È uno spettacolo di illusionismo lungo 30 anni quello che è andato in scena in Ticino attorno al settore della moda e questo la dice lunga sulla reale capacità (o volontà) delle autorità a fare scelte sensate per lo sviluppo economico del Cantone. Ora che il castello di carte (false) è crollato e quel che resta sono milioni di imposte che i comuni dove erano attive le sedi della LGI (Luxury Goods International) dovranno rimborsare. Oltre il danno la beffa: finora si era parlato solo di mancate entrate generate dalla partenza della LGI dopo che il fisco italiano e francese hanno provato che le attività che figuravano in Ticino in realtà erano svolte in Italia e in Francia, ma non di rimborsi.
È già a questo punto un paio di domande sorgono spontanee: ma sono solo i comuni che devono rimborsare le imposte o anche il Cantone, che rimane muto sulla faccenda? La LGI dopo anni di tappeti rossi stesi dalle autorità ha chiesto il rimborso delle tasse per le attività falsamente dichiarate in Ticino? Altro che beffa, è proprio una presa per i fondelli, ed è solo l’ultima di una lunga serie.
Cominciamo dal gettito fiscale del settore moda, che secondo il governo era pari a 90 milioni. Un po’ tantino se si pensa che il gettito di tutte le 1’355 società a tassazione privilegiata in Ticino era di 92.7 milioni di franchi, tenendo conto delle entrate annuali dell’imposta sull’utile dei Cantoni e dei Comuni, compresa la quota dei Cantoni sull’IFD delle persone giuridiche, nella media 2012-2014, gli anni prima delle grandi partenze. Vabbè, avranno incluso anche l’IFD, robetta da principianti.
Il vero spettacolo, quello degno di Houdini, arriva quando si comincia ad intuire che la moda è nel mirino delle autorità fiscali estere. Appena la LGI – a seguito delle rivelazioni di stampa sulle pratiche di evasione fiscale di Kering – annuncia una “ristrutturazione” delle attività in Ticino e lo spostamento di 150 dipendenti in Italia, come per miracolo il numero delle aziende attive nel settore moda e dei posti di lavoro lievita più del doppio: 700 aziende e 9’000 posti di lavoro!

Con un’azione concordata, le “nuove cifre” vengono citate dall’allora capogruppo PLRT in Gran Consiglio Alex Farinelli il 12 ottobre 2018 durante un dibattito televisivo, dal consigliere di Stato Christian Vitta il 14 ottobre sul settimanale Il Caffè e da Giovanni Scolari dell’OCST, che aveva appena sottoscritto il contratto aziendale con LGI, il 21 ottobre (sicuramente una coincidenza che fossero gli unici tre al corrente di questo ennesimo “miracolo economico”). Pressato da atti parlamentari dell’MPS, il governo spiega che queste cifre sono frutto di una “una rivalutazione e attualizzazione dei dati” richiesta all’IRE di uno studio del 2013 e include una marea di rami economici, dai cardatori di lana, alla raffinazione di metalli preziosi, alla lavorazione delle pietre preziose, passando per la fabbricazione di orologi. Nello studio però era precisato chiaramente che questi rami “non rientrano direttamente nella catena di produzione del meta-settore”. Era solo – secondo la definizione degli autori – “una riflessione più ampia rispetto alle possibilità di migliorare i legami economici tra Svizzera e Italia”; ma se interrogato sull’argomento il Lodevole Consiglio di Stato si limita alla solita risposta: “non ne sappiamo niente, bisogna chiedere all’IRE”. È con questo senso acuto del dovere, con questa serietà, che le massime autorità dello stato decidono il futuro economico di un intero cantone perché – ricordiamolo – la Moda fino pochi anni fa era considerata un “settore di punta” e che ancora recentemente è stata decisa la creazione di una “Scuola di moda” a Chiasso.
E che dire delle stime faraoniche degli indotti generati in Ticino dai quadri del settore moda, che una volta interrogati dalle autorità fiscali del loro paese hanno ammesso di non aver mai lavorato e vissuto nel nostro Cantone? Non ci sono solo i due successivi Ceo della Gucci, che hanno entrambi affittato un appartamento nello stesso “Residence” di Paradiso e hanno ottenuto entrambi la tassazione da globalista malgrado il loro affitto fosse pagato direttamente della LGI (non è una forma di reddito, ha risposto in maniera piuttosto confusa il governo), ci sono anche una quarantina di quadri di Kering (27 per la sola Gucci) che nella nostra soleggiata terra non han mai messo piede; eppure se interroghi il Consiglio di Stato, questo ti risponde che sono stati effettuati controlli ed era tutto in ordine. Ma chi li ha effettuati questo controlli? Le tre scimmiette (non vedo, non sento, non parlo)? Dettaglio: questi quadri, che han pagato le imposte in Ticino dove non han mai lavorato, ora possono chiedere il rimborso della imposte, che andranno a sommarsi a quelli da ridare al gruppo, un AFFARONE, non c’è che dire!
Senza parlare delle sceneggiate che andavano in onda regolarmente ogni anno con l’”assemblea di TicinoModa”. Marina Masoni, la presidentissima (suo cognato era nel CdA di LGI fin dagli inizi), sul palco a spiegare quanto fosse importante il settore moda per il Cantone, e sotto un parterre di fans adoranti – con Christina Vitta in prima fila – ad applaudire e scuotere la testolina su e giù come quegli orrendi cagnetti finti che si vedevano tanti anni fa sul lunotto posteriore di alcune auto. Da quando Kering ha “ristrutturato”, finite anche le mega-assemblee. Ma bastava dare un’occhiata alla pagina ufficiale di Ticino Moda per capire che era tutta fuffa: una trentina di aziende affiliate e neanche una propria sede (l’indirizzo della sede era quella della Camera di Commercio del Ticino).
Son trent’anni di illusioni vendute ai cittadini e quelli che abbiamo qui evocato sono solo pochissimi esempi. L’MPS ha inoltrato decine di interrogazioni sul settore moda, ma la risposta del governo è sempre la stessa: io non c’ero e se c’ero dormivo. Sarebbe interessante una volta scoprire come sono state scelte le sedi dei capannoni LGI: in base alle maggioranze politiche? Scommettendo sulla “serietà” dei controlli? Per farne degli esempi su come un ameno comune può diventare ricco chiudendo gli occhi? Quel che è certo è che ora del “settore di punta” rimangono capannoni vuoti, imposte da rimborsare e costi esterni generali dal traffico dei camion scaricati sulla collettività; e, come sempre, nessuno dei principali attori ha il coraggio di assumersene le responsabilità.