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Alexis-TsiprasradioTradurre integralmente la lunghissima intervista (la trascrizione e traduzione francese pubblicata dal CADTM è di oltre 65.000 battute) rilasciata da Alexis Tsipras alla radio Sto Kokkino di Syriza il giorno prima del comitato centrale mi è parso non solo troppo impegnativo per le nostre esigue forze spossate dal caldo, ma anche fondamentalmente inutile perché molte parti contengono solo affermazioni generiche o retoriche che non spiegano niente.

Ad esempio già alla prima domanda sul bilancio di sei mesi di negoziati, Tsipras risponde evasivamente in questo modo: “bisognerà trarne le conclusioni in modo obiettivo, senza avvilirsi o autoflagellarsi, perché è stato un semestre di grandi tensioni e di forti emozioni. Abbiamo visto risalire alla superficie dei sentimenti di gioia, di fierezza, di dinamismo, di determinazione e di tristezza, tutti i sentimenti. Io credo che in fin dei conti se proviamo a guardare obiettivamente quel percorso, non possiamo che essere fieri, perché abbiamo condotto questa battaglia”. Bene, ci dice che lui è contento, ma non ci spiega perché, ed evita di tentare un bilancio dell’operato del governo e soprattutto del partito.

Già a questo punto la risposta era elusiva, ma poi Tsipras aggiunge una mezza citazione da Guevara: “le battaglie perse in anticipo sono solo quelle che non si cominciano”. E quelle da cui ci si ritira? Tsipras sostiene che dati i rapporti di forza squilibrati, “anche se i potenti hanno imposto la loro volontà, quel che rimane è la conferma assoluta, a livello internazionale, del vicolo cieco rappresentato dall’austerità”, e che questa evoluzione definisce “un paesaggio del tutto nuovo in Europa. L’Europa non è più la stessa dopo il 12 luglio.” Non dopo il 5 luglio, data del referendum, ma il 12, data della sua capitolazione! Per rafforzare la sua tesi cita Jürgen Habermas, che ha sostenuto che « la Germania ha distrutto una strategia di cinquanta anni, una strategia dell’imposizione con la persuasione e non con la forza ». Mah… Tsipras si aggrappa a questa discutibile tesi dicendo che sono « parole che dobbiamo ascoltare ». e poi usa più volte la definizione di « vittoria di Pirro » riferendosi a quella dei suoi interlocutori.

Ma quando l’intervistatore lo incalza chiedendo se il governo e Syriza erano pronti ad affrontare l’avversario, e per spiegarsi meglio aggiunge la domanda « Non eravate andati alle trattative con ”buone intenzioni”, di fronte a istituzioni che non si sono comportate in modo molto istituzionale ? » Tsipras risponde letteralmente : « Non ci sono state ”buone intenzioni” dal nostro lato o dal loro. C’è stata una trattativa molto dura. Per la prima volta. E la differenza rispetto al passato è che sul tavolo c’erano strategie molto diverse, contraddittorie. E c’era da un lato un governo che aveva e continua ad avere la maggioranza del popolo greco al suo fianco, che rivendica un’altra strada, un’altra prospettiva, e dall’altro le istituzioni, che non sono né indipendenti né neutre, ma agli ordini di un piano strategico preciso ». Prima osservazione : « agli ordini di un piano strategico preciso » è una definizione reticente e tutt’altro che « precisa », che serve proprio per evitare di nominare il capitalismo. Inoltre Tsipras crea confusione, come se non ci fosse stata una cesura netta tra la prima fase delle trattative e quella in cui si è accettata l’imposizione delle « istituzioni » senza utilizzare minimamente il risultato del referendum.

A proposito del quale dice più in là : « se vogliamo essere del tutto onesti e non abbellire le cose (…) l’accordo che ha seguito il referendum è simile a quello che il popolo greco ha respinto, con delle misure in parte migliorate, in parte più difficili ».

