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Perché Milei ha vinto? Il  il nuovo libro di Javier Balsa, ordinario della cattedra di sociologia dell’Università di Quilmes ed insegnante all’Univesidad Nacional de La Plata, in Argentina esamina le cause dell’ascesa dell’estrema destra, mette in discussione le spiegazioni semplicistiche e offre proposte per affrontare con successo il nuovo governo.
Nel suo recente libro (¿Por qué ganó Milei? : disputas por la hegemonía y la ideología en Argentina, ed.Fondo de Cultura Económica, 2024), Javier Balsa esamina le ragioni dell’inaspettata ascesa dell’estrema destra in Argentina, basandosi su un esauriente studio quantitativo realizzato tra il 2021 e il 2023.
Balsa contesta le spiegazioni semplicistiche e diffuse a sinistra, come l’idea che la vittoria di Milei sia stata semplicemente un voto di punizione o che la sua base elettorale crollerà rapidamente di fronte alle dure politiche del nuovo governo. In effetti, i primi otto mesi dell’amministrazione Milei, segnati da aggiustamenti senza precedenti e da un livello elevato e sostenuto di appoggio, sembrano confermare le sue conclusioni. Allo stesso modo, Balsa mette in discussione altre spiegazioni diffuse quali il collegamento diretto tra il voto per Milei e la crisi del tradizionale voto peronista o l’informalità del lavoro.
Il lavoro che conduce al CONICET (Consiglio Nazionale per la Ricerca Scientifica e Tecnica) dimostra l’utilità dei sondaggi d’opinione e delle analisi quantitative, ispirate alla tradizione della Scuola di Francoforte, purché affrontate con serietà metodologica e onestà intellettuale. La sua squadra ha il merito impressionante di aver previsto con precisione i tre risultati elettorali dello scorso anno (primarie, elezioni generali e secondo turno), il che rafforza la credibilità del loro lavoro.
In questa conversazione con Jacobin esploriamo le cause della vittoria di Milei, la situazione del campo dell’opposizione e le tattiche più efficaci per affrontarlo.

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L’anno scorso la vittoria di Milei ha sorpreso quasi tutti, e comprendere le ragioni del suo successo è fondamentale. Perché Milei ha vinto? Quali sono le conclusioni generali del vostro studio?

Ebbene, il libro inizia proprio con questa questione della sorpresa. A molti sembrava impossibile, irreale. Come se fosse un incubo o un film bizzarro, il trionfo di Milei era qualcosa che semplicemente non sarebbe potuto accadere. Il libro cerca di andare contro alcune delle spiegazioni più semplici… che ovviamente hanno la loro parte di verità: problemi economici, inflazione, conseguenze del confinamento pandemico, in una sorta di voto punitivo contro il governo di Alberto Fernández e l'”albertismo”. Qualcosa come “siamo così malmessi che qualsiasi cosa è buona“.

Con Perché Milei ha vinto?  cerchiamo di andare verso una riflessione più profonda che lavori su due livelli principali: uno più ideologico e un livello di discussione per l’egemonia, di dibattito politica, tra progetti diversi. In linea con ciò, gli ultimi capitoli tentano di analizzare come queste posizioni ideologiche e si intrecciano in una serie di opzioni elettorali. Ricordiamoci che [il candidato ufficiale] Sergio Massa era a soli tre punti dalla vittoria al primo turno… ecco che entra in gioco tutta quella dinamica di articolazione tra fattori ideologici e politici di cui parlavo prima.

Ma cominciamo dall’inizio. Il libro inizia recuperando quelle che io chiamo tre grandi frustrazioni o, meglio, i tre grandi fallimenti che generano frustrazioni.

In primo luogo, l’incapacità del Kirchnerismo di garantire continuità. Nel 2017, il kirchnerismo si è riarmato ed è diventato l’asse di opposizione al governo di Mauricio Macri, ma senza dubbio, prima, non era riuscito a dare continuità al suo progetto. Tra il 2012 ed il 2014 sembrava che ci fosse un grande consenso sulle linee centrali del kirchnerismo, non solo perché avevano una proposta e un discorso, ma perché sapevano concretizzarle, tradurle nella vita quotidiana delle persone . Il macrismo ha dovuto addirittura adattare buona parte del suo discorso per dire che avrebbe “mantenuto tutto ciò di bene” che il kirchnerismo aveva fatto.

Ma il kirchnerismo ha perso le elezioni del 2015. Da quel momento fino ad oggi nessuno ha mai dato una spiegazione del motivo per cui non sono riusciti a vincere. Non una spiegazione che si limiti ad incolpare Clarín [grande quotidiano di portata nazionale, su posizioni neoliberiste/N.d.T.], la magistratura, ecc., ma una spiegazione che indichi in cosa ha sbagliato il kirchnerismo stesso e quali cose potrebbero correggere o fare diversamente se tornassero al governo. No, non c’è stato niente del genere. Eccoci quindi ad un primo deficit, che pesa e ha continuato a pesare per tutto questo tempo.

Il secondo fallimento è quello del macrismo. Si definiva “la migliore squadra degli ultimi cinquant’anni” ; c’era molta aspettativa sul fatto che il Paese potesse ritrovare la crescita, che tutto sarebbe andato meglio, ecc. C’era un intero settore della società, molto antiperonista, che nutriva grandi aspettative nei confronti del governo Macri. E bum! Quel governo fallisce, la tanto annunciata “pioggia di investimenti” non arriva mai e Macri non viene rieletto. Nelle interviste che abbiamo realizzato nel 2021 è apparso chiaramente che molti elettori di Macri, profondamente disillusi, erano in una situazione di disponibilità a tutto, anche a soluzioni autoritarie.

E il terzo è il fallimento di Alberto Fernández [presidente peronista -o meglio, kircheriano moderato- succeduto a Mauricio Macri nel 2019/N.d.T.]. C’era anche molta aspettativa, sia da parte del kirchnerismo stesso che da parte di persone che non vi si identificavano. C’erano persone che speravano in un ritorno quasi magico ai bei vecchi tempi del kirchnerismo. E all’interno dell'”albertismo” – ma anche in settori esterni ad esso – si pensava che un governo moderato sarebbe riuscito a colmare la tanto citata “frattura” e che il paese sarebbe diventato … più normale. C’erano anche settori più allineati al macrismo, che riponevano però una certa aspettativa in una “normalizzazione albertista”. Ebbene, la frustrazione in quel senso era molto forte.

