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Sabato sera, la presidenza francese ha annunciato formalmente l’insediamento del nuovo governo Barnier, che oggi, lunedì 23, terrà la sua prima seduta. Il neo presidente del consiglio, dopo 16 giorni di attesa dalla sua nomina, e dopo due mesi e mezzo dalle dimissioni del governo Attal, ha finalmente rivelato i nomi dei suoi 39 ministri (19 titolari, 15 viceministri e 5 segretari di stato), uno solo dei quali (tanto per confermare l’orientamento di fondo del nuovo esecutivo) ha un passato di “sinistra”, il guardasigilli (ministro della Giustizia) Didier Migaud, 72 anni, ex socialista, fuori dalla politica da quattordici anni, dopo essere stato nominato primo presidente della Corte dei conti.

Molto più esplicitamente significativa è la storia di tutti gli altri ministri, a partire da quella del cruciale responsabile degli Interni, Bruno Retailleau, non a caso eletto dalla Vandea al senato, dove guida il gruppo dei repubblicani (LR), un personaggio che riesce ad essere molto più di destra del ministro uscente, il macroniano Gérald Darmanin.

Retailleau, prima di approdare ai Républicains, ha vissuto politicamente in stretto contatto con l’estrema destra, strenuamente schierato a favore di Netanyahu e delle sue sanguinarie imprese, non ha neanche quella pallida patina liberale che caratterizza l’entourage di Macron: contrario a ogni forma di matrimonio omosessuale (“Difenderò la mia concezione della famiglia e la necessità che un bambino venga allevato da un padre e da una madre”, dichiarava e, quando venne approvata la riforma che introduceva la possibilità di matrimonio diverso da quello “tradizionale”, dichiarò: “I grandi perdenti di questa riforma saranno i bambini! Questa è la Repubblica dei Desideri.”), ostile nei confronti delle persone LGBT, nel 2021 ha votato contro la legge che vietava ogni “terapia” per convincere le persone LGBT a “convertirsi”, contrario alla legge che ha inserito il diritto all’aborto nella Costituzione, strenuo difensore delle “grandi opere” minacciate dagli ambientalisti, ripetutamente definiti come una “minoranza ottusa e ultraviolenta”, propugnatore di una “rivoluzione penale” che comporti la maggiore età penale già a 16 anni, con posizioni non dissimili da quelle del Rassemblement National di Marine Le Pen sull’immigrazione, favorevole a che si tenga un referendum contro il diritto al “ricongiungimento familiare”

Per Bruno Retailleau il pericolo viene “dall’estrema sinistra”: nel marzo 2023 dichiarava: “Ricordo che ieri questa estrema sinistra era in piazza assieme agli islamisti, la minaccia alla Repubblica e alle nostre istituzioni proviene da questa parte dello spettro politico”. È arrivato persino a proporre di tagliare i finanziamenti pubblici alla Lega per i Diritti Umani, fondata nel 1898 e attiva in Francia dunque da quasi un secolo e mezzo, ritenendola “troppo contigua su un certo numero di questioni all’estrema sinistra”.

Temendo di essere frainteso, il nuovo ministri degli Interni, ha affermato su “X” (l’ex Twitter) di voler “riportare l’ordine” e di essere “onorato e orgoglioso di servire la Francia”“Sono qui per agire, con un’unica parola d’ordine: ripristinare l’ordine per garantire l’armonia”.

È singolare anche la scelta della nuova ministra dell’Educazione nazionale (“una priorità nazionale” l’ha definita il premier Barnier). In poco più di due anni si sono succeduti cinque ministri in quel dicastero. La nuova, la macronista Anne Genetet, deputata eletta dai francesi all’estero, è medico di formazione, attiva presso la Croce Rossa, sconosciuta al grande pubblico, e soprattutto ai lavoratori della scuola, esperta di diplomazia e difesa militare, mai presente nel campo dell’istruzione. I sindacati degli insegnanti, all’unanimità, hanno interpretato questa scelta come rivelatrice della confusione del campo macroniano sul che fare nella scuola. La scuola in Francia è alle prese con le misure introdotte dal governo Attal alla fine del 2023 e respinte dal mondo degli insegnanti: l’istituzione delle scuole medie classi di livello per adattarsi alle capacità degli studenti, indicazione raccolta in meno di un terzo degli istituti.

Ma questa patente propensione a destra non sembra faccia sperare vita facile per il nuovo governo. Non solo il Nuovo Fronte Popolare nelle sue diverse componenti, ma anche il gruppo parlamentare del Rassemblement National ha già annunciato l’intenzione di votare la censura al nuovo esecutivo, intravedendovi il “ritorno del macronismo, che rientra dalla porta di servizio”.

“Più si perde alle urne, più ministeri si vincono”, dichiara François Ruffin, ex braccio destro di Mélenchon e oggi fuori dalla France Insoumise. A sinistra anche i socialisti censurano il nuovo governo. Sia il leader Olivier Faure, sia il capogruppo Boris Vallaud (della corrente meno entusiasta dell’alleanza del NFP) hanno commentato: “Siamo stati truffati, questa è la banda della destra organizzata. Si tratta del tradimento del voto dei francesi, è un governo reazionario, un insulto alla democrazia”

Per Lucie Castets, la candidata premier del NFP, “la democrazia viene umiliata: era stato prospettato un governo di riconciliazione, ma abbiamo avuto un governo di destra dura”.

Nonostante le intenzioni ambientaliste esibite da Agnès Pannier-Runacher, la nuova ministra della Transizione ecologica, dell’Energia e del Clima, che ha promesso una “politica ecologica ambiziosa e popolare, per permettere a tutti di vivere meglio”, la leader dei Verdi Marine Tondelier ha definito il gabinetto Barnier “un governo contro la natura e contro natura”.

Jean-Luc Mélenchon, ovviamente, è stato il più duro: “Si tratta del cast per un nuovo film catastrofico macronista… Il governo dei perdenti delle elezioni legislative è nelle mani del preoccupante ministro dell’Interno… questa combinazione non ha né legittimità né futuro. Dobbiamo sbarazzarci di loro il prima possibile”.

*articolo apparso sul sito refrattario e controcorrente il 23 settembre 2024.