Tsipras insiste nel dire che il referendum era importantissimo, « contro venti e maree » e che ha « fatto della Grecia, del suo popolo e della sua scelta democratica il centro del mondo », ma subito dopo « confessa » di essere stato convinto per metà della settimana che ha preceduto il voto che il risultato era incerto. « Solo a partire da giovedì [e si votava la domenica] ho cominciato a realizzare che il NO avrebbe vinto ». Insomma conferma quanto affermato da molti suoi amici, compreso l’economista James Galbraith : al momento in cui ha deciso il referendum, organizzato in una sola settimana, sperava in un risultato di sostanziale parità o in una sconfitta di stretta misura che avrebbe consentito di arrendersi dandone la responsabilità al popolo…

Per rafforzare la sua scelta Tsipras parla del tentativo di strangolamento della Grecia se lui non avesse resistito alla tentazione di alzarsi dal tavolo, battendovi i pugni prima di andarsene : « il giorno stesso le succursali delle banche greche all’estero sarebbero sprofondate, perdendo attivi di 7 miliardi di euro, 40.000 posti di lavoro », ecc. Possibile che non abbia pensato che prima di quel momento si poteva e doveva mettere sotto controllo pubblico le banche, notoriamente responsabili di gran parte delle fughe di capitali all’estero ? E che salvaguardando il posto dei lavoratori del settore all’interno di imprese nazionalizzate, si poteva puntare ad ottenere la loro collaborazione per smascherare le ruberie dei vecchi padroni ?

No, non ci ha pensato, si limita a dare per scontato che non ci sarebbe stato solo un taglio dei risparmi, ma la loro totale sparizione. « Nonostante tutto ho condotto questa lotta cercando di conciliare logica e volontà, e devo dire che sia noi che i nostri partner europei abbiamo preso parecchi colpi durante quelle diciassette ore ». Tsipras era convinto che se lasciava la trattativa « probabilmente dovevo ritornarci in condizioni ancora più sfavorevoli ». Perché ? L’unica spiegazione è che in quelle assurde diciassette ore era semplicemente stata fiaccata la sua resistenza, con le tecniche sperimentate negli interrogatori al limite della tortura. Mi era sempre parsa inverosimile una reale discussione di ben diciassette ore con quei personaggi che, come ha testimoniato Varoufakis per i primi cinque mesi di trattative, non rispondevano mai alle meditate proposte del governo greco, semplicemente perché molti di loro non erano neppure in grado di capire e quindi di rispondere. Stavano a far numero mentre i due o tre che contavano, anche se non eletti da nessuno, riproponevano ogni volta qualche altra trovata per respingere i tentativi greci di arrivare a un onorevole compromesso.

E la delegazione greca (compreso Varoufakis) intanto tranquillizzava la popolazione, ripetendo ogni giorno che l’accordo era imminente… Tsipras comunque fa un salto logico, concludendo che « dopo una riflessione, rimango convinto che la scelta più giusta era quella di far prevalere la protezione degli strati popolari . In caso contrario, dure rappresaglie avrebbero potuto distruggere il paese». Quale protezione, se lui stesso ha detto che la maggior parte di quel che « ha dovuto » accettare era uguale o persino peggiore alle proposte respinte convocando il referendum ?