E questo accumularsi di fallimenti e frustrazioni che ha generato un sentimento di disperazione, un pessimismo assai generalizzato. All’inizio del 2022, il pessimismo era molto diffuso fra le persone intervistate (il libro si basa su una quindicina di indagini che sono state effettuate in tutto il Paese dall’inizio del 2021 alla fine del 2023, tra 5.000 e 7.000 casi ciascuna) : pensavano che il Paese non avesse via d’uscita e che il futuro sarebbe stato anche peggiore.

In questo clima, indipendentemente dal fatto di condividerne le conclusioni, devo riconoscere il merito della precoce autocritica di Macri e del suo entourage sulle ragioni del fallimento del suo governo.

Già nel 2019 aveva affermato: “Ho fallito per “gradualismo” ; se vincerò – siamo nella campagna del 2019, nella quale, ricordiamolo, ha ottenuto il 40% dei voti – farò lo stesso, ma più velocemente e, senza esitazioni, reprimerò“. Qualche anno dopo, gli fu rimproverato in un’intervista che ciò avrebbe potuto provocare anche la morte di persone ; al che Macri rispose che questo era il prezzo da pagare per assicurare la guida del paese. Chiaramente, assistiamo qui all’assestarsi di un progetto ultraliberale su cui si costruirà Milei con un‘inflessione più accentuata, di due o tre gradi più alta.

Ma la cosa più importante, credo, è che questo tipo di discorso permette a un intero circuito di media concentrati, con posizioni sempre più spostate a destra, di presentare le posizioni di Macri come una questione di buon senso. Pertanto, il neoliberismo viene ricostruito come un’opzione ideologica nella società.

Da parte sua, l’albertismo non riesce a costruire una sanzione o una condanna ideologica, culturale, legale o politica per l’esperienza neoliberista del macrismo. C’era una sensazione di sollievo quasi definitiva che aleggiava tra la militanza nazional-popolare, una sorta di, « Basta, oramai è finita », una convinzione che il neoliberismo fosse cosa ormai superata per l’opinione pubblica. Il che non era vero.

Nelle nostre inchieste, a cui ho accennato prima, abbiamo posto una serie di domande con l’obiettivo di misurare quanto le persone intervistate fossero neoliberiste o nazionalpopolari, e quello che possiamo vedere è che il neoliberismo ha guadagnato sempre più spazio durante l’esperienza di governo di Alberto Fernández.

Durante l’albertismo il neoliberismo riesce ad affermarsi e cresce sempre di più. E confina poi con il discorso di Milei, che è come quello di Macri, ma accentuato di due o tre gradi, senza alcun filtro. Milei propone di porre fine alla giustizia sociale, cosa che nemmeno Álvaro Alsogaray, il padre del neoliberismo in Argentina, aveva mai proposto. Questo poiché la Giustizia sociale è iscritta nella Costituzione, perché rappresenta il fulcro della conciliazione di classe e della proposta sociale della Chiesa da 150 anni.

Ebbene, nonostante tutto ciò, Milei va contro la giustizia sociale e fa dire al 34% dei nostri intervistati “sì, dobbiamo porre fine alla giustizia sociale perché priva la gente dei loro beni per distribuire ad altri“. È vero, più della metà ha detto no, che la giustizia sociale andava bene. Ma in ogni caso è notevole la velocità con cui Milei riesce a installare questa proposta. In due anni è riuscito a convincere il 54% dei giovani a dire che la giustizia sociale è un male.

Questi stessi risultati, approssimativamente, si ritrovano su molte altre questioni, nelle quali prevale chiaramente la visione neoliberista. Ad esempio, il 54% ritiene che la crisi argentina sia dovuta essenzialmente alla spesa pubblica ed all’eccessivo numero di dipendenti statali.

Ora, su un grafico, la società è divisa in quartali di uguale peso: uno molto neoliberista, un altro moderatamente neoliberista, uno molto nazional-popolare e un ultimo moderatamente nazional-popolare. Cioè, è diviso. Ciò non significa che il neoliberismo detenga la maggioranza della società, ma piuttosto che essa è quasi esattamente divisa in due con una forte polarizzazione.

E la percentuale di coerenza all’interno dei differenti settori è molto alta. Infatti, chi si situa nel gruppo dei neoliberisti lo è su un gran numero di aspetti e con una forte coerenza.

Un altro grafico ci dà la misura del conservatorismo o del progressismo delle persone, ma non dà risultati tanto estremi. Le risposte ottenute alle domande sul femminismo, sul linguaggio politicamente corretto, sul linguaggio inclusivo, sul “punitivismo”, sulla xenofobia mostrano una società anch’essa divisa in due, ma con una distribuzione più normale, cioè con un grafico a forma di campana: pochi sono i casi più estremi e nei due schieramenti ritroviamo un forte nucleo centrale.

Tutto ciò significa due cose. Innanzitutto, quell’egemonia progressista che sembrava essersi affermata negli anni ’90 e che era sempre più forte – ad esempio, si pensava che tutte le donne fossero femministe – oggi è crollata. È un punto di vista oramai contestato dal 40% delle donne interrogate mentre solo il 30% mantiene questo punto di vista.

Significativo è anche constatare il rifiuto del linguaggio politicamente corretto: solo il 9% è fortemente d’accordo con la necessità di un linguaggio rispettoso per evitare che le persone si sentano discriminate o offese.

Predomina un discorso molto più duro, che forse è iniziato sommessamente ma si è sempre più affermato, con comunicatori che prima erano periferici e che ora si stanno spostando verso il centro dei media concentrati. Così quel discorso è stato legittimato. Ci sono persone che lo scelgono, lo riprendono a proprio conto, lo adottano.

In generale, per le nostre inchieste presentiamo alle persone affermazioni diverse perché ci dicano il loro grado di accordo con queste, cercando di capire il più possibile qual è il registro sul quale le persone si esprimono grazie alla forza della reazione manifestata per ciascuna di queste affermazioni.

Su queste basi, sino a poco tempo fa non era affatto evidente che, per una maggioranza, una vittoria di Milei sarebbe stata auspicabile : la gente era molto divisa. Però appariva chiaramente che non esisteva una forte egemonia progressista che sarebbe rimasta inorridita dalla candidatura di Milei.

Nel libro solleviamo anche questo, come una delle questioni fondamentali dell’intero processo… Quando una “campagna della paura” è stata lanciata, come ultima risorsa nella fase finale della campagna elettorale, la gente ha risposto cose come “sì, sì, è un po’ pazzo; Sì, è un pericolo per la democrazia, ma voterò comunque per lui“. Vale a dire che non è scattato nessun allarme. Non c’era nessun semaforo che passava dal giallo al rosso di fronte alla possibilità che Milei diventasse effettivamente presidente.

