Anche alle nostre latitudini Sahra Wagenknecht raccoglie simpatie in una sinistra campista rimasta all’idea che tutto quanto si oppone agli Stati Uniti sia, per definizione, una buona cosa.
Analisi politiche (e le sentiamo tutti i giorni) che vivono nel mondo del linguaggio geopolitico (“I cinesi”, “ i russi”, “gli americani”) dove la bussola della lotta di classe è totalmente sparita; dove gli interessi sono sono quelli astratti degli Stati e delle loro classi dominanti, cancellando in questo modo gli interessi, i bisogni, i diritti dei popoli che abitano questi paesi.
E così, alla fine, il sostegno a orientamenti politici come quello di Sahra Wagenknecht e del suo movimento viene a coincidere con posizioni assai vicine a quelle dell’UDC (come Sahra Wagenknecht arriva dalle parti dell’AfD tedesca). (Red)
I venti di guerra creano un turbine in politica. Cento anni fa, coloro che si opponevano alla Prima Guerra Mondiale adottarono il marchio comunista per distinguersi dalle leadership dei partiti socialisti che avevano capitolato a sostegno dei rispettivi nazionalismi. Il fascismo nacque più tardi, tra gli ex combattenti dell’Italia sconfitta, e vestì di camicia nera molti ex sindacalisti, anarchici e socialisti. Questo fu anche il percorso del primo segretario generale del Partito comunista portoghese, Carlos Rates, che finì nell’Unione Nazionale. E durante la Seconda guerra mondiale, con i crimini del fascismo più che provati, ci furono ancora “passaggi di casacca” di questo tipo.
Oggi la conflagrazione internazionale si sta riaccendendo. Washington ha da tempo spinto le potenze regionali a non allinearsi. L’Unione Europea vuole tornare a crescere attraverso la corsa agli armamenti e la stessa Germania si prepara a ospitare missili atomici statunitensi per minacciare Mosca. In Russia, il secolo post-sovietico sta passando sotto una dittatura nazionalista e ultra-conservatrice che maledice la memoria dei bolscevichi e venera lo zar e Stalin, mentre sovvenziona l’estrema destra globale. L’invasione dell’Ucraina ha aperto le porte dell’inferno. Il male è banalizzato al di là di ogni interesse e di ogni affare: in Occidente, quasi nessun governo ritira il sostegno militare allo sterminio della Palestina.
È dalla guerra che nasce la mutazione di Sahra Wagenknecht. Più che l’ultima nostalgica del Muro di Berlino, è un prodotto dei nostri tempi: ancora una volta, in mezzo al caos della guerra, ci sono sinistre che si negano come tali e puntano sul nazionalismo.
La rinunica al socialismo come critica della proprietà
Quando si abbandona la questione della proprietà sociale, della critica del capitalismo rimane ben poco. La sinistra può esistere solo se contesta il terreno conquistato dal neoliberismo, e la prima linea di questa contestazione è la proprietà dei beni comuni. Nel caso del partito di Wagenknecht, l’affermazione sulla proprietà è centrale, ma come protezionismo della borghesia industriale tedesca: “una politica energetica sensata inizierebbe considerando le esigenze delle medie imprese tedesche [il Mittelstand], per incoraggiare i proprietari e le loro famiglie a mantenerle, invece di svenderle agli investitori finanziari”.
Uno dei grandi vessilli della Bündnis Sahra Wagenknecht (BSW) è la fine delle sanzioni alla Russia per ripristinare il flusso di gas a basso costo, la cosiddetta “politica energetica ragionevole”; ci arriveremo. Ma prima: questa visione della proprietà capitalista si basa sull’abdicazione alla costruzione di una politica autonoma della classe operaia: “Ciò che conta in Germania è il Mittelstand, il forte blocco di imprese che prendono posizione contro le grandi aziende. Questa opposizione è importante quanto la polarizzazione tra capitale e lavoro. Fare appello alle persone su base puramente di classe non genera alcuna risposta. Ma se ci rivolgiamo a loro come parte del settore della società che crea ricchezza, comprese le imprese gestite dai proprietari, questo ha un impatto sulle persone”.

Senza alcun legame con gli interessi del mondo del lavoro, Sahra Wagenknecht assume il ruolo del suo partito come “legittimo erede del ‘capitalismo addomesticato’ del dopoguerra e del progressismo socialdemocratico”. Più chiaramente, Sabine Zimmermann, leader del BSW in Sassonia, spiega che il BSW è “a sinistra della CDU e a destra della SPD”.
