L’iniziativa “Per cure infermieristiche forti”, sulla quale saremo chiamati a votare il prossimo 28 novembre, giustifica la proposta sottolineando il legame tra un numero sufficiente di collaboratrici qualificate, buone condizioni di lavoro e qualità delle cure. Sottolinea anche che la professione è attualmente caratterizzata da una percentuale molto alta di infermiere/i qualificate/i che lasciano la professione dopo pochi anni di pratica, stremati dalle condizioni di lavoro prevalenti negli ospedali.
Tutto questo è assolutamente indiscutibile, ed è stato confermato ormai da molto tempo sia dall’esperienza di coloro che esercitano la professione, sia da una serie di studi scientifici [1].
Tutto ciò è più che sufficiente per motivare un impegno deciso per un SÌ a questa iniziativa.
Non si può tuttavia dimenticare che l’Associazione svizzera delle infermiere (ASI), promotrice dell’iniziativa, affronta queste questioni essenziali da un punto di vista corporativista piuttosto ristretto, ignorando in particolare il contributo indispensabile di tutto l’altro personale sanitario che non ha un diploma infermieristico.
Ma, al di là di questo, l’iniziativa solleva anche altri punti cruciali sia dal punto di vista della politica sanitaria, sia da quello, più ampio e generale, della politica sociale.
Rompere il blocco dei finanziamenti agli ospedali
Si pone inevitabilmente la domanda sul perché le condizioni di lavoro nella sanità si siano deteriorate al punto da essere fonte di sofferenza per molte delle donne e degli uomini che vi lavorano.
Le condizioni di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici del settore sanitario non sono facili ormai da molto tempo anche se la situazione è decisamente peggiorata negli ultimi anni. E non principalmente a causa della pandemia di Covid-19, anche se questo può aver esacerbato il sovraccarico di lavoro in diversi reparti degli ospedali.
La causa di questo deterioramento risiede nel nuovo sistema di finanziamento ospedaliero, entrato in vigore nel 2012 per le cure somatiche acute, successivamente esteso alle cure psichiatriche e che sarà applicato anche alle cure di tipo riabilitativo a partire dal 2022.
Questo sistema di finanziamento, adottato dal Parlamento e, purtroppo, non contestato per via referendaria, si basa sul cosiddetto sistema dei DRG (Diagnosis Related Groups), che si basa sull’articolazione di prezzi pseudo-fissi per i vari tipi di cure ospedaliere. Il suo effetto previsto è quello di generare un crescente vincolo finanziario sugli ospedali, che si suppone li costringa ad essere sempre più “efficienti” da un punto di vista finanziario, cioè a fornire i loro servizi a costi sempre più limitati. Il modello economico fornito esplicitamente agli ospedali come punto di riferimento è quello della produzione industriale, come, ad esempio, quello della produzione automobilistica: i DRG dovrebbero costringere gli ospedali a ripensare i loro “processi” di cura in modo da ridurre i loro “costi unitari di produzione“; ad esempio, riuscendo a fissare in modo preciso il “costa” per la cura di un paziente che ha bisogno di un’operazione di bypass coronarico.
È chiaro che la “variabile di aggiustamento” per gli ospedali coinvolti in questa dinamica è quella del personale, e quella della maggioranza del personale infermieristico in particolare. Da un lato, esercitando una pressione diretta sulla massa salariale, limitando il livello di retribuzione o, per esempio, sostituendo il personale con qualifiche di livello terziario con personale con qualifiche di formazione meno riconosciute. D’altra parte, aumentando il carico di lavoro, aumentando la flessibilità delle ore imposte, frammentando i vari compiti, riducendo il più possibile il tempo disponibile per qualsiasi atto non fatturabile… e aumentando all’infinito, o quasi, il tempo amministrativo per documentare qualsiasi atto fatturabile. In breve, creando la situazione giustamente denunciata come insopportabile da parte del personale infermieristico [2].
Il secondo obiettivo esplicito del nuovo sistema di finanziamento ospedaliero – la presunta equiparazione dell’impresa pubblica e privata in termini di “accesso al mercato” e di finanziamento – rafforza ulteriormente questo effetto. Il settore privato è apertamente incoraggiato ad aumentare la propria presenza nel settore ospedaliero con la motivazione che sarebbe “più efficiente“. Lo fa aumentando l’offerta in ciò che sa essere redditizio: procedure pianificabili e non complesse, come ad esempio quelle ortopediche, lasciando il resto, soprattutto la cura complessa degli anziani, agli ospedali generalisti pubblici. Recenti decisioni giudiziarie sulla pianificazione ospedaliera nei cantoni di Ginevra e Neuchâtel [così come in Ticino NdT] hanno confermato che la legge sul finanziamento degli ospedali è assai ben concepita proprio nella prospettiva di sostenere il settore privato nei suoi progetti espansionistici. La conseguenza automatica di tutto ciò è l’aumento dell’onere finanziario per gli ospedali pubblici, che finisce per ricadere sul personale (oltre che sui pazienti e la qualità delle cure).
La conclusione su questo punto è evidente: una lotta coerente per condizioni di lavoro decenti negli ospedali, che sono indispensabili per cure di qualità, deve includere una lotta per eliminare l’attuale modello DRG di finanziamento degli ospedali. I sindacati, specialmente quelli che rappresentano i lavoratori delle cure, dovrebbero farlo diventare un loro obiettivo. Ma non solo loro. Quando era ancora consigliere di Stato, Pierre-Yves Maillard ha denunciato gli effetti deleteri del nuovo finanziamento ospedaliero, che ha osservato direttamente come capo del dipartimento della sanità del canton Vaud. Come presidente dell’Unione sindacale svizzera (USS), dovrebbe capire ancora meglio (se è possibile) l’importanza di combattere questo modello.