Nei tuoi studi osservi una crescita del neoliberismo come ideologia economica, accompagnata da un aumento delle posizioni conservatrici sulle questioni sociali. Allo stesso tempo, identifichi una polarizzazione sulle questioni economiche e culturali che presenta forze relativamente equilibrate su entrambi i lati della divisione ideologica. Come articolate queste due tendenze?

Beh, prima di tutto non ho misurazioni chiare del processo, ammesso che fosse un processo. Dovremmo porci le stesse domande per dieci anni, ma non è così. Ma una cosa è chiara: a un certo punto sembrava che il neoliberismo fosse in ritirata e che nell’opinione pubblica fosse ormai insediata un’egemonia progressista. Ma le nostre inchieste ci dicono che non è stato così: che il predominio di una visione anti-neoliberista e progressista nella cultura non è stato tale, ma che ci sono sempre state opinioni divise.

Ciò che si vede chiaramente è che si tratta di un processo costruito a partire da alcuni nuclei, certi think tank che stavano conducendo una battaglia culturale, ideologica ed economica. La crisi di Macri sembrava essere un momento in cui si poteva consolidare qualcos’altro, ma così non è stato. In effetti, sì, sembra che ci fosse in atto una contesa. Quel 37% degli elettori di Massa al primo turno sono ideologicamente molto progressisti, molto nazionalpopolari. In una certa misura, sono ideologicamente vicini all’elettorato di Myriam Bregman [membra del Partito dei lavoratori socialisti, PTS, una delle molte formazioni trotskiste argentine, e candidata dell’alleanza Fronte di sinistra dei lavoratori, FIT/ N.d.T.]. Per così dire, il “cerchio” di Bregman si trova al centro del “cerchio” degli elettori di Massa su entrambi i fronti: neoliberismo vs. nazional-popolare come conservatorismo vs. progressismo.

Gli elettori di Milei e Patricia Bullrich [la candidata di Mauricio Macri/N.d.T.], invece, sono chiaramente conservatori e neoliberisti. A questo punto c’è un settore del centro che finisce per essere conquistato da questi ultimi. C’è cioè un settore moderatamente progressista e moderatamente nazionalpopolare che in un’alta percentuale finisce per votare Milei. Perché?

Ebbene, un altro tipo di indicatori che misuriamo nei nostri sondaggi è il modo in cui viene pensata la società, non tramite affermazioni precise sulle quali la persona intervistata deve posizionarsi ma, per esempio, con domande del tipo “che visione hai della società?” oppure “Pensi che la società sia composta da tanti gruppi con interessi diversi ma nessuno di loro riesce a imporre i propri interessi agli altri?” Ad accompagnare queste domande c’era un disegno di tanti piccoli cerchi all’interno di un cerchio grande e il disegno di un cerchio piccolo con una freccia verso un cerchio più grande.

Il 25% degli intervistati ha affermato che c’era armonia. Il 75% afferma che la minoranza prevale sulla maggioranza. Si sarebbe tentati di dire, bene, si tratta delle classi dominanti, della borghesia… E invece, no. Solo il 20% ha detto che la minoranza che impone la sua volontà è la classe dominante, l’oligarchia, l’ establishment , ecc.

Circa il 40% delle persone ha affermato che questa minoranza è composta da femministe, manifestanti, politici kirchneristi, politici corrotti, sindacalisti, sinistra, ecc. In altre parole, c’è chiaramente un settore della società che ha una visione molto semplice, piuttosto strana, secondo cui esiste una minoranza un po’ progressista che si impone sulla maggioranza della società.

Delle persone che hanno risposto a questa domanda, a domande su questioni economiche e simili, molti hanno risposto come moderatamente progressisti, moderatamente nazionalpopolari… Ebbene, l’80% di questo gruppo di persone ha votato per Milei al secondo turno. E questa non è altro che una fortissima confusione ideologica che si combina con posizioni molto antikirchneriste e con una visione anche molto antiperonista della storia.

Si nota un grande disagio nei confronti dell’ultimo governo, ma questo è solo il capitolo più recente delle frustrazioni che risalgono all’ultimo periodo del governo di Cristina Kirchner e, soprattutto, di Mauricio Macri. Perché questo disagio è stato espresso a destra?

C’è una grande incapacità da parte della sinistra – delle sinistre – di proporre una nuova narrazione, una spiegazione e una soluzione diverse. Cioè, la sinistra trotskista ha mantenuto nelle elezioni del 2023 esattamente la stessa percentuale che aveva ottenuto nel 2019. In altre parole, la crisi dell’albertismo non poteva essere colta da quella parte. E i settori di centrosinistra e di sinistra all’interno dell’alleanza governativa sono stati prigionieri, ingabbiati in quell’alleanza governativa. Allora né Máximo Kirchner [figlio di Nestor e Cristina/N.d.T.], né l’organizzazione peronista La Cámpora, né Juan Grabois [professore universitario, leader del Movimiento de los trabajadores excluidos/N.d.T.] né gli altri partiti di sinistra potevano differenziarsi. E non sono riusciti a unificarsi e presentarsi come sinistra all’interno di Unión por la Patria [coalizione elettorale fondata nel giugno del 2023 a maggioranza peronista ma che coinvolge anche settori socialdemocratici, cattolici, sostenitori dell’ex-presidente Alfonsin così come le centrali sindacali CGT e CTA/N.d.T.].

Il significante “sinistra” è stato praticamente ridotto al Fronte di sinistra dei lavoratori (FIT) [composto principalmente da forze di origine trotskista quali il PTS, Politica Obrera…/N.d.T.]. Ebbene, al di là della buona percentuale che Grabois ha ottenuto alle primarie dell’Unión por la Patria, non era un progetto di cui si potesse dire “Si, vamos !“. Non è stato possibile costruire un desiderio, un progetto chiaro. Nemmeno lo stesso Massa è riuscito a definire con chiarezza il suo progetto o, almeno, a chiarire le sue differenze con quello che era stato il governo di Alberto Fernández. È stato molto difficile far vivere l’idea che esistesse un’altra via d’uscita, diversa.

Questo è esattamente ciò che ha portato a Milei. Ed è molto strano, perché l’elettore di Milei è un elettore totalmente senza speranza, pensa che l’Argentina andrà sempre peggio… L’elettore di Massa è più fiducioso.