Il discorso di Wagenknecht potrebbe raccogliere voti in un contesto di generale spostamento a destra. Ma questi voti sono una conferma della svolta a destra, perché il programma che li accomuna è una pedagogia della conciliazione di classe e una capitolazione sulla proprietà sociale dell’economia. Wagenknecht si limita a proporre elementi di giustizia fiscale e di regolamentazione statale nazionalista per preservare la proprietà della borghesia industriale tedesca.
Un mondo multipolare e murato
Prima che diventasse l’eufemismo giornalistico applicato alle bande neonaziste, il termine “nazionalista” è stato troppo spesso usato come insulto alla sinistra, che difende la sovranità democratica contro la globalizzazione capitalista o critica il federalismo europeo autoritario. Questo anatema implica che il rifiuto dell’opinione liberale può derivare solo da un atavismo egoistico e non da un’idea di solidarietà e cooperazione. Ora, la sinistra che è sinistra, in qualsiasi paese d’Europa, difende la sovranità popolare contro le imposizioni transnazionali del capitale finanziario iscritte nei trattati dell’UE. E non c’è nulla di nazionalista in questo.
Ma chi vuole trovare tracce di tale sovranità popolare e di sinistra nella deriva nazionalista di Sahra Wagenknecht si sbaglia. Il suo nazionalismo è tipico ed estraneo alla tradizione di sinistra che attribuisce alla classe operaia il ruolo di protagonista nella liberazione della nazione nel suo complesso, tradizione nata dalla Bastiglia (il “terzo stato” che incarnava il popolo francese contro l’aristocrazia) e proseguita dalla visione di Gramsci del progetto nazional-popolare del proletariato, dalle lotte anticoloniali e persino dall’attuale Francia antifascista, in cui sta germogliando una creolizzazione della Repubblica, proposta anni fa da Mélenchon.
Al contrario, Wagenknecht propone un nazionalismo reazionario di vecchio stampo, che affonda le sue radici nella conciliazione di classe e riprende le linee d’urto che la destra è riuscita a imporre all’agenda – energia, immigrazione e dogane– per riprodurre versioni del repertorio conservatore e suprematista tedesco dell’estrema destra.
Il punto in cui il suprematismo nazionalista tedesco si esprime più chiaramente è la questione climatica: “non sosteniamo la distruzione della nostra industria automobilistica rendendo obbligatorie le auto elettriche solo per rispettare soglie arbitrarie di emissioni. Nessuno di coloro che vivono oggi vedrà le temperature medie abbassarsi di nuovo, indipendentemente dalla riduzione delle emissioni”.
La trasparenza merita un plauso, ma la scelta consapevole di condannare le generazioni future in nome del business dei fossili è abietta. Senza negazionismo (Wagenknecht riconosce l’esistenza della crisi climatica), il BSW assume un atteggiamento di supremazia: invece di ridurre rapidamente le emissioni in uno dei paesi più ricchi e industrializzati del mondo, dà priorità alla mitigazione degli effetti della catastrofe sull’elettore tedesco. L’UE “per prima cosa doti asili e case di riposo di aria condizionata finanziata dallo stato e trasformi gli argini dei fiumi e le zone rivierasche in zone protette dalle inondazioni”. Il caos può diffondersi in tutto il mondo e il nazionalismo vedrà la nostra casa (o la nostra regione, o la Germania, o l’Europa) come il miraggio di una fortezza.
La rinuncia all’internazionalismo
Lo slogan “per un mondo multipolare” riflette la visione di una sinistra che si considera parte dello scacchiere geopolitico. Su questa scacchiera, la parte imperialista e i suoi avversari si fronteggiano e alla sinistra non resterebbe che scegliere se essere una pedina bianca (allineata con il liberalismo occidentale) o una pedina nera e, in questo caso, assumere la retorica di Putin sulla guerra in Ucraina, chiudere un occhio sulla violenza istituzionale in Iran e Siria o trattare i brogli elettorali venezuelani come un male necessario. I fan del “mondo multipolare” non si sono ancora resi conto che, a un anno dal genocidio, Cina e Russia mantengono intatte le loro relazioni commerciali con Israele e sono irrilevanti nel fare pressione su Netanyahu. Ma anche questa lacuna nella narrazione non distrae i “campisti”.
