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La nuova alleanza, politica e militare, tra Russia e Corea del Nord va ben al di là di ciò che può apparire a prima vista e comporta una fondamentale alterazione degli equilibri mondiali. Un’alterazione che va chiaramente nella direzione di una guerra più generalizzata, dagli effetti potenzialmente anche apocalittici.

Introduzione

La guerra in Ucraina ha preso una piega sorprendente e potenzialmente esplosiva con l’invio da parte della Corea del Nord di migliaia di soldati in Russia, con ogni probabilità al fine di combattere al fianco delle forze di Mosca. Le stime sulla presenza militare nordcoreana in Russia e in Ucraina sono variabili e oscillano tra 3.500 e 10.000 unità, equivalenti a una o due brigate delle forze speciali.

Né la Russia né la Corea del Nord hanno smentito questo dispiegamento, che rappresenta la più grande mobilitazione di truppe nordcoreane fuori dalla penisola coreana dai tempi della guerra del Vietnam. Nei fatti, sia il ministro degli esteri russo Sergey Lavrov, sia lo stesso Vladimir Putin, lo hanno confermato direttamente, così come un alto funzionario nord-coreani.

Questo sviluppo senza precedenti segue mesi di crescente collaborazione militare tra Mosca e Pyongyang. La Corea del Nord ha già fornito alla Russia munizioni di artiglieria, razzi e missili balistici a corto raggio, con le fabbriche nordcoreane che starebbero producendo a pieno ritmo per rifornire l’esercito russo, sempre più a corto di armi e munizioni dopo oltre due anni di conflitto.

A suggellare questa partnership militare è stato l’accordo di cooperazione strategica firmato a giugno dai leader dei due Paesi, Vladimir Putin e Kim Jong-un, che include una clausola di mutua difesa in caso di attacco esterno a una delle parti. Un patto che di fatto legittima e formalizza la presenza di soldati nordcoreani in Russia, come evidenziato da diversi analisti internazionali.

Sul terreno, le prime avanguardie delle forze speciali di Pyongyang sarebbero già state avvistate nella regione di Kursk, non lontano dal confine ucraino, dove si stanno addestrando in vista di un loro probabile impiego al fronte. Secondo fonti di intelligence citate dalla CNN, ufficiali e ingegneri militari nordcoreani sarebbero già presenti in Ucraina per addestrare i russi all’uso di missili balistici forniti dal regime di Kim, con alcuni di loro che sarebbero rimasti uccisi in azione durante attacchi ucraini.

Ma il dispiegamento del contingente non starebbe avvenendo senza intoppi. Media ucraini riferiscono di problemi disciplinari e diserzioni tra le fila nordcoreane, con 18 soldati che sarebbero già stati arrestati dalle autorità russe dopo essere fuggiti a causa delle dure condizioni e della mancanza di cibo. Una situazione che potrebbe peggiorare con il probabile arrivo di migliaia di altri militari nei prossimi giorni e settimane.

Nonostante le difficoltà, l’afflusso di truppe fresche provenienti dalla Corea del Nord potrebbe fornire a Mosca una boccata d’ossigeno importante in un momento cruciale del conflitto. Con le forze russe stremate da mesi di offensive ad alto costo umano e materiale, e con il Cremlino restio a ordinare una nuova mobilitazione di massa, l’apporto dei soldati nordcoreani potrebbe rivelarsi prezioso per continuare ad alimentare la strategia di logoramento contro l’Ucraina.

Un aspetto importante, a tale proposito, è quello della qualità delle truppe nord-coreane destinate a combattere contro l’Ucraina. Al momento è possibile formulare solo ipotesi e riporto a proposito qui di seguito un ventaglio di possibili interpretazioni.

Secondo funzionari dell’intelligence ucraina, la qualità e la capacità di combattimento dei soldati nordcoreani arrivati in Russia è discutibile. La maggior parte sono descritti come soldati semplici, inesperti e senza esperienza di combattimento reale. Questi soldati hanno visto per la prima volta i droni da combattimento solo recentemente nei campi di addestramento russi.