Ma quando abbiamo chiesto come sarebbe stato il Paese tra quattro anni se il loro candidato avesse vinto, la stragrande maggioranza degli elettori di Milei ha pensato che sarebbe andato molto meglio. D’altra parte, l’elettore di Massa, così come quello di Bullrich, pensava che sarebbe stato lo stesso o anche peggio. Ciò dimostra che non si è riusciti a generare alcun tipo di speranza. È un fallimento molto semplice e molto evidente.

Ci sono cose, inoltre, da cui dobbiamo imparare. Ciò che Milei riesce a spostare l’asse discorsivo e, con esso, l’asse della contesa. Qualcuno una volta ha affermato che il centro andava conteso. Beh, no. Milei non contenderà il centro. Ciò che fa Milei è installare un discorso di estrema destra sia culturalmente che economicamente. Non è che vada al centro, ma muove direttamente l’intero quadro. D’altra parte, dal campo nazional-popolare e dal centrosinistra, c’è un tentativo permanente di spostarsi verso il centro, che si traduce in una grande incapacità di generare aspettative e desideri per una società diversa. Se c’è stato in un’occasione o in un’altra qualche tentativo in quel senso,  è rimasto inudibile, non ha mai avuto una potenza chiara.

E questa non è responsabilità dei candidati. Perché è l’idea stessa di un ritorno al kirchnerismo che non ha funzionato. Il kirchnerismo era lontano nel tempo, erano passati dieci anni dall’ultimo momento di un certo splendore del kirchnerismo. Nel 2011 Cristina ottenne il 54% dei voti. Nel 2023 solo il 27% aveva un’immagine positiva del suo governo. Non parliamo poi dei giovani che non hanno sperimentato il kirchnerismo… Ed è lì che sta il problema perché non solo quel periodo è demonizzato da una parte della popolazione, ma anche perché resta ormai  troppo lontano nel tempo. Ma oltretutto questa idea di “ritorno” non è nemmeno qualcosa che quella stessa forza politica propone: Massa appare come un candidato “non così kirchnerista”, che cerca appunto di spostarsi verso il centro.

Alla domanda sul grado di accordo con l’affermazione “affinché il Paese possa andare avanti dobbiamo porre fine al kirchnerismo“, il 52% ha affermato di essere fortemente d’accordo e il 6% abbastanza d’accordo. La strategia di demonizzare il kirchnerismo ha avuto molto successo.
[…]
Il 54% ottenuto da Cristina Kirchner del 2011 è stato un risultato eccezionale, molto particolare. Poi però, subito, nel 2013, perse nuovamente le elezioni. Inoltre, è molto difficile costruire l’egemonia partendo da un progetto nazional-popolare di centrosinistra, senza una borghesia che lo accompagni. Quindi se la borghesia non investe e perde la valuta estera – quando non la lascia defluire- non investe e gioca per rovesciare il governo… C’è un problema strutturale lì. Serve un governo molto forte e un progetto molto chiaro.
[…]
Ti ho sentito dire che esiste un nucleo “nazional-popolare” molto consistente, nonostante la vittoria dell’estrema destra e l’indebolimento dell’egemonia progressista. Potresti approfondire questo punto? Quali prospettive si aprono per la sopravvivenza di questo nucleo sociale?

Dopo una crisi come quella del governo di Alberto Fernández, sia per il livello dell’inflazione, sia per la delusione che ciò ha comportato per la militanza rispetto alle aspettative che aveva generato, alle discussioni interne, etc., in qualsiasi paese del mondo ci sarebbero stati due, tre, quattro partiti diversi provenienti da quello al governo. Tuttavia, tutti i partiti, dal Fronte Rinnovatore al Partito Comunista, son rimasti dentro l’Unión por la Patria. C’era una forte consapevolezza che solo l’unità poteva permettere di dare battaglia. C’è stato anche un buon dialogo con il Fronte della Sinistra, e c’era un partito di quella coalizione (Sinistra Socialista) che ha chiesto di votare per Massa al secondo turno.

Le stesse basi militanti, che erano state molto smobilitate, si sono rimobilitate per paura che Milei vincesse. Non per le primarie, ma per le elezioni generali. C’è stato anche una sorta di fronte antifascista impostato dalla società civile, sia dal basso, spontaneamente, sia dai settori dirigenti. Tutto il sindacalismo lo appoggiava… Ma ciò ha dimostrato anche la crisi della rappresentanza, perché ciò non si traduceva nel voto in favore di Massa da parte dei lavoratori organizzati, o di tutti i seguaci degli artisti che si erano espressi contro Milei. Ma c’è stata una forte riattivazione militante.

Il 23% delle persone ha dichiarato di sentirsi vicino all’Unión por la Patria nel luglio 2023. È stata chiaramente la forza che ha avuto più accettazione, ma soprattutto è stata quella che ha avuto più militanza. La metà di quel 23% ha affermato di essere attiva in qualcosa. Una percentuale molto più alta rispetto al FIT. Esiste cioè una base attiva per il prossimo futuro se il kirchnerismo riuscisse ad avere una proposta e una leadership chiara, se riuscisse ad avere spazi di partecipazione capaci di convertire quella massa di sostenitori in vera militanza…

È vero , quella massa non conta tanti giovani, sono persone che si trascinano dal 2003, 2004, 2008, persone che si sentono vicine a quello spazio ma che spesso non sono riuscite a diventare militanti per l’assenza di canali attraverso i quali sentono di poter partecipare ai dibattiti, alle decisioni, alle candidature… C’è una sorta di tensione lì.

Esiste una base ideologicamente molto coerente. Ad esempio, non esistono nazionalpopolari conservatori; tutto è progressista. Ecco perché Guillermo Moreno [ex-ministro peronista, leader del partipto « Patria e Valori » arroccato su posizioni liberiste estreme/ N.d.T.] ottiene lo 0,8%: perché da quella parte non c’è quasi nessuno, così come non c’è quasi nessuno dall’altra parte del quadrante, facciamo un quadrante con un asse nazional-popolare/neoliberale e un altro progressista/conservatore. Non c’è nessuno che si identifichi come un liberale classico. In altre parole, non esistono persone culturalmente progressiste ed economicamente neoliberiste.

Forse qualcuno appare un po’ progressista, un po’ più verso il centro dell’asse culturale, cioè non così conservatore come l’11% di neoliberisti, che ha votato per Horacio Rodríguez Larreta [ economista liberista ed ex-governatore della Provincia di Buenos Aires/ N.d.T.]. Ma questa opzione è stata repressa all’interno, perché quasi tutti i neoliberisti sono fortemente conservatori, potenzialmente autoritari. Ed è per questo che è stato così facile combinare il voto di Bullrich con quello di Milei come architettato più tardi da Mauricio Macri.

