Era annunciato da tempo il provvedimento del governo di modifica dell’art.4 dello statuto dei diritti dei lavoratori che avrebbe liberalizzato ogni controllo delle aziende sui dipendenti senza alcun accordo sindacale. Era contenuto nella legge delega Jobs Act approvata nei mesi scorsi. Nessuno stupore quindi che Renzi abbia mantenuto la parola. Stupisce invece l’incomprensione a sinistra e nella Cgil sul reale portato del provvedimento.
Il libero spionaggio delle aziende sui lavoratori è parte integrante di un disegno complessivo che il Jobs Act realizza. Il combinato disposto del libero licenziamento, demansionamento e spionaggio instaura il regime della ricattabilità piena del lavoro. Ultima in ordine di tempo giunge la possibilità per le aziende di controllare dati di traffico, spostamenti e qualsivoglia altra operazione effettuata con palmare, smartphone, computer, eccetera eccetera. E’ sufficiente pensare a come cambierà la condizione, e parliamo di almeno un milione di lavoratori, per manutentori, installatori di impianti. Dal lavoratore dell’azienda che installa e ripara linee telefoniche, da chi fa la manutenzione sugli ascensori sino a chi legge i contatori di gas e acqua. Il provvedimento autorizza le aziende a poter verificare, grazie alle sofisticate tecnologie, tempi di ogni singolo intervento e spostamenti sul territorio. Dal punto di vista giuridico contrattuale ciò significa che i dati potranno essere usati per infliggere sanzioni e provvedimenti disciplinari.
Dal punto di vista sindacale inasprirà l’attacco sulla distinzione tra retribuzione del lavoro materiale dell’intervento e retribuzione del tempo di viaggio. Non è solo quel settore di lavoratori ad essere colpito ovviamente anche perché il controllo a distanza riguarda anche l’occhio indiscreto di telecamere puntate direttamente sulle postazioni di lavoro. E’ l’insieme del mondo del lavoro che pagherà un prezzo enorme sull’altare della produttività. Perché in sostanza il Jobs Act è un portentoso strumento per l’incremento del tasso di sfruttamento del lavoro umano. E’ la sistematizzazione del sistema di variabilità di salari, orari, ritmi e carichi di lavoro ai bisogni del mercato e delle imprese.
Per anni il padronato ci ha raccontato che la produttività era il vero problema del nostro paese. Dicevano produttività per dire sfruttamento, cioè maggiore quantità di lavoro. Si può lavorare meno ma produrre di più se si investe, cosa diversa dal lavorare di più per produrre di più… Il risultato potrebbe non cambiare in termini meramente numerici ma la differenza la fa il tasso di sfruttamento. Cgil Cisl Uil si sono bevute la litania della scarsa produttività e uno dopo l’altro hanno consentito, o hanno subito senza resistere, la cancellazione di ogni paletto a difesa del lavoro. Il processo di restaurazione del dominio assoluto dell’impresa sul lavoro conquista così un risultato importante.
Nel passato il diritto del lavoro e la contrattazione stabilivano quei limiti sotto ai quali non si poteva scendere. Oggi si può fare praticamente di tutto. Il vincolo alle imprese ed ai profitti è solo quello che gli da il mercato. Per il resto si può scaricare il costo di questa assoluta libertà d’impresa sulla vita degli uomini e delle donne che lavorano ma anche su coloro che un lavoro non riusciranno mai ad averlo. Tutte materie su cui aprire una riflessione urgente per chi ancora crede sia possibile organizzare il mondo del lavoro per riconquistare un sistema di diritti e tutele. Se e quale spazio esiste ancora per il sindacato e quale sindacato serve ai lavoratori. Domande sempre più ineludibili.