Tsipras poi, dopo aver elencato, abbellendoli, i modestissimi provvedimenti presi dal suo governo, liquida le obiezioni di gran parte dei deputati e ministri di Syriza, presentandoli come degli ingenui estremisti a cui fare la predica, citando a sproposito Lenin, e ridicolizzandoli attribuendo loro l’idea infantile che « la lotta di classe è un’evoluzione lineare e che si conquista in una elezione, e non è invece una battaglia costante, tanto che si stia al governo o all’opposizione ». Tsipras li invita di conseguenza « a venire a spiegarcelo e a darci degli esempi » di questa evoluzione lineare. Sfornata questa banalità degna di un Renzi, Tsipras insiste che « in base ad altre esperienze di governo [quali?] noi sappiamo che vincere le elezioni non significa disporre dall’oggi al domani delle leve del potere : è una lotta continua. Condurre la battaglia solo al livello governativo non è sufficiente. Bisogna condurla anche sul terreno sociale ». E, naturalmente, presentare la svolta del 12 luglio come una sconfitta, è possibile solo per quegli spiriti meschini « che pensano che la rivoluzione avverrà invadendo il Palazzo d’Inverno e che durerà un istante ». Argomenti che abbiamo sentito mille volte in Italia per liquidare i presunti « puri e duri »… Una vera caricatura delle reali posizioni delle opposizioni, come si può verificare leggendo gli scritti problematici e sofferti di Ntavanellos, No alla mutazione di Syriza , e di Kouvelakis: Dalla vicenda di Syriza alcuni insegnamenti per il nostro avvenire . e tanti altri rintracciabili facilmente sul sito cliccando su Syriza.

In ogni caso Tsipras sostiene di « non rimpiangere nulla di quel che è accaduto in questi cinque mesi. Ne valeva la pena, e per quanto riguarda l’economia, le cose sono reversibili ». Questa affermazione serve a prevenire che l’intervistatore, piuttosto severo con Tsipras perché è di Syriza, ma appartiene alla « vecchia scuola», gli ricordi tutte le ammissioni sul costo enorme di questo nuovo accordo, per giunta insicuro, dato che il « Quartetto » che ha preso il posto della Trojka continua il gioco delle parti. Ma l’argomento di fondo è legato all’immagine : « La Grecia è in prima pagina su tutti i giornali, in termini positivi. La bandiera greca sventola sulle manifestazioni attraverso le capitali d’Europa. Migliaia di persone in Irlanda, in Francia, in Germania, hanno manifestato la loro solidarietà con il popolo greco. Ne valeva la pena, certamente».

Sembra la riscoperta (un po’ ottimistica, date le dimensioni delle manifestazioni e le ambiguità di parte dei sostenitori) di una dimensione classista e internazionalista. Ma poche righe dopo Tsipras se ne dimentica e cede al senso comune, parlando di « esigenze degli Olandesi, dei Finlandesi, dei Tedeschi ». E sopravvaluta fortemente le divisioni tra gli Stati Europei, di cui si attribuisce il merito : « abbiamo verificato i limiti della resistenza della zona euro. Abbiamo fatto modificare i rapporti di forza. La Francia, l’Italia, i paesi del Nord avevano tutti delle posizioni molto diverse. I risultati, certo, sono molto difficili, ma da un altro lato la zona euro è arrivata ai limiti della sua resistenza e coesione. La strada della zona euro e dell’Europa all’indomani di questo accordo sarà diversa ».

Tra le forzature caricaturali delle posizioni degli oppositori interni, Tsipras mette loro in bocca la proposta di ritirarsi dal governo lasciandolo nelle mani della destra e dei fantocci della trojka :

« Questo accordo è stato uno choc per il popolo e la sinistra. Alcuni [chi sono ?]ne ricavano la conclusione che in questo contesto un governo di sinistra non ha ragione di essere. Io sono pronto a discutere questo punto di vista. Questo equivale a dire al popolo greco ”Noi ci siamo sbagliati dicendo che potevamo mettere fine a questo memorandum, chiediamo al sistema politico sconfitto che ci ha portato fino a qui di gestire la situazione. Scegliete piuttosto questo sistema che in tutti gli ultimi anni non negoziava affatto, ma complottava con la Trojka per imporvi queste misure”. Il popolo greco ci risponderà che non ne vuole sapere, che attende da noi che ci assumiamo le nostre responsabilità. Se dovessimo rinunciare perché le condizioni sono troppo difficili, come si tradurrebbe in pratica ? Noi non ci presenteremmo affatto alle prossime elezioni per non correre il rischio di essere eletti, come ha fatto il KKE nel 1946 ».