E questa correlazione tra risposte “nazional-popolari” e risposte progressiste si riscontra in tutti i gruppi sociali?

Sì, è davvero notevole. Da un lato, non ci sono grandi differenze nella distribuzione dei casi sulla scala del progressismo-conservatorismo, o del nazional-popolare rispetto al neoliberismo tra le diverse classi sociali. E, d’altro canto, la correlazione è elevata sia tra le persone della classe media che tra quelle della classe operaia o della classe inferiore, creando una divisione piuttosto semplice. Si osserva solo che l’associazione è leggermente più forte tra le persone della classe media. Ma in entrambi i casi non c’è nessuno che sia neoliberista e progressista, e solo l’1% è nazionalpopolare e conservatore.

Per quanto riguarda la base elettorale di Milei, è diventato comune sentire la spiegazione che “siamo troppo progressisti” rispetto alla cultura, al femminismo e ad altre questioni. Come analizzi questa domanda? Inoltre, cosa pensi dei giovani che sembrano reagire in modo conservatore ai progressi femministi e al clima culturale “woke”?

Bene, diverse cose. Cominciamo con l’ultima cosa, i ragazzi giovani. Direi che il problema è che non abbiamo un discorso per loro. Me lo ha detto mio figlio quando stava finendo le superiori… le ragazze sono tutte femministe – parliamo sempre di giovani, e qui soprattutto tra le classi medie – ma i ragazzi sono perduti, non hanno identità. Se non sono di sinistra, non sono niente. Tra di loro ha un grande successo il discorso antifemminista, il discorso della destra, che circola anche tra i videogiocatori , ad esempio, in molti spazi di quello stile. Questo è un dato di fatto.

D’altra parte, credo che la sfera nazionale e popolare o di centrosinistra abbia ruotato attorno a una narrazione e a un discorso molto focalizzati. Sembrava quasi un programma della Banca Mondiale, mancavano proposte universali. Questo è già stato analizzato da François Dubet: chi non è abbastanza povero, abbastanza donna, abbastanza “un po’ svantaggiato”, è escluso e sente che le politiche non lo raggiungono. Una delle nostre domande è andata in questo senso ed è stato impressionante vedere quanti affermavano di essere stati esclusi. Un’orfanotrofio ideologico ma anche identitario. Una solitudine che la pandemia ha aggravato.

Una studentessa dell’Università di Quilmes, di nome Noelia Ávalos, ha condotto un piccolo sondaggio in cui ha chiesto agli intervistati quale fosse il loro grado di appartenenza ad un gruppo, se sentissero di avere un gruppo, se quel gruppo fosse il loro posto nel mondo, se esistesse un gruppo di cui si sentissero un po’ membri  ma non così tanto, se non avevano un gruppo o se “tutti hanno un gruppo tranne me“. Ebbene, il voto per Milei tra gli studenti dell’Università di Quilmes è stato in media basso, circa il 15% ha votato per lui. Ma è aumentato categoricamente, fino a quasi il 40%, tra le persone che affermano di sentirsi sole.

C’è quindi tutta una serie di elementi underground che hanno spinto i giovani a votare per Milei. Li rende ricettivi alla sua proposta ideologica, perché non solo votano per lui, ma una percentuale molto alta aderisce alle sue posizioni. E poi, ovviamente, c’è stato un certo “voto di contagio” per cui “tutti i miei amici votano per Milei, io voto per Milei“. L’80% dei giovani ha votato per Milei. Chiaramente non si tratta solo di un voto di protesta.

Alle primarie più o meno il 30% degli elettori di Milei aveva idee piuttosto nazionalpopolari o un po’ progressiste. Ma Milei perde quell’elettorato alle elezioni generali (lo abbiamo ben analizzato). Perde circa il 10%  -resta bloccato sotto il 30% quando era il candidato che aveva vinto le primarie – recupera invece molti elettori di Bullrich o di Rodríguez Larreta… Sembrava che avrebbe vinto al primo turno, ma nonostante ciò è rimasto al 30%. Perché? Perché c’era quella discussione politica che prima delle primarie non c’era.

Questa prima tornata di elezioni primarie si è svolta direi a freddo, poiché in Argentina non si erano mai svolte elezioni di quel genere. Ma per le elezioni generali quella discussione si è attivata. Così nelle aule delle università, nelle scuole, nelle famiglie, sui luoghi di lavoro, se ne parlava. E l’elettore di Milei è stato interpellato direttamente: “Ehi, com’è ? voterai per Milei?“. E quelle persone in realtà ci hanno ripensato e non l’hanno votato. Milei resta solo con il voto più conservatore e più neoliberista, e perde l’altro voto. Una parte di quel voto è andata a Bullrich e poi gli è tornata al secondo turno. Ma evidentemente il voto per Milei non è stato un semplice voto di rifiuto, e questo spiega anche la continuità odierna, la forte adesione ideologica che si mantiene.

Ora, in quello schema manca un punto chiave, ovvero la mossa di Macri. Forse era tutto così vertiginoso che ce ne siamo dimenticati, Massa ha quasi vinto al primo turno. Per quanto riguarda la questione se abbiamo perso perché eravamo “troppo progressisti”, non sembra essere così. Io dico che tutto il nazional-popolare è progressista, e credo che se c’è qualcosa da imparare da Milei è difendere le posizioni. Se ci si sposta verso il centro si contribuisce a far spostare tutto il campo dall’altra parte e alla fine il progetto è molto sfumato. Questo è quello che è successo a Rodríguez Larreta, che vedendo che aveva bisogno di conquistare voti più conservatori, ha cambiato il suo discorso e alla fine non è riuscito a convincere nessuno. La chiave è mantenere la tua posizione e convincerti che questa è la posizione corretta.
[…]
Macri, come ho già accennato, spiega il fallimento del suo governo come dovuto ad un’eccessiva gradualità e pretende che la stessa ricetta, il programma di governo, resta d’attualità ma che dev’essere attuato più velocemente, con una terapia d’urto. Il progetto di Milei è lo stesso ma tre gradi più in alto. Né gradualismo, né altro. Sta portando avanti l’intero progetto, tutto in una volta, e ciò crea l’aspettativa di qualcosa di radicalmente nuovo.