La posizione di Wagenknecht sulla guerra in Ucraina l’ha resa una stella nascente in questi settori della sinistra. Alla tradizione anti-NATO della Germania Est si aggiunge la già citata agenda energetica dell’industria tedesca, ossessionata dalla riapertura delle forniture di gas russo a basso costo.
È chiaro che questo cinismo della posizione di Wagenknecht non annulla parte della sua critica al governo SPD-Verdi. Per molti mesi ha mantenuto una posizione relativamente moderata nel sostenere Kiev contro l’invasore. Ricordiamo che la Germania è stata attaccata direttamente dalla parte ucraina all’inizio della guerra (con la distruzione di Nord Stream, il gasdotto del Mar Baltico per il gas russo). Ma nell’ultimo anno la SPD ha aderito alla linea apertamente militarista dei Verdi, ha iniziato a consegnare armi offensive a Zelensky (permettendogli di raggiungere obiettivi al di fuori del suo territorio) e ha adottato una strategia di ripresa economica basata sull’industria delle armi. L’apice di questa adesione alla politica di guerra fu l’ammissione della futura installazione sul territorio tedesco di missili nucleari statunitensi in grado di raggiungere Mosca. La totale adesione di Berlino all’agenda di guerra ha rafforzato la retorica di Wagenknecht (il gas a basso costo per le fabbriche tedesche vale più del diritto all’autodeterminazione dell’Ucraina) e gli ha permesso di contendere all’estrema destra un discorso contro la guerra con un profilo nazionalista.
Ma questo posizionamento non si traduce in un antimilitarismo coerente. Al contrario, la politica di immigrazione del BSW prevede la militarizzazione della frontiera meridionale dell’Europa contro i lavoratori stranieri che cercano di raggiungere il continente, il mantenimento di campi di concentramento finanziati dalle casse europee, nonché la continuazione delle morti nel Mediterraneo e nel deserto del Sahara, tra gli altri. Esimersi dal razzismo esplicito (nei giorni migliori) non è una sufficiente presa di distanza dall’estrema destra. Come i fascisti, il BSW incolpa gli immigrati per la crisi dei servizi pubblici (“le risorse collettive non possono essere sovraccaricate”) e per la pressione verso l’abbassamento dei salari. Come se le “700.000 esigenze abitative” o il degrado dei servizi educativi e sanitari non fossero il risultato del disinvestimento e delle politiche liberiste, ma dei rifugiati siriani in fuga dalla guerra. O come se la Germania non avesse una disoccupazione ai minimi storici, il che indica che la pressione migratoria è solo l’alibi dei padroni, responsabili della prolungata pressione sui salari.
Per costruire la sua argomentazione perversa, il BSW assume la retorica dell’austerità e dei limiti di bilancio e non propone ulteriori trasferimenti per le case popolari e l’assunzione di insegnanti e tecnici per i servizi di accoglienza dei migranti. Si batte invece per l’eliminazione delle prestazioni sociali per i circa 100.000 migranti la cui domanda di asilo è stata respinta, ma che sono protetti dalla legge tedesca (soprattutto perché provengono da paesi che non offrono la sicurezza del ritorno). In altre parole, Wagenknecht vuole usare l’emarginazione e la miseria come pressione per un ritorno volontario al caos di paesi come la Siria o l’Afghanistan, ma tutto ciò che otterrà è promuovere la fuga verso un’esistenza clandestina in Germania, sfruttata e ancora più vulnerabile alle reti, alle mafie e al risentimento sociale che alimenta la xenofobia. Questo nuovo suprematismo tedesco, che vuole proteggere i lavoratori autoctoni dai loro concorrenti stranieri, è una tattica elettorale che provoca vere e proprie vittime.
Nelle giornate storte, le sfumature dell’estrema destra si confondono con i riferimenti alla “crescente criminalità straniera”, con la richiesta di deportazioni sommarie e con i riferimenti alle “società parallele di influenza islamica”, in cui “i bambini crescono odiando la cultura occidentale”.
Wagenknecht potrebbe mantenere, come nelle clausole dei contratti, delle salvaguardie per rispondere alle accuse di xenofobia e di egoismo nazionalista: sostegno ai paesi di origine per trattenere i loro giovani, con un migliore accesso agli investimenti di capitale, un regime di commercio equo e solidale, il rimborso dei costi di formazione dei lavoratori migranti altamente qualificati. Tutta questa agenda caritatevole sta naufragando nella sua retorica pubblica a favore di restrizioni più severe sulla politica di immigrazione.
