Il terremoto che il 24 agosto ha colpito diversi paesi dell’Italia centrale, provocando centinaia di vittime e distruggendo interi centri abitati, ha costretto Matteo Renzi a cambiare il piano che aveva in mente per riprendersi dalla batosta delle elezioni amministrative.
Prima di quel tragico evento il Presidente del Consiglio aveva dettato la nuova linea ai suoi: per vincere il referendum costituzionale occorre dare un segnale forte fin dal mese di settembre, investendo soldi per finanziare le tante promesse, il bonus per i pensionati, la cosiddetta flessibilità in uscita per le pensioni, le nuove agevolazione fiscali per le aziende, il non aumento dell’IVA, i contratti del pubblico impiego.
Poi il terremoto ha cambiato tutto aggiungendovi la priorità di una “spesa” a favore delle popolazioni sinistrate che graverà sulla prossima finanziaria. Inoltre, come è stato ben detto in un articolo di Norma Rangeri, comparso sul quotidiano Il manifesto del 25 agosto, «non c’è altro evento più del terremoto capace di mettere a nudo lo sgoverno del nostro paese, l’incapacità delle classi dirigenti di mettere in campo l’unica grande opera necessaria alla salvaguardia di un territorio nazionale abbandonato all’incuria, alla speculazione, alle ruberie. Dal 2009 a oggi è stato messo in bilancio meno dell’1% del fabbisogno necessario alla prevenzione. E’ la cifra di un fallimento storico, morale, politico». Nonostante che la protesta sociale e l’opposizione politica all’attuale governo siano inconsistenti (si manifestano solo come movimento di opinione in occasione delle elezioni premiando il Movimento 5 Stelle), l’Italia è osservata con preoccupazione dalle classi dirigenti europee e non. La sua struttura economico-sociale, nonché quella istituzionale presentano elementi di instabilità. Il Prodotto Interno Lordo non cresce, gli investimenti non ci sono, malgrado le agevolazioni fiscali introdotte. Il tasso di disoccupazione giovanile è tra i più alti d’Europa. Il Jobs Act non ha creato nuovi posti di lavoro, ha però distrutto un tessuto di diritti del lavoro, creando una manodopera ricattabile e licenziabile. La situazione delle banche continua ad essere delicata e a rischio. 3.200.000 lavoratrici e lavoratori, che dal 2010 al 2015 non hanno avuto alcun aumento salariale, con un danno quantificabile in 212 euro mensili sottratti ai dipendenti pubblici in questo periodo, si apprestano a rinnovare i contratti per i quali le direzioni sindacali chiedono che siano resi disponibili 7 miliardi.
Per la legge finanziaria Renzi spera di riuscire a ottenere nuove deroghe sugli impegni presi circa la riduzione del debito. Eccolo dunque a cercare un posto di primo violino accanto alla Merkel, direttrice dell’orchestra europea, con l’intento di strappare la promessa di poter sforare nuovamente per il 2017 il vincolo dell’1,2% imposto dai controllori europei, per varare una finanziaria in grado di dare contentini al fine di agevolare la campagna elettorale per l’approvazione della riforma costituzionale. Altro punto dolente infatti è il referendum costituzionale previsto per l’autunno. La vittoria del “no” alla riforma, proposta dal governo, aprirebbe una crisi politica. Ecco perché il “nostro” prima aveva assicurato che in caso di sconfitta si sarebbe dimesso e poi, ridotto a più miti consigli, ha affermato esattamente l’opposto: rimarrò in carica; infatti le classi dominanti non vedono una credibile alternativa moderata al suo governo. Ma anche se vincesse il “sì” alla riforma costituzionale, le variazioni introdotte e la contemporanea presenza della nuova legge elettorale detta Italicum, potrebbe portare a un ballottaggio fra il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle. E con l’aria elettorale che tira potrebbe risultare vincitore il M5S alle elezioni del 2018.