E il progetto di Massa resta in bilico tra il ritorno al kirchnerismo o il ripetere quanto fatto da Alberto Fernández ma con più entusiasmo, chiarezza e leadership. Ancora non è chiaro se quel progetto fosse più giacobino, kircheriana, redistributivo o destinato a negoziare investimenti da parte della borghesia. Infatti, visto il rischio di un successo di Milei, Massa pensava che la borghesia l’avrebbe sostenuto.

Ora, vale la pena ricordare che questo progetto era a tre punti dalla vittoria al primo turno. I giornali e i bilanci del lunedì e del martedì della settimana successiva alle elezioni dicevano: “ecco, il kirchnerismo, il massismo ha già vinto“, “vincerà sicuramente perché ha preso un grande vantaggio“, etc..

È qui che entra in scena Macri, che fa muovere l’alleanza con Milei, scartando Bullrich. Ciò lascia completamente fuori gioco il resto della dirigenza di Juntos por el cambio, che non parla, con la conseguenza che l’unica indicazione politica per la sua base è stata l’alleanza con Milei indicata da Macri.

Due giorni dopo questa mossa di Macri abbiamo condotto un sondaggio : prima del 30 ottobre, l’80% degli elettori di Bullrich al primo turno aprrovava l’alleanza con Milei.

Non so se ricordate, ma nei media progressisti è circolata ampiamente la predizione ironica secondo la quale “ora gli elettori di Milei se ne andranno perché si è alleato con la casta” e altre formulazioni simili. Ma il 96% degli elettori di Milei era molto soddisfatto dell’accordo. In altre parole, questo discorso ironico è stato costruito ad esclusivo autoconsumo dei settori progressisti e non coincideva affatto con la realtà, perché, ebbene, quei settori [elettori di Milei/N.d.T.] che, secondo questa narrazione, avrebbero dovuto arrabbiarsi, avevano fatto la loro scelta valutando attentamente la possibilità di accedere al governo. D’altro canto, per Massa è stato impossibile concretizzare una proposta di “unità nazionale”- cioè è quella che ha proposto- perché non è riuscito a convincere nessun leader di Juntos por el cambio ad aderirvi.

Quindi quella confluenza ideologica, sommata alla confluenza politica si combinava a quella di tutti i mezzi d’informazione/comunicazione…

Infatti, non uno dei giornalisti preferiti dall’elettorato di Bullrich aveva invitato a votare per Massa o almeno a non votare per Milei. Tutto concorreva a dare solidità a questa proposta di confluenza, con una narrazione da parte dei media che già dopo le primarie cominciavano a presentare Milei come qualcuno che, in fin dei conti, si era dato una calmata o che aveva proposte più adeguate, etc.. Ed è quello che la gente voleva sentirsi dire.

Una parte della società lo ha sostenuto perché non credeva che avrebbe mantenuto ciò che aveva promesso, negava che avrebbe fatto ciò che aveva detto, e diceva di averlo votato perché non avrebbe fatto ciò che aveva promesso e annunciato.

Un altro settore credeva che lo avrebbe fatto ed è proprio per questo che l’ha votato. In questo settore ci sono livelli molto alti di accettazione del sacrificio. Il 70% degli elettori di Milei e Bullrich ha affermato che le tariffe dei trasporti pubblici andavano aumentate e che era giusto che aumentassero. Si articolavano addirittura cifre specifiche per gli aumenti di tal o tal altro trasporto pubblico, e così via.

Questa confluenza tra il desiderio di un progetto, la speranza in un progetto ultraliberale per far uscire il Paese dalla stagnazione economica e l’accordo con molte espressioni ideologiche conservatrici e neoliberiste spiega perché oggi continua ad esserci un forte sostegno al governo. Stiamo facendo un sondaggio – non ho ancora i dati precisi – da cui risulta che circa il 90% di coloro che hanno votato Milei al secondo turno pensano che il governo si sia comportato in modo “eccellente” (40%) oppure “buono, anche se in alcune cose ha sbagliato” (50%). Il consenso è molto forte. Compresi gli elettori venuti da Bullrich, ecc. E la parola che più caratterizza i loro sentimenti riguardo al governo è “speranza”. « Esperanza » è la parola più ricorrente.

Hai notato un peggioramento dell’immagine di Milei negli ultimi mesi?

No, non sembra esserci, sembra che non ci sia quasi nulla. Ho altri colleghi che stanno facendo altre inchieste e vanno tutti più o meno nella stessa direzione. In ogni caso, gli si accorda un po’ di tempo. […]

Quanto durerà? Ciò che i sondaggi non lasciano vedere è la profondità di questa coerenza ideologica. Perché è vero che i livelli di politicizzazione, anche tra i più entusiasti di Milei, sono superficiali : hanno delle risposte, ma non è una cosa molto elaborata.

Però le aspettative sono forti : si spera che questo programma neoliberista funzioni, che gli uomini d’affari finalmente investiranno e il paese finalmente crescerà, oppure che arriveranno investimenti stranieri, o un mix di queste due cose. E questa posizione non é irrazionale, anzi ha una certa razionalità. A volte trovo che si dica “la gente ha votato per lui irrazionalmente”. Ma non è quello che emerge dalle inchieste. L’unico punto su cui c’è disaccordo verte sui diritti dei lavoratori.

Ci sono momenti in cui il programma o le politiche di Milei entrano in conflitto diretto con le aspettative della sua base elettorale?

In primo luogo, non vi è alcun contrasto sugli accordi di Milei con i settori da lui definiti “casta”. Quando abbiamo chiesto quale minoranza domina la maggioranza, su mille persone che hanno risposto più o meno riguardo a quella minoranza, solo trenta hanno scritto “la casta”. D’accordo, altri hanno scritto “politici corrotti”, “politici kirchneristi”, ma la casta come significante compare solo nel 3% dei casi. Voglio dire, nessuno parla di casta. Poiché il discorso esiste, non si può dire di no, ma non è affatto rappresentativo.

Dal 2021 la spoliticizzazione si è approfondita, ma l’ascesa di Milei ha rovesciato la tendenza per lo meno nella misura in cui sia da una parte che dall’altra tutti erano vicini ad una forza politica. Ecco perché non esiste un rifiuto diffuso della politica. Semmai, esiste un discorso contro alcuni politici, ma non un discorso massiccio contro la politica stessa, né una disaffezione generalizzata, come avviene in altri paesi dove vota la metà della popolazione. Non è questo il punto su cui vedremo delle tensioni. “Alla fine Milei ha dato ragione alla casta”, non è un tipo di critica che emerge tra i suoi elettori. Lo abbiamo visto al momento dell’accordo con Macri ; continuiamo a vederlo adesso.

