Come previsto oggi il Gran Consiglio ha bocciato una mozione (del 2019 !!!) di Angelica Lepori che chiedeva di introdurre in tutti gli ordini di scuola modelli di insegnamento basati sull’educazione al genere in grado di rimettere in discussione gli stereotipi tradizionali, di introdurre corsi di formazione continua per gli e le insegnanti di tutte le discipline e tutti gli ordini scolastici di educazione al genere e di rivedere i piani di studio in modo da assegnare una collocazione chiara e definita alla dimensione di genere nelle varie discipline, coerentemente con i recenti contributi della ricerca scientifica. Dopo la discussione sull’agenda, nella quale tutti – a parole – hanno insistito sulla necessità di un intervento serio affinché la scuola fosse un luogo nel quale affrontare questi temi, ecco la grande alleanza di verdi, azzurri, rossi e neri che si sono uniti per bocciare una mozione che chiedeva un cambio di paradigma decisivo. (Red)
Nel rapporto relativo alle due mozioni in esame si fa costantemente confusione tra la necessità, pure importante, di promuovere i percorsi di formazione delle donne anche nelle filiere formative prevalentemente maschili (senza per altro affermare la necessità, per esempio, di rendere maggiormente attrattive le professioni femminili per magari attrarre anche manodopera maschile, pensiamo per esempio alla scuola dell’infanzia) e l’educazione al genere.
Educare al genere significa decostruire, in tutti gli ordini scolastici e in tutte le materie, gli stereotipi di genere che vogliono le donne sostanzialmente remissive, docili e dedite alla cura e gli uomini aggressivi, forti e dediti alla tecnologia e alla scienza, con l’obiettivo di promuovere le pari opportunità e il rispetto, oltre a combattere la violenza e il bullismo. Si tratta inoltre di favorire l’autodeterminazione uscendo dal binarismo di genere, permettendo anche a chi non si riconosce in questi due generi di esprimersi e autodeterminarsi.
L’educazione al genere permette quindi di riflettere in modo ampio e approfondito sugli stereotipi e le discriminazioni di genere per scardinare alcuni meccanismi discriminatori presenti nella nostra società, educare al rispetto e combattere la violenza di genere.
Si tratta di una tematica di cui si è dibattuto molto in queste ultime settimane.
Un’immagine innocente di un’agenda scolastica ha scatenato le reazioni più disparate; c’è chi dietro la discussione sull’identità di genere ha visto i pericoli più assurdi (pericolo che tutti i bambini e le bambine diventassero omosessuali), chi crede che attraverso questi discorsi si possa indurre i giovani alle transizioni e altro ancora, e chi (quasi tutti) ha sottolineato la necessità di affrontare seriamente queste tematiche all’interno della scuola.
Una discussione che ha spesso assunto caratteri aggressivi e violenti mettendo in evidenza la necessità che anche la scuola sia un luogo dove discutere e dibattere di questi temi, liberamente e apertamente, per costruire una cultura del rispetto e dell’inclusione
Del resto durante la discussione sull’agenda da tutti i partiti è stata sostenuta la necessità di approfondire la tematica e di dare ai docenti gli strumenti adeguati ad affrontare questi temi in classe.
Non può quindi che sorprendere, ma non poi tanto, il fatto che di fronte a questa nostra mozione, che chiede proprio questo, vi sia la grande alleanza di verdi, azzurri, rossi e neri per rigettarla. Di che confermare la nostra radicata convinzione che una cosa è il teatrino dei dibattiti nei quali ci si schiera apparentemente su fronti opposti; ma poi, alla fine, quando bisogna passare al concreto, dalle parole ai fatti, le posizioni dei diversi partiti – in particolare di quelli di governo, ma non solo -appaiono molto più vicine. Il no compatto a questa nostra mozione ne è una conferma.
La scuola è evidentemente uno specchio della società, i bambini e le bambine portano all’interno delle classi quello che avviene fuori e sarebbe assolutamente miope non fare in modo che queste discussioni possano svolgersi anche con i docenti.
La scuola è il luogo in cui i ragazzi e le ragazze passano la maggior parte del loro tempo; è quindi fondamentale che vi si promuovano i valori dell’accoglienza e del rispetto; capita anche che i giovani transgender e di genere non conforme affrontino alti livelli di ansia, depressione e bullismo. Educare al genere, può contribuire a creare un ambiente in cui si sentano accolti e supportati, migliorando così la loro salute mentale. Permettere agli studenti di conoscere l’importanza degli studi di genere può aiutarli ad evitare di assumere atteggiamenti di bullismo o emarginazione.
Introdurre in tutti gli ordini di studi elementi di educazione al genere permetterebbe di rendere le nuove generazioni più consapevoli e preparate ad affrontare la nostra società.