La competizione con l’estrema destra, adottando la sua narrativa per contestare l’elettorato islamofobo e anti-immigrazione, produce lo stesso risultato: mettere i più poveri contro i più fragili. E alla fine, come dimostrano gli studi elettorali, l’estrema destra aumenta i voti e le sue idee si diffondono nel resto dello spettro politico.
Il cedimento alle guerre culturali dell’estrema destra
Quando Donald Trump vinse le elezioni del 2017, non mancò chi teorizzò che la sua vittoria si basasse su una presunta priorità per la sinistra delle questioni “di costume”, le famose cause della “frattura sociale”, che l’avrebbero allontanata dalla “gente normale”. Molti di questi critici finirono così, per vie traverse, per dare un sostegno oggettivo allo sforzo propagandistico di Trump. Già allora era l’estrema destra globale a porre le sue “guerre culturali contro il wokismo” al centro del dibattito politico. Di fronte a questa offensiva, c’era e c’è chi, ancora oggi, vuole che la sinistra ammaini le bandiere della lotta alla discriminazione e per il riconoscimento della differenza.
Dal 2017, molta acqua è passata nel mulino dell’ultradestra, e i movimenti femministi e LGBT sono stati tra i più ampi e potenti nell’affrontare l’agenda conservatrice e il silenzio, anche se c’è sempre qualcuno che trova “esagerazione” ed “eccesso” nell’espressione di questi movimenti sociali, ancora chiamati “nuovi”…
L’adattamento conservatore è quindi una tentazione costante per la sinistra in questo periodo, ma Sahra Wagenknecht gioca nella “serie A” di quel campionato. La sua politica è una completa conversione conservatrice, termine che lei abbraccia in pieno. In bilico sul centro politico, cancella semplicemente l’agenda dei diritti femministi e LGBT: “vogliamo incontrare le persone dove sono, e non fare proselitismo su cose che rifiutano”. Punto e basta.

Per quanto riguarda la parità di genere, la Germania ha “ampiamente superato il patriarcato” e il femminismo è quindi un pezzo da museo. Certo, l’estrema destra è vicina ad essere il partito più votato; ma anche la misoginia neonazista non sembra essere un rischio per le donne. Ancora una volta, razzismo mal mascherato: è “dalla porta di servizio” che l’oppressione delle donne, presumibilmente superata, potrebbe “tornare”, dopo essere stata presumibilmente superata.
Sulla questione della discriminazione LGBTQI+, Wagenknecht vuole imporre il silenzio: le persone nella Germania dell’Est “non riescono a gestire questi dibattiti sulla diversità. (…) C’è un tipo esagerato di politica identitaria in cui devi scusarti se parli di un argomento e non hai un background da migrante o se sei etero”.
Il capitalismo continua a punire la differenza, trasformando la sessualità in un mercato di nicchia; ma invece di riconoscere il potenziale emancipatorio delle prospettive femministe e LGBTQI+ di fronte allo sfruttamento dei corpi nel libero mercato, questo nazionalismo assume il peggio del conservatorismo: invisibilizzazione e messa a tacere.
L’abbandono del campo della sinistra
Una delle conseguenze peggiori dell’espansionismo di Putin e dell’invasione dell’Ucraina è stata la radicalizzazione dei disallineamenti, sia della sinistra che è diventata la cosiddetta pedina nera sulla scacchiera delle potenze secondarie, sia di coloro che hanno iniziato a naturalizzare la NATO come una fortezza difensiva, cosa che non è mai stata.La posizione del Bloco de Esquerda sull’invasione dell’Ucraina dimostra che è possibile – e persino indispensabile – conciliare la critica all’imperialismo con il sostegno alla resistenza difensiva dell’invaso. Al contrario, il partito di Wagenknecht appare come un perfetto esempio di come la sinistra si assuma come pedina nera. Ma non sarebbe corretto dire solo così: conciliazione di classe, suprematismo tedesco e anti-immigrati, capitolazione conservatrice: tutte queste mutazioni hanno già allontanato Wagenknecht dal campo della sinistra.
*giornalista, è uno dei dirigenti del Bloco de Esquerda (Portogallo). Questo articolo è apparso sulla rivista Viento Sur. Tutte le citazioni senza altro riferimento sono tratte dalla lunga intervista rilasciata da Wagenknecht alla New Left Review lo scorso aprile). Sullo stesso tema segnaliamo l’articolo apparso su questo stesso sito lo scorso 28 settembre 2024.