Pubblichiamo questo interessante articolo di Daniel Tanuro che analizza il dibattito sorto in Belgio attorno alla proposta di introdurre una tassa sulla CO2. Pur riferendosi al Belgio, troviamo qui molti elementi di analisi e discussione validi anche per la Svizzera. Ricordiamo infatti che la tassa sulla CO2 è uno degli strumenti più importanti contenuti nella nuova Legge sulla CO2, approvata di recente dal Parlamento nazionale e oggetto di un referendum che noi sosteniamo. (Red)
La tassa sulla CO2 è una truffa antisociale. In primo luogo, perché l’aliquota dell’imposta è indipendente dal livello di reddito, il che è ingiusto per principio. In secondo luogo, perché la tassa ignora il fatto che le classi privilegiate hanno un accesso molto più facile alle tecnologie a basse emissioni di carbonio rispetto alle altre, sia dal punto di vista finanziario che in termini delle informazioni di cui hanno bisogno. Le classi popolari non si sbagliano su questo. In Francia, la natura antisociale della tassa sulla CO2 è stata la base del grande movimento dei Gilets Jaunes. Sarkozy aveva già dovuto abbandonare il progetto di una tassa simile qualche anno prima. In Belgio, le ecotasse introdotte quando i Verdi erano entrati al governo nel 1993 erano così odiate che il governo Di Rupo dovette rassegnarsi ad abolirle diciannove anni dopo.
Nonostante ciò, la tassa sul CO2 sta guadagnando terreno. Alla COP 21 di Parigi, la maggior parte delle multinazionali (comprese le compagnie petrolifere) e dei gruppi o istituzioni capitaliste si schierate a favore della fissazione di un prezzo del carbonio in nome del clima. La British Columbia, la Norvegia e la Svezia applicano una tassa sulla CO2 da diversi anni; il Lussemburgo inizierà l’anno prossimo, così come la Germania e i Paesi Bassi. La Commissione europea vuole accelerare il passo. Il salvataggio del clima dipende dal prezzo del carbonio, ad esempio una tassa sul CO2? Questo è quello che vogliono farci credere, ma non è vero: truffa antisociale, la tassa sulla CO2 è anche una truffa climatica.
Per avere una possibilità su due di rimanere al di sotto di 1,5°C di riscaldamento, le emissioni di CO2 devono diminuire del 55% prima del 2030 a livello globale, e di almeno il 65% nei paesi sviluppati, secondo l’IPCC (1). Per raggiungere questo obiettivo, aumentando il prezzo del carbonio, il prezzo dovrebbe salire molto rapidamente fino a diverse centinaia di dollari per tonnellata in alcuni settori come il trasporto aereo. Ciò è ovviamente incompatibile con la redditività del capitale – non solo nel settore fossile, ma anche per la ripercussione su tutta l’economia capitalista, poiché essa dipende per l’80% dai fossili. La Norvegia, spesso citata come esempio, ha introdotto una tassa di 40 euro a tonnellata: e questo dà già un’idea… Tutti i discorsi a favore della tassa sulla CO2 presentano la stessa contraddizione: da un lato ci viene detto che il prezzo della CO2 deve assolutamente aumentare per salvare il clima, e dall’altro i prezzi praticati o previsti rendono assolutamente impossibile farlo. Sorge quindi la domanda: qual è lo scopo della tassa sulla CO2, di quale progetto essa è lo strumento?
Il contesto europeo
Per illustrare adeguatamente questo aspetto, prenderemo il caso dell’Unione europea. Negli ultimi anni essai ha stabilito quote di emissione, ha distribuito queste quote gratuite e in eccesso alle aziende dei principali settori industriali, ha permesso loro di vendere le eccedenze sul mercato del carbonio e ha creato un sistema che permette loro di esternalizzare le riduzioni delle emissioni sostituendole con i cosiddetti “investimenti puliti” nei paesi del Sud. È quello che viene denominato European Trading Scheme (ETS). In breve, garantisce alle grandi aziende modi indolore di ridurre le loro emissioni (e soprattutto di agire come se le riducessero). Tutto questo gioco di prestigio della politica climatica è subordinato agli imperativi di crescita del mercato delle “tecnologie verdi”, che sarebbero le tecnologie del futuro.