Certo, per fare questo servono strumenti adeguati e personale formato. Una buona parte dei docenti e delle docenti già oggi inevitabilmente si confronta con questi temi e li affronta tenendo conto indubbiamente delle diverse fasce di età con cui è confrontata. Ciò non toglie che sia assolutamente fondamentale dare a tutti e tutte gli strumenti e le conoscenze adeguate a trattare queste tematiche all’interno di ogni ordine scolastico e di qualsiasi materia.
Da questo punto di vista, e contrariamente a quanto si scrive il rapporto riprendendo le osservazioni del governo, ci sono ancora molti passi avanti da fare. Scrive la commissione: “Il Messaggio del Consiglio di Stato del 2019 constata che l’esperienza ha mostrato che corsi specifici dedicati all’educazione di genere attuati negli anni precedenti al 2019 erano poco frequentati, probabilmente perché poco integrabili nella pratica quotidiana”.
In realtà il corso opzionale di educazione al genere per i docenti in formazione SE e SI si svolge regolarmente ogni anno e raggiunge sempre il numero massimo di iscrizioni; si tratta però, appunto, di un corso opzionale che non permette di raggiungere tutti gli studenti e di approfondire questi temi declinandoli in tutte le materie di insegnamento. La partecipazione è la dimostrazione dell’interesse degli studenti e delle studentesse, interesse che andrebbe coltivato e approfondito. Mal si comprende inoltre cosa si intende con l’espressione “poco integrabili nella pratica”; anni di studi dedicati all’educazione di genere forniscono una miriade di esempi di integrazione di questi contesti nella pratica professionale degli insegnanti. Per i docenti in formazione a livello di master l’educazione al genere si risolve in due ore di corso cattedratico che si svolge generalmente alla fine del percorso formativo…
Si afferma poi che il “DFA ha optato per un corso di formazione rivolto alle formatrici e ai formatori, con lo scopo di permettere loro di incorporare i principi dell’educazione al genere nella loro pratica di insegnamento, promuovendo in questo modo un’attenzione più diffusa, trasversale e generalizzata possibile al tema.”
Questo corso in realtà si è svolto una sola volta ed era facoltativo: il che conferma che si tratta di un’offerta inadeguata e insufficiente.
Il messaggio aggiunge poi genericamente che “Attualmente, all’interno della formazione del corpo docenti SUPSI si stanno approfondendo i temi relativi alla gestione delle differenze e alla partecipazione delle e degli studenti in classe” senza dare indicazioni su questo tipo di approccio e dimenticando che educare al genere non significa “gestire le differenze tra gli studenti in classe”.
Alcune parole merita poi la questione dei piani di studio. È vero che per quel che riguarda la scuola dell’obbligo la revisione dei piani di studio ha introdotto in modo importante la necessità di avere un approccio di genere nella scuola. Questo rafforza ancora di più , contrariamente a quanto sembra concludere la commissione, la necessità di fornire ai docenti gli strumenti per tradurre questi principi nella pratica di tutti i giorni.
Inoltre rimane ancora aperta la questione dei programmi e delle revisioni degli studi superiori. Da questo punto di vista è assolutamente necessario fare passi avanti; anche la Commissione federale per le questioni femminili ha criticato fortemente la revisione della maturità perché non tiene conto dell’introduzione delle tematiche di genere. Si tratta ovviamente di un tema federale, ma il cantone potrebbe farsi promotore di iniziative in tal senso.
Infine alcune parole sulle conclusioni del rapporto della commissione che riprende di fatto le parole del messaggio concludendo:
“La CFC, sostenendo la necessità di riservare attenzione, risorse e offerte di formazione e di accompagnamento adeguate per garantire alle e ai docenti di tutti gli ordini di scuola di consolidare e aggiornare le proprie competenze e di sviluppare modalità efficaci per integrare ancora meglio la prospettiva di genere nella propria attività di insegnamento, invita il Governo a continuare a sostenere le iniziative dei vari ordini di scuola e di altre istituzioni attive nel campo della promozione delle pari opportunità e dell’educazione di genere.” Sarebbe interessante sapere a quali iniziative e quali istituzioni ci si riferisce…altrimenti, come ormai siamo abituati da anni, dobbiamo concludere di trovarci di fronte a vuote dichiarazioni di principio che non hanno alcun seguito significativo all’interno della scuola.
*come sempre il lavoro dei parlamentari dell’MPS è il frutto di un lavoro collettivo di compagne e compagni attivi sui vari temi. Nella preparazione di questo intervento ha svolto un ruolo decisivo Angelica Lepori, d’altronde prima firmataria della mozione in discussione.
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