Un’assicurazione che valga la pena
L’argomento finanziario è usato per contrastare la richiesta di una rivalorizzazione delle cure infermieristiche: le cure sanitarie sarebbero troppo costose. L’ASI, come spesso accade alle organizzazioni dei salariati in queste situazioni, accetta, purtroppo, di entrare in questo gioco, sostenendo che investire nell’assistenza infermieristica farebbe risparmiare denaro. Un argomento poco convincente. Sarebbe invece meglio dire le cose come stanno, e cioè:
l In primo luogo, il vero problema della spesa sanitaria non è il livello di questa spesa [3], ma il modo in cui viene finanziata. È il sistema dei premi pro-capite che rende i contributi dell’assicurazione malattia insostenibili per una gran parte della popolazione; un finanziamento secondo il modello AVS, con contributi proporzionali al reddito, risolverebbe questa difficoltà.
l In secondo luogo, è ragionevole investire di più nel personale di cura e questa è una scelta che la maggioranza della popolazione può considerare legittima. Perché rappresenta una forma di accesso e di garanzia di qualità in un settore essenziale per tutti. Facciamo un’analogia: ogni anno si spendono miliardi per la difesa nazionale. Per i sostenitori dell’esercito, questo è il premio assicurativo necessario per garantire la sicurezza e l’indipendenza della Svizzera [4]. Tuttavia, per decenni (per non andare più indietro), il premio è stato pagato puntualmente, ma l’esercito non ha mai effettivamente svolto il suo ruolo. La questione della sua abolizione è a dir poco legittima. Lo stesso non si può dire per gli investimenti nel settore delle cure. Questo crea le condizioni per un miglioramento immediato della qualità delle cure. Ed è una polizza di assicurazione nel caso in cui una pandemia, per esempio, distrugga il sistema sanitario. L’esperienza degli ultimi due anni mostra quanto può essere alto il prezzo per il personale e per la società nel suo insieme se si continuerà a considerare gli ospedali alla stessa stregua di fabbriche che devono produrre al minor costo possibile e just-in-time.
Definire collettivamente condizioni di lavoro dignitose
Con le sue disposizioni transitorie, l’iniziativa entra anche in un’area troppo trascurata: quella della definizione collettiva di condizioni di lavoro adeguate a raggiungere un obiettivo, in questo caso la garanzia di “cure infermieristiche sufficienti e di qualità” (art. 117c). Da un lato, l’iniziativa invita la Confederazione e i Cantoni a emanare disposizioni per una “remunerazione adeguata delle cure infermieristiche” (lett. b) e, dall’altro, a fare altrettanto per “condizioni di lavoro adeguate alle esigenze delle persone che lavorano nel settore infermieristico” (lett. c). Questa disposizione si riferisce in particolare all’idea di fissare quote di personale infermieristico per paziente o per letto d’ospedale.
In altre parole, l’iniziativa difende, giustamente, l’idea che la definizione delle condizioni di lavoro (salari, livelli di personale e quindi orari di lavoro) non dovrebbe essere lasciata ai datori di lavoro o ai cosiddetti meccanismi di mercato (che è poi la stessa cosa), ma dovrebbe essere fatta dalla comunità, sulla base di obiettivi che la società considera prioritari, in questo caso la garanzia di cure di qualità.
Non sorprende che gli oppositori all’iniziativa, così come il Consiglio federale guidato dal socialista Alain Berset, ritengano che questo requisito non possa trovare spazio nella Costituzione: per loro, questa è una questione di potere che compete ai datori di lavoro e tale deve rimanere.
Di fronte a questa levata di scudi, la reazione dell’ASI è stata piuttosto quella di mettere in sordina questo aspetto dell’iniziativa, a favore della rivalutazione più consensuale della formazione. Si tratta di un riflesso comune, ma comunque sbagliato, nel mondo delle organizzazioni dei salariati. È la dinamica opposta che i sindacati dovrebbero promuovere: usare questo esempio e la sua popolarità come base per estendere a tutti i settori di attività la richiesta che la comunità, i lavoratori e le lavoratrici direttamente interessati/e abbiano il controllo su ciò che viene prodotto dal lavoro, su come viene prodotto e sulle condizioni in cui il lavoro viene svolto. Un vecchio programma… d’attualità.
*articolo apparso l’8 novembre 2021 sul sito www.alencontre.org. La traduzione in italiano è stata curata dal segretariato MPS.
[1] Su questo argomento, si veda in particolare la presentazione dei risultati della recente indagine dell’Ufficio federale di statistica (UST) sugli incidenti e altri problemi di salute legati al lavoro: https://mps-ti.ch/2021/10/condizioni-di-lavoro-in-svizzera-alcuni-dati-da-utilizzare-e-sui-quali-riflettere/
[2] Anche se il quadro giuridico è diverso, meccanismi simili, che vincolano la spesa e favoriscono l’espansione del settore privato, sono all’opera nel campo dell’assistenza a domicilio e in quello delle case anziani, con gli stessi effetti sul personale, in particolare quello infermieristico.
[3] Ci sono ovviamente enormi accordi nel settore sanitario che contribuiscono a gonfiare le spese. Lo scandalo dei brevetti sui vaccini è uno degli ultimi esempi. L’attuale politica di “lotta contro l’aumento dei costi della sanità” non fa nulla per combattere questa realtà; al contrario, mira esplicitamente ad aumentare la portata del capitale privato nella sanità, che non si fa scrupoli a fare affari in essa (è persino il loro lavoro!).
[4] Naturalmente, altri interessi sono legati all’esistenza dell’esercito, dal mantenimento dell’ordine agli affari molto redditizi che garantisce ad alcuni. Ma la motivazione ufficiale della sua esistenza è quella della difesa nazionale.