Mi dispiace di dover difendere una volta tanto l’ignobile KKE da un’accusa infondata. Per farlo ricorro a un piccolo stralcio del mio Rivoluzione e guerra civile in Grecia. Non si trattava di « paura di essere eletti », ma di conseguenze di scelte sciagurate fatte per suggerimento di Stalin e dei suoi emissari, in applicazione alla spartizione dei Balcani contrattata con Churchill a Mosca nell’ottobre 1944. Il boicottaggio delle elezioni del 1946 era solo un errore di valutazione, ma prima c’erano stati ben altri errori e veri e propri crimini…

Il caso più terribile e tragico è quello di Aris Velouchiotis, il più popolare e originale dei grandi comandanti partigiani, e probabilmente il più capace di essi. Aris era stato tra l’altro il comandante delle formazioni del Peloponneso, e deputato nel Consiglio nazionale del PEEA. Subito dopo Varkiza aveva rifiutato di consegnare le armi e si era rifugiato nelle montagne dell’Epiro e poi della Tessaglia con un centinaio di fedelissimi. Nel maggio giunge ad Atene su un aereo britannico il vecchio segretario del KKE Zachariadis, che era stato deportato dai tedeschi a Dachau. Velouchiotis spera che porti un cambiamento di linea e una sconfessione degli accordi di Varkiza, e scende fiducioso ad Atene. Il 14 giugno viene invece definitivamente condannato come avventurista e scissionista. Aris, sconvolto, ritorna in montagna; ma ora è quasi solo e braccato spietatamente dalle forze repressive e dalle bande di terroristi fascisti che le affiancano. Il 16 giugno viene accerchiato e cade in combattimento (o si uccide, secondo altri). La sua testa viene esposta a lungo sulla piazza di Trikkala insieme a molte altre. I suoi avvertimenti vengono ignorati, la sua linea bollata di infamia (sarà “riabilitato” solo nel 1974!).[1] Intanto, in poco più di un anno, tra gli accordi di Varkiza e le elezioni del marzo 1946, 1.289 persone sono state assassinate, 6.671 ferite gravemente, 31.632 torturate e 84.931 arrestate.

Le elezioni del 1946 rivelano la portata della catastrofe. Il KKE decide assurdamente di boicottarle, ma l’astensionismo non raggiunge neppure il 40%, di cui presumibilmente una parte considerevole è fisiologico e non dovuto alla campagna dei comunisti. Questo è quello che pensa comunque il nuovo governo, decisamente spostato a destra dopo il voto, che inasprisce quindi la repressione.

Il partito che ha sconfessato Aris, d’altra parte, comincia a capire tardivamente gli errori compiuti, ma anziché correggerli li aggrava. Intraprende la prima azione armata assaltando un commissariato alle porte di Atene esattamente la notte prima delle elezioni, ma senza rivendicarla (lo farà solo un anno dopo, riducendo ulteriormente la sua credibilità).

La precisazione mi è parsa necessaria perché i conti con gli errori del KKE vanno fatti, ma non presentandoli caricaturalmente, o riconducendo ad essi la « vecchia scuola » in Syriza. Ma Tsipras sembra incapace di presentare correttamente le posizioni dei suoi oppositori. Così conclude la polemica sulla diserzione dalle responsabilità del presente con questa argomentazione deformante :

« Supponiamo che arriviamo alla conclusione teorica che noi, i ”saggi” della sinistra [più o meno l’equivalente dei ”gufi” di Renzi], maneggiamo meglio le condizioni obiettive rimanendo all’opposizione. Se noi confessiamo al popolo, gli occhi negli occhi, che siamo incapaci di gestire le cose stando al governo, come potrebbe il popolo darci fiducia per farlo dall’opposizione ? Nell’opposizione avremmo dieci volte meno potere. Se segue questa logica, la sinistra arriverà a chiudere volontariamente un’opportunità storica di condurre la lotta per cambiare le cose – finchè lo può – da una posizione di responsabilità ».