Gli ufficiali ucraini ritengono che i nordcoreani potrebbero essere usati come “carne da cannone” dai russi, che hanno già impiegato la tattica brutale ma efficace di inviare “ondate di carne” attraverso la terra di nessuno.

Scott Boston, analista senior della difesa presso la Rand Corporation, suggerisce che questo approccio scoraggerebbe Pyongyang dall’inviare truppe di alta qualità. Tuttavia, Yang Uk, esperto di difesa presso l’Asan Institute for Policy Studies di Seul, mette in dubbio la fattibilità di questa strategia, citando le barriere linguistiche e le differenze nella cultura strategica tra russi e nordcoreani.

Ryu Seong-hyun, un disertore nordcoreano che ha servito quasi un decennio nell’Esercito Popolare Coreano, spiega che i soldati nordcoreani sono addestrati a seguire gli ordini senza pensare e potrebbero vedere il servizio in Russia come un’opportunità per migliorare la posizione sociale delle loro famiglie.

Andrei Lankov, esperto di Corea del Nord presso l’Università Kookmin di Seul, stima che il numero totale di soldati nordcoreani inviati probabilmente si limiterà a decine di migliaia, nonostante l’esercito nordcoreano conti oltre 1,3 milioni di effettivi. Questo limite è dovuto alla riluttanza del regime a mandare troppi cittadini all’estero, temendo diserzioni di massa e l’introduzione di idee straniere al ritorno.

Resta da vedere come reagiranno gli altri attori regionali e globali di fronte a questo sviluppo inatteso. Se da un lato la Cina, principale alleato di Pyongyang, mantiene un silenzio difficilmente interpretabile sul rafforzamento dei legami tra Russia e Corea del Nord, dall’altro lato Stati Uniti e alleati hanno già condannato quella che considerano una pericolosa escalation del conflitto. Con il rischio che la guerra in Ucraina possa diventare un nuovo terreno di scontro per procura tra potenze in un contesto di crescenti tensioni globali.

Le motivazioni della Corea del Nord

La decisione della Corea del Nord di inviare proprie truppe in Russia per combattere al fianco delle forze di Mosca in Ucraina rappresenta una svolta significativa nella strategia del regime di Kim Jong-un, destinata ad avere ripercussioni profonde sugli equilibri geopolitici globali. Dietro questa mossa senza precedenti si celano calcoli e motivazioni complesse, che vanno ben oltre il mero sostegno a un paese alleato in difficoltà.

Innanzitutto, per Pyongyang l’invio di soldati sul fronte ucraino rappresenta un investimento a lungo termine per rafforzare l’alleanza con la Russia, considerata ormai più importante di quella storica con la Cina. Come sottolineato da diversi analisti, negli ultimi anni i rapporti tra il regime nordcoreano e Pechino si sono raffreddati, complici le sanzioni imposte dalla Cina in ottemperanza alle risoluzioni ONU e il crescente isolamento internazionale di Pyongyang.

In questo contesto, la Russia di Vladimir Putin è emersa come un partner strategico sempre più cruciale per Kim Jong-un, disposto a fornire quell’assistenza militare ed economica che la Cina non sembra più in grado di garantire. Non a caso, come riportato da Le Monde, negli ultimi mesi Mosca ha intensificato le forniture di petrolio e altri beni di prima necessità alla Corea del Nord, contribuendo ad alleviare l’impatto delle sanzioni sul paese.

Ma è soprattutto sul piano militare che Kim punta a trarre i maggiori benefici da questa partnership. In cambio del suo sostegno nella guerra in Ucraina, il leader nordcoreano si aspetta che la Russia ricambi condividendo tecnologia militare avanzata, in particolare nel settore dei missili balistici lanciati da sottomarini, un ambito in cui Mosca eccelle e che Pyongyang considera cruciale per sviluppare una credibile capacità di seconda rappresaglia nucleare.