Nelle domande aperte che poniamo, l’unico punto di disaccordo con il programma neoliberista è la questione dei diritti dei lavoratori. Lì, anche i lavoratori informali vogliono i diritti : non esiste alcun discorso che si opponga all’esistenza e all’espansione dei diritti del lavoro.

Diritti umani? Sistema democratico?

L’importanza di questi aspetti non è così chiara. O meglio, non sembrano avere alcuna importanza tra i suoi elettori. Quando chiediamo loro se hanno paura in merito, rispondono “beh, sì, ho un po’ di paura“, ma votano comunque a favore. Cioè questi elementi non si presentano come un limite forte. Vedremo in seguito come tutto ciò si svilupperà.

Penso che il punto centrale sia che nessuno salterà nel vuoto; Vale a dire, se dall’altro lato non esiste una proposta chiara che stimoli, che generi aspettative su un’alternativa reale, è molto probabile che questa versione ultra-neoliberista si consolidi. Anche se fallisse, è probabile che una variante neoliberista diversa e moderata venga da questa “opposizione ufficialista” che sembra avere non pochi punti d’accordo con Milei. Magari qualcosa di un po’ più allineato a destra e non tanto all’estrema destra, vedremo. Insisto che la chiave è costruire una proposta desiderabile, solida, diversa…

Se ho capito bene, credi che la base elettorale di Milei rappresenti una radicalizzazione della destra tradizionale e dell’anti-peronismo, invece che un risultato della crisi del voto peronista. Non osservi fenomeni di spostamento dell’elettorato peronista verso Milei?

Non abbiamo constatato un tale fenomeno su amplia scala, no. Ovviamente c’è stato, ma chi valuta positivamente il governo di Cristina ha continuato a votare con fermezza Massa. I voti peronisti persi erano in fondo quelli che Alberto aveva attirato nel 2019 ma che se n’erano già andati nel 2021. Chi erano? Ebbene quelli che avevano votato Alberto nel 2019 ma erano critici nei confronti del governo di Cristina. Quella percentuale, quel 10%, 12%, scomparirà nel 2021. È andato a Milei o è andato a Juntos por el cambio, e per questo rimane il 30%, il 34%, che è il nucleo kirchnerista che rimane fedele.

Non vedo questo cambiamento. In generale, coloro che si dichiaravano vicini al peronismo hanno votato per Massa. Quest’ultimo ha anche saputo recuperare voti di chi si sentiva vicino al peronismo ma che aveva in un primo tempo votato per Milei così come ha stimolato la partecipazione al voto di strati che si erano astenuti alle primarie. A dire il vero, le inchieste non permettono di stabilire se le persone hanno cambiato nel tempo la propria posizione ideologica e identitaria. Ma non sembra che ci sia stata questa fuga dal peronismo verso Milei.

C’è, certamente, un’incapacità del kirchnerismo ad attirare i giovani, un fenomeno reale, molto diffuso e che logicamente pesa molto. Parlo dei figli di genitori kirchneristi che aderiscono alla campagna di Milei, che votano per lui…È un fenomeno che conosco in prima persona.

Leggo anche che ti interroghi sul forte rapporto che solitamente si sarebbe instaurato tra il voto per Milei ed il lavoro precario, informale. È così?

In effetti non è così. Ciò che più colpisce è come i lavoratori in situazione di stabilità lavorativa abbiano votato per Milei con una percentuale del 60%. Si tratta cioè di persone a beneficio di un certo livello di formazione che votano per Milei, cosa che si riproduce in tutte le classi sociali. Al primo turno forse i servizi domestici hanno votato meno, ma probabilmente perché avevano posizioni ideologiche più nazionalpopolari. Certo, ci sono più voti per Milei, tra i lavoratori del settore informale.

Ma a livello ideologico non c’è molta differenza. Si dice che ideologicamente questo settore sia più autonomo, isolato, meno posizionato; no, non è così. Se si guarda alla distribuzione su scala del neoliberismo, ovviamente c’è tutto. Il voto effettivamente aumenta, ma in generale si tratta del voto dei giovani. Quando rimuoviamo l’impatto dei giovani, quando sottraiamo dall’equazione il fatto che i giovani hanno lavori più informali e hanno votato di più per Milei, l’effetto dell’informalità si riduce.

Quindi non sembra essere questo il nocciolo della questione. È un fenomeno globale che ha una spiegazione abbastanza razionale: le persone che sono sole, che non hanno spazi per l’interazione lavorativa, che non hanno spazio per formalità e sindacati per raggrupparle, per difenderle, ecc., hanno più difficoltà ad organizzarsi, a prendere coscienza e così via. Ecco perché ciò che più colpisce è come le persone che invece avevano tutto ciò abbiano comunque votato per Milei.

Vedremo come evolverà la cosa, ma l’altro giorno ho sentito alla radio un sindacalista, totalmente progressista, dire che non capiva perché non c’era più azione, perché la gente non aveva un atteggiamento più ribelle. È stato onesto dicendo che il governo ha licenziato migliaia di dipendenti statali e tuttavia non c’è alcun livello di conflitto, nemmeno in difesa dei propri interessi. Moltissimi lavoratori statali sono rimasti senza lavoro, con le loro famiglie per strada, eppure non c’è risposta all’altezza dell’attacco. Non c’è il clima per questo, diciamo… solo una piccolissima percentuale ha un atteggiamento che potremmo definire più combattivo.

Come si spiega l’elevata tolleranza sociale all’aggiustamento?

Il fatto è che anche alcuni settori elettorali di Massa e, anche del FIT, oggi dicono che bisogna trattare con il Governo. Ebbene, perché tra i dirigenti – non dico FIT, ma peronisti – c’è un settore importante che negozia con il governo e un altro settore che non è chiaro su quale sarà la sua posizione. È difficile, perché se la base non mette in discussione questo atteggiamento… Se non c’è più un atteggiamento combattivo, la leadership dovrebbe avanzare in una posizione più chiara? Credo che si debba andare avanti, ed è fondamentale che si facciano dei progressi in questi mesi, perché se questo progetto si consolida è molto rischioso.

Quello di Milei è un progetto che può avere una stabilità temporanea al di là delle enormi incapacità personali di molti dei soggetti che attualmente sono alla guida del Governo.

Hanno un progetto molto chiaro e una forte determinazione su come e dove portare le stoccate. Sono l’avanguardia politico-ideologica di un pugno di miliardari globali che sognano un mondo alla Milei, un mondo senza Stato, senza regolamenti, dove poter impiegare l’intelligenza artificiale, la robotica, le auto senza conducente, ecc., lasciandoci praticamente senza possibilità di impiego. Un mondo in cui tutto ciò diventi per loro un profitto monopolistico, libero dalle regolamentazioni statali. Sanno che qualsiasi proposta seria, anche neoliberista, prevede una regolamentazione.