Il resto dell’intervista ha molti punti deboli, anche quando tocca temi corretti : si riparla ad esempio del debito, ma mettendo sullo stesso piano il deprezzamento, l’annullamento o l’alleggerimento del debito, che sono misure ben diverse. E perché se ne riparla solo ora, dopo una sconfitta, mentre si è tenuta la sordina per settimane sui risultati della Commissione internazionale di Audit voluta e sostenuta fortemente dalla presidente del parlamento Zoe Konstantopoulo, ma sostanzialmente ignorata da Tsipras, che ha assistito alla seduta in cui sono stati annunciati i primi risultati dell’indagine, ma non se ne è servito né nella trattativa con i creditori, né nell’informazione ai cittadini greci, che sono stati lasciati abbandonati alla pessima propaganda delle grandi TV private (degli armatori evasori legalizzati) e di quella pubblica, riaperta ma mettendo alla sua testa un esponente della oligarchia ?

Ma il peggio è che Tsipras è vittima delle false alternative che ha immaginato costruendosi oppositori di comodo : così come la Merkel e i suoi amici greci hanno puntato a presentare il referendum come una scelta tra euro e dracma, così all’accettazione del ricatto delle ”istituzioni” viene contrapposta da Tsipras una sterile fuga che nessuno ha proposto. Il problema eluso è quello delle battaglie da fare non al tavolo delle trattative con giocatori bari e mentitori, ma nel paese, contro i capitalisti e i finanzieri che hanno beneficiato dei crediti facili e hanno saccheggiato il paese. Invece, dopo mesi di totale inattività su questo terreno, la lotta all’evasione è concepita esattamente come da noi, controllando nei bar e nelle bottegucce gli scontrini delle caramelle e dell’insalata. Chi si sarebbe opposto se, smascherato qualche miliardario nullatenente ai fini fiscali grazie a una campagna di controllo dal basso, lo si metteva in carcere (non ai domiciliari nella villa con piscina) ?

Il problema non è del solo Tsipras e della sua cerchia ”presidenziale”. È di tutto il partito, che non a caso è rimasto fermo ai 30.000 iscritti che aveva prima di arrivare al governo. Visto che Tsipras ama citare (a sproposito) Lenin, potremmo ricordare che nel marzo 1917 i bolscevichi erano soli 23.000, ma divennero oltre 300.000 in pochi mesi di battaglie nei soviet, nelle fabbriche, nelle trincee al fronte, nel confronto con gli avversari nelle assemblee della sinistra. [Visto che Tsipras tira in ballo Lenin, gli raccomando una lettura particolarmente utile in caso di “catastrofe imminente”, che ho raccomandato in un mio articolo I consigli di Lenin e che ho poi riportata integralmente sul sito (Lenin e la crisi)]. Syriza in questi mesi si è rinchiusa, ha delegato al governo, ha dimenticato le battaglie che l’avevano portata dal 4% al 36%. Tsipras e Varoufakis potevano anche mettersi giacca e cravatta e rispettare le ipocrite formalità dei cortigiani di Bruxelles quando andavano a trattare, ma nel paese il partito doveva continuare a spiegare che di fronte a loro al tavolo c’erano dei gangster e dei mentitori di professione, protettori di chi aveva spremuto la Grecia come un limone. Ed è questo che va fatto e può ancora essere fatto. E nessuno avrà nostalgia del 4% di una volta…

Una riflessione conclusiva

Ho insistito su una sola delle esperienze greche dimenticate, ma Tsipras avrebbe dovuto riflettere di più anche sull’ascesa rapida e sul declino e crollo del Pasok, che nella sua prima fase aveva attratto gran parte dei militanti della sinistra delusi, ed era stato considerato in Europa un’esperienza interessante da seguire, con alcune analogie con Syriza. È stata la collaborazione di classe a liquidare rapidamente quell’esperienza.

