancora una volta le rivolte dei paesi del Medioriente vengano analizzate attraverso la lente deformante della geopolitica, del “nemico del mio nemico”. E dovremo, come dobbiamo fare per la Palestina, essere capaci di distinguere le lotte e la resistenza delle masse dall’orientamento, spesso inaccettabile, di quelle che possono essere oggi le loro direzioni.
*commento apparso su Refrattario e Controcorrente l’8 dicembre 2024.