Su questo mercato, la concorrenza è agguerrita con la Cina e gli Stati Uniti. Allo stesso tempo, l’opinione pubblica vuole che il clima venga salvato. L’UE sta quindi aumentando le sue ambizioni in materia di clima: riduzione del 55% delle emissioni di CO2 entro il 2030, neutralità carbonica entro il 2050. L’obiettivo è quello di “tirare” l’innovazione mantenendo un certo livello di consenso popolare. Si noti che l’obiettivo del 2030 è insufficiente rispetto al 65% necessario. Inoltre, attenzione: si tratta di ridurre le emissioni “nette”. Cosa significa questo? Che una parte delle emissioni può essere compensata piantando alberi e immagazzinando CO2 nel sottosuolo (2). Si tratta di false soluzioni perché 1°) gli alberi assorbono la CO2 solo temporaneamente, 2°) non c’è garanzia che la CO2 non fuoriesca dai serbatoi geologici in cui è immagazzinata (3). Perché si scelgono queste false soluzioni? Perché permettono di evitare l’unica vera soluzione possibile, che consisterebbe nell’adottare misure strutturali per produrre meno, trasportare meno e condividere di più, cioè misure contrarie alla logica capitalistica. Tutta la politica dell’Unione si basa su questa logica.
E la tassa sulla CO2 in tutto questo? Il problema è che la politica delle quote e le false soluzioni non ci permettono di raggiungere la riduzione “netta” del 55%. Poiché non vogliono imporre misure vincolanti ai principali settori industriali, i governi si rivolgono al resto della società. È qui che entra in gioco la tassa sulla CO2: colpirà settori al di fuori del sistema ETS, ovvero l’edilizia, i trasporti, l’agricoltura e i rifiuti. Le aziende di questi settori pagheranno l’imposta e trasferiranno la maggior parte di essa alle famiglie. In definitiva, l’obiettivo è quello di costringere le persone individualmente a “cambiare il proprio comportamento”, il che significa anche controllare il loro comportamento e punire coloro che sono recalcitranti.
Questo approccio neoliberale ignora (o finge di ignorare) il fatto che alcune persone possono permettersi di investire in tecnologie a basse emissioni di carbonio e altre no. I primi saranno ricompensati per la loro “buona condotta”, i secondi passeranno alla cassa. Ciò è tanto più ingiusto in quanto uno studio di Oxfam ha appena rivelato che i più poveri sono gli unici a ridurre le loro emissioni: i più ricchi le aumentano costantemente (4). In breve, la funzione della tassa non è quella di salvare il clima, ma di cercare di salvare il produttivismo aziendale e il consumismo dei ricchi alleviando un po’ la catastrofe climatica causata da questo produttivismo e consumismo, sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici (5).
Soprattutto non parlate di “tasse”…
Il programma del nuovo governo belga, ad esempio, si inserisce in questo contesto. Si afferma che Vivaldi (sigla del governo di coalizione belga comprendente diverse correnti politiche tra le quali anche i Verdi NdT) prevede di introdurre “uno strumento fiscale” per “scoraggiare il più possibile l’uso dei combustibili fossili” attraverso “segnali di prezzo”. Alla Camera, il ministro dell’Ambiente, Zakia Khattabi, ha dichiarato che “prenderà l’iniziativa all’interno del governo di fare proposte concrete per introdurre tali prezzi senza indugio” (6). Questa affermazione ha causato un incredibile trambusto. Gli N-VA (partito di opposizione NdT) hanno sparato a zero, il PTB ha denunciato una “ecotassa antisociale” contro “i più poveri”, e i partner di maggioranza dei Verdi si sono precipitati davanti alle telecamere per prendere le distanze da Khattabi: non si tratta di introdurre una nuova tassa, hanno detto, il programma Vivaldi non la prevede.
