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Qual è il conflitto all’interno dell’élite di potere sionista? Non pensate che sia un conflitto tra falchi e colombe, come viene dipinto dai media occidentali. No, non pensate nemmeno che la maggioranza delle masse israeliane che manifestano per chiedere un accordo che porti a un nuovo scambio di prigionieri tra il loro governo e Hamas vogliano porre fine alla tragedia di Gaza e ritirare l’esercito di occupazione. No, come abbiamo sottolineato in diverse occasioni, l’esercito sionista non si ritirerà dalla Striscia di Gaza una seconda volta, poiché anche i “moderati” nelle sue file ritengono che un nuovo ritiro rappresenterebbe la ripetizione dello stesso errore.

Il conflitto politico israeliano non è tra coloro che chiedono un ritiro completo dalla Striscia di Gaza e coloro che insistono a rimanervi, ma piuttosto tra l’estrema destra, che chiede l’annessione della Striscia di Gaza allo stato sionista espellendo la maggior parte dei suoi abitanti dalla maggior parte del suo territorio e sostituendoli con coloni ebrei, e il “centro” sionista, che si rende conto che il prezzo dell’annessione e dell’espulsione è più alto di quanto il suo stato possa sopportare. Preferisce quindi attenersi al quadro del “Piano Allon” del 1967, che regola la situazione in Cisgiordania, dove Israele controlla i siti strategici e le strade che circondano le aree di concentrazione della popolazione palestinese.

In altre parole, il conflitto politico all’interno dell’élite di potere sionista, come abbiamo già detto, non è tra falchi e colombe, ma tra falchi e avvoltoi. Questo è il caso del conflitto tra Benyamin Netanyahu e il “centro” sionista, che comprende i partiti all’opposizione dell’attuale governo, nonché una minoranza all’interno dello stesso Likud, rappresentata nel governo dal ministro della Difesa Yoav Galant. La stampa israeliana ha riportato il recente scontro avvenuto durante una riunione di gabinetto tra Galant e Netanyahu, sottolineando che il ministro stava esprimendo il punto di vista dell’apparato militare e di sicurezza. Qual è stato l’oggetto del confronto? La discussione si è incentrata sull’accordo di cessate il fuoco che Washington, con l’aiuto del Cairo e di Doha, sta cercando di concludere tra il governo e Hamas.

Abbiamo messo in guardia fin dall’inizio contro qualsiasi illusione che questo accordo possa porre fine all’occupazione israeliana di Gaza, sottolineando che la questione principale, dal punto di vista israeliano, è l’accettazione di una tregua temporanea con un ritiro limitato delle forze di occupazione da alcune parti della Striscia di Gaza, per consentire il rilascio della maggior parte delle persone detenute da Hamas, prima di continuare l’aggressione nel tentativo di raggiungere pienamente i propri obiettivi. In questo contesto, a maggio, abbiamo descritto il dilemma di Netanyahu come segue:
Egli è stretto tra due fuochi della politica interna israeliana: da un lato, coloro che chiedono di dare priorità al rilascio degli israeliani detenuti a Gaza, naturalmente guidati dalle famiglie dei prigionieri, e dall’altro, coloro che rifiutano qualsiasi tregua e insistono per continuare la guerra senza interruzioni, guidati dai ministri più estremisti dell’estrema destra sionista. Le maggiori pressioni su Netanyahu provengono da Washington. Queste pressioni coincidono con i desideri delle famiglie dei prigionieri israeliani, che sperano in una tregua “umanitaria” di poche settimane, la quale permetterebbe all’amministrazione Biden di mostrarsi pacifica e preoccupata per la sorte dei civili, dopo essere stata e rimanere pienamente corresponsabile della guerra genocida di Israele, che non avrebbe potuto condurre senza il sostegno militare degli Stati Uniti.

Da allora nulla è cambiato nell’equazione politica. L’amministrazione Biden non ha ancora realizzato nulla che dimostri la sua buona fede all’opinione pubblica americana e internazionale, e questo è ormai diventato un requisito della campagna elettorale di Kamala Harris, a favore della quale Biden si è ritirato dalla corsa. Il “centro” sionista è sempre desideroso di creare un’opportunità per liberare il maggior numero possibile di ostaggi, soprattutto perché la pressione popolare in tal senso coinvolge principalmente i suoi sostenitori. Tuttavia, tutti concordano sul mantenimento del controllo israeliano su Gaza nel lungo periodo. Differiscono sulla forma e sull’estensione del controllo, non sul suo principio.

Non c’è prova più evidente del disaccordo tra Galant e Netanyahu di ciò che il ministro della Difesa avrebbe detto durante la riunione del gabinetto sionista in cui i due uomini si sono scontrati. La discussione si è concentrata sulla richiesta di Hamas, sostenuta dal Cairo, di ritirare l’esercito di occupazione dal “corridoio di Filadelfia”, al confine tra Gaza e l’Egitto. Mentre l’esercito e l’apparato di sicurezza sionista sono favorevoli a questo ritiro, l’estrema destra sionista, rappresentata nel gabinetto, lo rifiuta categoricamente e minaccia di sciogliere la coalizione con Netanyahu se egli accettasse l’accordo. Ciò porterebbe a nuove elezioni che potrebbero porre fine definitivamente alla carriera politica di Netanyahu. Abbiamo quindi visto Netanyahu aggrapparsi alla sua posizione di rifiuto di ritirarsi dal corridoio di confine con argomenti di sicurezza che nessun membro dell’élite di potere sionista può confutare, poiché tutti sanno che armi e attrezzature per la costruzione di tunnel sono entrate nella Striscia di Gaza dal Sinai egiziano e non hanno fiducia nella parte egiziana quando si tratta di monitorare il corridoio, né in nessun altro.

La risposta di Galant e dell’opposizione sionista non è stata che non sia necessario che Israele controlli il corridoio. Al contrario, alcuni hanno fatto leva sulla proposta dei servizi di sicurezza di effettuare una sorveglianza elettronica della striscia di confine senza il dispiegamento permanente di truppe israeliane, mentre Galant ha riassunto il disaccordo tra lui e Netanyahu, come riportato dai media israeliani, come una scelta “tra la vita degli ostaggi o la permanenza nel corridoio di Filadelfia per sei settimane”. In altre parole, secondo Galant, si tratterebbe solo di ritirarsi dal corridoio per sei settimane per consentire il rilascio della maggior parte delle persone detenute da Hamas, sapendo che l’esercito di occupazione riprenderebbe il controllo diretto del confine una volta completata la prima fase dell’accordo voluto da Washington. Tutti sanno che l’ipotetica seconda fase di questo accordo, che prevede il ritiro completo dell’esercito di occupazione dalla Striscia di Gaza, non avverrà mai. Sono tutti ipocriti.

*articolo apparso il 4 settembre 2024 sulla rubrica settimanale che l’autore tiene sul quotidiano  londinese in lingua araba Al-Quds al-Arabi (Al-Quds al-Arabi). Questo articolo è apparso online il 3 settembre e nell’edizione cartacea il 4 settembre.