Ecco perché Milei è la loro avanguardia politica, anche se ha  un po’ l’aria di un pagliaccio.

Ti ho sentito fare riferimento all’analisi del fascismo di Fromm, in cui ipotizzava che questo fenomeno fosse legato alla generalizzazione di una personalità narcisistica, e tu recuperi quell’idea per analizzare l’estrema destra contemporanea. Potresti approfondire questo punto?

Siamo partiti dalla la tradizione di Fromm e di Adorno di lavorare attraverso delle inchieste. Sono i primi che, nel lontano 1930, in Germania, hanno realizzato un lavoro che Fromm non ha mai pubblicato perché dimostrava che buona parte delle persone che votavano per i partiti di sinistra avevano una personalità autoritaria (e avrebbero seguito un leader autoritario), con comportamento sadomasochista, cioè persone che erano sadiche con i deboli e masochiste con i forti.

Bene, abbiamo trovato qualche componente masochista nelle persone che accettano l’aumento delle tariffe e la riduzione degli stipendi. Anche sulla questione dei piani sociali, degli aiuti ai poveri c’è un discorso durissimo ,“antideboli”, che è penetrato profondamente in un settore della società. Quello che dico è che esiste una componente di personalità che contribuirebbe ad adottare tali posizioni. Non voglio dire che tutti abbiano quella personalità, né che abbiamo potuto misurarla nel dettaglio; proprio questo, a grandi linee.

Adorno ha lavorato su questo con interviste psicoanalitiche, cosa che noi non abbiamo fatto. Né abbiamo misurato altre questioni interessanti, come ad esempio il narcisismo. Abbiamo un progetto attorno a questo. Fromm aggiunge il narcisismo come tipo di personalità alla tipologia che aveva elaborato negli anni ’60. L’importante è che il narcisista pensi alla realtà in base ai propri parametri e non verifichi tali parametri con prove empiriche. Lo abbiamo visto ripetutamente. Tutte le dinamiche che vengono generate dagli algoritmi dei social network, ad esempio, aiutano a costruire questo tipo di fantasie. E quando quelle fantasie che i social network ci vendono permanentemente vengono frustrate, si genera un grande risentimento.

Tutti questi componenti sembrano essere lì a svolgere un ruolo. Ma questa è ancora più un’ipotesi che una spiegazione, ma è strano come le posizioni ultra-neoliberali e ultraconservatrici sembrino rafforzate così tanto. Questa polarizzazione sarà probabilmente un fenomeno globale. In ogni caso, penso che sarebbe importante che esista un giorno una forza politica liberal-democratica, perché al di là del fatto che credo che il progetto nazional-popolare, di sinistra e di centrosinistra, debba essere forte e chiaro, dobbiamo curare i legami con questo settore, con questi partiti centrali.

A volte il kirchnerismo non ha saputo mantenere un buon dialogo con quel settore, che trova la sua espressione soprattutto nelle classi medie. Molte volte, in una lettura sbagliata di Arturo Jauretche [1901-1974, uomo politico e scrittore ispiratore di un nazionalismo popolare che rifiuta l’identificazione europea delle élites argentine/N.d.T.], sono stati spinti dall’altra parte della “frattura”, quando… beh, lo abbiamo visto con il caso del governo di Aníbal Ibarra nella città di Buenos Aires: non solo negli anni Settanta ma anche negli anni 2000 è stato possibile costruire una classe media progressista impegnata nell’integrazione sociale. Ebbene, penso che questo progetto debba essere ristabilito con il potere.

In conclusione, come ricomporre un progetto di opposizione contro questo Governo? Considerato il contesto e i fattori che hai citato, quale sarebbe l’approccio appropriato?

In linea di principio, penso che il primo compito sia ricostruire una proposta forte, chiara, nostra, che ci permetta di rendere ancora una volta desiderabile un progetto nazional-popolare. E poi pensare a tradurlo in progetti governativi.

Qual è la proposta perché il 70% dei produttori rurali sostenga un governo nazional-popolare? Qual è la proposta per i ragazzi e le ragazze che passano la giornata pedalando per Rappi [piattaforma creata nel 2015 specializzata nella creazione di « micro »imprese di servizi basata sul modello di Uber/N.d.T.]? Quale per chi guida un Uber? L’importante è avere una proposta concreta e accessibile, in modo che le persone abbiano la possibilità, invece che di finire mani e piedi legati ad Uber, di dire: “Voterò per questa proposta che impedirà a Uber di fare, legalmente o illegalmente il bello o il brutto tempo.“. Per ogni settore dobbiamo avere una proposta chiara e non mera retorica. Una proposta chiara alla quale possano aderire i diversi settori.

Altro aspetto fondamentale è ricostruire la politica territoriale. E questo va fatto quartiere per quartiere, non si può tornare indietro. Penso che si sia passati dalla critica ai “leader” alla totale assenza di intermediari senza soluzione di continuità. E molte volte ciò finisce per eliminare direttamente le mediazioni politiche. Quindi, costruire istanze di politica, in modo che le persone possano prendere decisioni nei quartieri, in modo che ciò che la gente pensa dovrebbe essere fatto venga realmente ascoltato e ciò che viene dibattuto, deciso e votato in un processo più virtuoso di andata e ritorno.

E affrontare subito i grandi problemi che abbiamo. Il libro si conclude sollevando la questione della crisi dell’istruzione. La crisi educativa ha portato alla nostra attenzione la formazione civica dei nostri giovani. Sono riusciti a imporre una visione fantastica e incredibile della storia. Tre sono le domande sulla storia argentina che possono spiegare il 92% dei voti: in cosa consisteva il peronismo classico, in cosa consisteva la dittatura militare del 1976 e in cosa consisteva il governo Menem negli anni ’90. Il cambiamento nella visione del passato è impressionante , e lì c’è una crisi della formazione. Dobbiamo ripensare cosa dovrebbe essere la scuola e dare più autonomia affinché la scuola stessa possa ricrearsi, reinventarsi.

*Martín Mosquera è il redattore in capo di Jacobin Magazine edizione America latina (https://jacobinlat.com/ ) dove questa intervista è stata pubblicata in spagnolo il 18 agosto 2024. Ringraziamo Paolo Gilardi a cui si devono la traduzione dallo spagnolo e le note.