Altri partiti, anche molto radicati e con tradizioni più solide del Pasok, come il partito comunista dell’Indonesia o il LLSP di Ceylon (Sri Lanka) hanno conosciuto crescite spettacolari e crolli a volte tragici come conseguenza di scelte opportuniste e di accettazione di governi interclassisti. Altri hanno solo finito per sparire o per restare insignificanti. Ma anche l’esperienza del PCI togliattiano, venerata in Syriza non solo da Tsipras, ma anche da parte dell’opposizione (si vedano gli accenni nel testo di Kouvelakis), pur non essendo paragonabile a quelle tragiche di molti paesi, ha nel suo bilancio anche decenni di potere democristiano e di rinascita della destra neofascista e monarchica, soprattutto in quel sud che nel 1943-1944 si era invece manifestato non meno radicale (insurrezioni di Matera, Napoli, Repubblica di Caulonia, CGL meridionale, ecc.) e che era rifluito poi a destra non per fatale predisposizione, ma per la delusione di fronte ai primi due anni di partecipazione della sinistra al regime badogliano e alla ricostruzione dello Stato borghese che era andato in crisi nel 1943. Su un altro dei riferimenti ideali di Tsipras in un passato recente, il PT di Lula, c’è anche da riflettere : non è crollato, ma è immerso negli scandali fino al collo, grazie alla disinvoltura con cui ha costruito (o comprato) le sue alleanze. Pur di governare…

Tsipras immagina sempre che chi lo contesta voglia ”tutto e subito”, a prescindere dalle condizioni oggettive. In realtà specialmente i militanti la cui formazione è stata direttamente o indirettamente influenzata dal trotskismo, sanno bene che a volte si devono e si possono accettare dei passi indietro, dei compromessi. Ad esempio Trotskij a Brest Litovsk non volle neppure leggere il testo del trattato di pace, lo firmò a occhi chiusi per rendere evidente che subiva i rapporti di forza sfavorevoli. Ma nella delegazione c’erano operai, contadini, soldati che, senza rispettare minimamente le forme e il galateo, distribuivano volantini insurrezionali ai soldati degli imperi centrali per invitarli alla diserzione.

In questi cinque mesi è questo che è mancato a Syriza, che pure aveva esperienze positive nel suo bagaglio comune e in quello di diverse sue componenti. Ma c’è stato qualcosa in più, che nella lunga intervista Tsipras non ha nemmeno sfiorato : la delega a Panos Kammenos e all’organizzazione AnEl di un settore delicatissimo della politica estera, quello militare, che ha portato ad accordi vergognosi di collaborazione con Israele e l’Italia, con addestramento di elicotteri israeliani in isole greche. E che ha tappato la bocca al governo su Israele, sulla NATO, sul ruolo di paesi imperialisti come l’Italia o la Francia, e in definitiva su cos’è questa Europa, e sul perché non si poteva confidare nella sua comprensione delle esigenze dei greci…

 

Il testo dell’intervista, trascritto in francese sul sito del CADTM, è su http://cadtm.org/Alexis-Tsipras-Le-peuple-grec-a

 

[1]La vicenda di Veluchiotis è affascinante, ma rimarrà per sempre oscura per molti aspetti. Egli si era infatti premurato di seppellire in un campo il suo archivio personale, che fu tuttavia trovato dopo la sua morte e bruciato per i nove decimi dal generale Katsotas. La parte residua, come tutti gli altri archivi della guerra civile, sono stati però definitivamente distrutti al momento della caduta del governo di Andreas Papandreu: l’accordo contro natura che portò per un breve periodo a un governo di unità nazionale tra la destra di Karamanlis e il KKE ebbe infatti tra le sue clausole la distruzione di quegli archivi, ipocritamente presentata come «pacificazione nazionale». Ho voluto ricordarlo qui non solo perché mi è caro, ma perché le manifestazioni dei giovani di Syriza contro l’accordo scandivano il suo nome.