Preso alla lettera, è vero: la Bibbia di Vivaldi evita accuratamente la parola “tassa” (che è tabù) e la parola “eco-tassa” (che è ancora più tabù!). Tuttavia, è inutile tentare di girarci attorno: “uno strumento fiscale per scoraggiare certi usi attraverso segnali di prezzo” è la definizione di una “(eco)tassa”! Allora, perché tutto questo trambusto? La risposta è semplice: tutti i partner di governo sono favorevoli al provvedimento, ma tutti temono di essere tacciati di intenzioni “antisociali”. Il quotidiano Le Soir cita un esperto che ha il merito della franchezza: “Bisogna evitare di usare la parola tassa”, consiglia. Il dibattito deve essere portato avanti e concluso con le parole giuste (7). Il dibattito deve essere “confezionato” a dovere e il mondo del lavoro deve essere imbrogliato!
Infatti, i partiti Vivaldi sono d’accordo su tre cose: 1°) ci deve essere una tassa, 2°) si deve dare l’impressione che questa tassa non sia una tassa, ma un indispensabile “strumento” per salvare il clima; 3°) non si deve dire nulla di questo “strumento” fino a quando la pillola amara non sarà ben confezionata. Impacchettato in cosa? Nella “giustizia sociale”, naturalmente! Il problema è che la “giustizia sociale” – quella vera – è inconciliabile con il neoliberismo. E il problema all’interno del problema è che i quattro partiti che formano la coalizione di governo Vivaldi (RM, PS, Democrazia cristiana e Ecolo) devono assumere il neoliberismo di fronte a elettorali diversi. Per questo il programma Vivaldi deve compiere un atto di equilibrismo: “lo strumento fiscale” sarà “neutro dal punto di vista del bilancio”, le sue entrate “saranno restituite alla popolazione e alle imprese”, si farà attenzione a “preservare la posizione competitiva delle imprese e il potere d’acquisto delle famiglie” e, se necessario, “si procederà a una correzione sul piano sociale e territoriale”. Questo è il compromesso in stile belga.
La colpa di Zakia Khattabi (ministra ecologista NdT) non è di aver tradito il programma Vivaldi. Il suo errore è quello di aver profilato il suo partito presentando lo “strumento fiscale” in una confezione troppo verde. Infatti, nel suo briefing politico, il ministro scrive: “È importante una riforma fiscale decisamente orientata verso una transizione verde e verso il raggiungimento dei nostri obiettivi climatici. Importanti passi preparatori verso un prezzo del carbonio sono già stati compiuti nel precedente Parlamento. Prenderò l’iniziativa all’interno del governo di avanzare proposte concrete per introdurre senza indugio tale prezzo nei settori al di fuori dell’ETS e accompagnarlo con le misure necessarie a garantirne il carattere socialmente giusto” (8).
Le reazioni indignate degli altri principali membri della maggioranza a questa dichiarazione sono caratterizzate dalla più bieche posizioni politiciste. In questa materia – sta diventando un’abitudine – il primo premio va al presidente della MR. “Non ci sarà nessuna tassa sul carbonio”, ha detto con il tono di un primo console. “Ci deve essere una tassa sulla CO2″, ha detto allo stesso tempo il suo compagno Pierre Wunsch. E il direttore della Banca nazionale ha aggiunto: “Gli ambientalisti hanno avuto il coraggio di dirlo, ora non osano più parlarne tanto. Ma la maggior parte degli economisti è d’accordo. Senza una tassa sulla CO2, non ce la faremo” (alla neutralità carbonica DT) (9).
Cambiare i comportamenti individuali, non il sistema
È necessario comprendere a fondo la portata della precisione della ministra Khattabi: “lo strumento fiscale” sarà introdotto “in settori al di fuori dell’ETS”. I progetti energetici di Vivaldi fanno luce sulla portata antisociale e anticlimatica di questo impegno. Sappiamo infatti che il governo vuole uscire dal nucleare, come previsto, nel 2025. Molto bene, tranne per il fatto che sostituirà Doel e Tihange (due centrali nucleari NdT) con centrali a gas in funzione solo quando le energie rinnovabili non produrranno abbastanza. Per garantire la fornitura, la coalizione offre un incentivo da 600 a 800 milioni di dollari all’anno alle aziende elettriche per investire in questi impianti intermittenti. Tuttavia, 1°) queste centrali elettriche fanno parte dei settori ETS, quindi non pagheranno la tassa sulla CO2; 2°) aumenteranno le emissioni di CO2; 3°) Engie-Electrabel, che sta lavorando duramente per catturare la maggior parte di questo mercato, non ha pagato un centesimo di tasse dal 2017 (10). La truffa sociale e climatica è completa qui… e l’uscita dal nucleare un misero premio di consolazione per l’elettorato verde.
