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È interessante leggere il contributo di Michele Sussigan apparso su LiberaTv Michele Sussigan: “Ho subito tagli, mancati carovita, contributi di solidarietà, ma ho sempre ricevuto un salario che mi ha permesso di vivere dignitosamente” – Libera TV ). Per condannare l’”estremismo” di chi invita (e di fatto promuove) lo sciopero del 29 febbraio (e in particolare ErreDiPi), egli si presenta nella sua duplice veste di impiegato dello Stato e di “sindacalista” (“rappresentante del personale”).
Ci spiega come, da impiegato dello Stato, abbia subito per decenni  “tutti i tagli salariali, mancati carovita, contributi di solidarietà che si sono succeduti negli anni” , mentre da “rappresentante del personale” si sia “sempre battuto per il miglioramento delle condizioni di lavoro, per sostenere tanti collaboratori e non da ultimo per partecipare a tavoli tecnici e trattative per trovare soluzioni concrete.”

La conclusione è chiara: l’impegno profuso per difendere le condizioni di lavoro non ha impedito che condizioni di lavoro, di salario e previdenziali peggiorassero sistematicamente, in particolare negli ultimi anni, in concomitanza con il suo “impegno” in difesa del personale.

Questo atteggiamento di Sussigan non è nuovo, né isolato. Anche negli ultimi mesi abbiamo a più riprese potuto leggere, nelle prese di posizione dei sindacati tradizionali, una lunghissima lista di provvedimenti che hanno peggiorato, e assai, le condizioni salariali e di lavoro dei dipendenti pubblici del Cantone.

A tal punto che molti si sono chiesti: ma le organizzazioni sindacali dove erano mentre questo stillicidio di provvedimenti colpiva i dipendenti? Perché non hanno organizzato la lotta dei dipendenti? E, se lo hanno fatto, ma non ci sono riusciti, si sono interrogati sul loro modo di fare sindacato?

Erano occupati invece, come ci ricorda Sussigan, a “ partecipare a tavoli tecnici e trattative per trovare soluzioni concrete. Ma più in generale per contribuire alla pace del lavoro”. E molto spesso, quando i rappresentanti delle organizzazioni sindacali tradizionali si sono alzati da questi tavoli, i risultati erano peggiori di quando si erano seduti. Basti ricordare, evocando un tema di cui si è molto discusso negli ultimi mesi, la riforma della cassa pensione votata dal Parlamento, con l’accordo convinto delle organizzazioni sindacali, nel 2012; un accordo che sanciva una diminuzione mediamente del 20% delle rendite pensionistiche. E potremmo moltiplicare gli esempi.

E proprio questo il punto fondamentale di cui ErreDiPi è l’espressione, ancora giovane e fragile, ma sicuramente decisa: la volontà di cambiare paradigma, la volontà di affermare un sindacalismo nuovo, che ha la ragione di esistere nell’organizzazione e nella mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici sui luoghi di lavoro. Un sindacalismo che si afferma nella volontà di difendere con i mezzi più efficaci di cui dispongono i lavoratori e le lavoratrici (e lo sciopero è sicuramente uno di questi) per costruire un rapporto di forza che, alla fine, possa sicuramente concretizzarsi in accordi e “soluzioni concrete”; ma con la consapevolezza che, senza una mobilitazione che crei questo rapporto di forza, le trattative il più delle volte sono una semplice resa alle esigenze del padronato, pubblico o privato.

Per finire, un invito a Sussigan ad essere più rispettoso verso i lavoratori e le lavoratrici (e verso sé stesso): ricevere un salario per un lavoro che si esegue (magari a volte anche in condizioni di pericolo per la propria incolumità personale, come è il caso di un agente di polizia – ma non solo: e questo Sussigan dovrebbe saperlo) è un diritto, non è un “piacere” che il nostro datore di lavoro ci fa. Metterla nei termini posti da Sussigan (“ho sempre ricevuto un salario che mi ha permesso di vivere dignitosamente”) non è accettabile; sembra quasi che, bontà sua, lo Stato (o anche un datore di lavoro privato) elargisca uno stipendio quasi come un atto di carità e non come una controprestazione dovuta.

In realtà, sempre di più, per usare le parole di Sussigan, lo stipendio diretto o differito (pensione) non permette più di “vivere dignitosamente”. Ed è proprio partendo da questa considerazione è nata e si stata sviluppando ErreDiPi, per ridare dignità a salari e pensioni, per ridare dignità al lavoro e al servizio pubblico.

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