Con lo “strumento fiscale”, lo slogan “cambiare il sistema non il Clima” diventa “cambiare i comportamenti individuali, non il sistema”. La truffa è grande, molto grande… Come la confezionerà il governo? Come eviterà una rivolta in stile “gilets jaunes” da parte di chi non può permettersi un comportamento ecologicamente corretto? Il programma Vivaldi parla di uno “strumento fiscale fiscalmente neutro” le cui entrate “saranno restituite alle persone e alle imprese”. Un bluff? Non sono sicuro, ci sono dei precedenti.
Nella Columbia Britannica, per esempio. Nel 2008, il Partito liberale al potere in quella parte del Canada ha introdotto una tassa di 10 dollari canadesi per tonnellata di CO2. Nel 2012 è stata portata a 30 dollari e poi congelata a quel livello. I ricavi sono stati ridistribuiti alle famiglie più modeste e (oltre il 50%!) alle imprese sotto forma di agevolazioni fiscali. Va sottolineato che la British Columbia non aveva un sistema di scambio di diritti, come l’ETS. Le sue emissioni sarebbero diminuite del 5-15% nel periodo (un risultato paragonabile a quello dell’ETS in Europa). (11)
Non sarebbe sorprendente se Vivaldi utilizzasse questo esempio liberal-sociale-verde per la sua tassa (scusate: il suo “strumento fiscale”) al di fuori dell’ETS. Questo si adatta bene al suo progetto politico, che si può riassumere in una sola formula: tanto neoliberismo, un po’ di carità, un po’ di ecologia, molta polvere negli occhi. Il sistema ideato dal governo di Bruxelles per modulare il prezzo del carbonio in funzione della capacità cubica dei veicoli, in particolare, è un tentativo di confezionare un pacchetto regalo di questo tipo. Ne riparleremo ancora. Da parte nostra, invitiamo alla resistenza: no alla tassa sulla CO2! No al capitalismo verde! Sì ad una politica ecosocialista, veramente sociale e veramente ecologica! u
*articolo apparso sul sito di Gauche Anticapitaliste (Belgio) il 10 dicembre 2020. La traduzione è stata curata dalla redazione di Solidarietà.
- Relazione speciale 1,5°C, Sintesi per i responsabili delle decisioni
- “Cattura e sequestro del carbonio geologico” – CCS
- Le piantagioni di alberi nel Sud del mondo implicano l’appropriazione neocoloniale delle terre e trasformano i paesi poveri in contenitori di CO2 per i paesi ricchi, ma lascio questo aspetto da parte.
- Il 10% più ricco dei cittadini dell’UE è responsabile di oltre un quarto (27%) delle emissioni dell’UE, la stessa quantità della metà più povera della popolazione dell’UE messa insieme. Il 40% degli europei nella fascia di reddito medio è responsabile del 46% delle emissioni e l’1% più ricco del 7%. La metà più povera della popolazione europea ha ridotto le proprie emissioni di quasi un quarto (24%) e la metà di reddito medio del 13%. Al contrario, il 10% più ricco degli europei ha aumentato le proprie emissioni del 3% e questo aumento raggiunge il 5% tra i più ricchi dell’1% – La Libre, 8/12/2020.
- La carbon tax che Sarkozy ha cercato di imporre nel 2013 lo ha chiarito: prima fissata a 30 euro/tonnellata, poi ridotta a 17 euro/tonnellata, è stata respinta dal Consiglio Costituzionale, che ha rilevato che le principali industrie inquinanti sarebbero state escluse!
- La Libre, 10/11/2020
- Le Soir, 13/11/2020
- La Libre, 10/11/2020
- Le Soir, 13/11/2020
- grazie al sistema delle “latenze fiscali fittizie”.
- Brian C. Murray & Nichols Rivers, “BC’s Revenue Neutral Carbon Tax: a Review of the Last ‘Grand Experiment’ in Environmental Policy”, Duke Nicholas Institute & U Ottawa Institute of the Environment, Working Paper NI WP 15-14, maggio 2015