“La Russia potrebbe fornire alla Corea del Nord assistenza nello sviluppo di sottomarini lanciamissili, una capacità che Kim Jong-un da tempo desidera possedere, al fine di garantire la sopravvivenza del suo arsenale nucleare anche in caso di attacco preventivo”, afferma Markus Garlauskas, ex funzionario dell’intelligence statunitense ora al think tank Atlantic Council. “Sarebbe un game-changer per la deterrenza nordcoreana”.

Ma le motivazioni di Kim vanno oltre il mero scambio di favori o il trasferimento di tecnologia. Inviando migliaia di soldati a combattere in Ucraina, la Corea del Nord ha l’opportunità unica di far loro acquisire una preziosa esperienza di combattimento reale e testare sul campo le proprie armi e tattiche, una chance che raramente si presenta per un paese così isolato e con risorse limitate per condurre esercitazioni su larga scala.

Anche se equipaggiati in modo obsoleto e con armamenti datati, i nordcoreani potranno così affinare le loro capacità belliche e raccogliere insegnamenti preziosi da utilizzare in futuri conflitti. Non è un caso che, secondo quanto riferito da fonti di intelligence ucraine citate dal Financial Times, ufficiali e ingegneri militari di Pyongyang siano già presenti sul terreno per valutare le prestazioni delle proprie armi e addestrare i russi al loro utilizzo.

C’è poi una dimensione ideologica che non va sottovalutata. La Corea del Nord condivide con la Russia di Putin una profonda ostilità verso l’ordine mondiale a guida statunitense emerso dopo la fine della Guerra Fredda, un sistema che entrambi i paesi considerano iniquo e teso a perpetuare l’egemonia occidentale a scapito delle potenze rivali.

In quest’ottica, partecipare attivamente allo sforzo bellico russo in Ucraina è per Kim Jong-un un modo per contribuire alla battaglia contro il dominio USA e per l’affermazione di un mondo multipolare, obiettivi che accomunano i due regimi autoritari al di là delle differenze storiche e culturali. Non a caso, come sottolineato da diversi osservatori, la propaganda di Pyongyang ha salutato fin da subito con favore l’”operazione militare speciale” di Mosca, dipingendola come una legittima risposta all’accerchiamento della NATO.

In questa prospettiva, la Russia è l’alleato ideale di Kim, a differenza della Cina. Putin infatti è colui che ha ha “osato” andare direttamente alla guerra, mentre Xi ha le mani molto più legate dal forte intreccio tra il suo sistema capitalistico e quello occidentale, nonché dalla necessità di cercare di essere un punto di riferimento per molti paesi “intermedi”, come per esempio quelli dell’Asean.

A ciò va aggiunto che l’intervento in Ucraina s’inserisce nella più ampia strategia di sopravvivenza del regime nordcoreano perseguita da Kim Jong-un. Dopo il fallimento dei negoziati con l’amministrazione Trump e le crescenti pressioni internazionali, il leader sembra aver ormai accettato che l’unica via per garantire la sicurezza e la stabilità del suo paese non passa per il dialogo o per un miglioramento dei rapporti con Washington, ma per il rafforzamento militare e la deterrenza, o addirittura la minaccia, nucleare. Anche in questo, i punti comuni con la Russia di Putin sono evidenti.

Naturalmente, l’invio di truppe in Russia rappresenta anche un rischio per il regime nordcoreano, che potrebbe trovarsi invischiato in un conflitto più ampio e dalle conseguenze imprevedibili. Inoltre, come dimostrano le notizie di diserzioni tra i soldati appena arrivati, mantenere il morale e la disciplina tra le fila di un contingente così numeroso e per un periodo prolungato potrebbe rivelarsi una sfida non da poco.

Tuttavia, è evidente che per Kim i potenziali benefici superano i rischi. Con questa mossa audace, il leader nordcoreano punta a consolidare l’asse con Mosca, ottenere preziose risorse militari e tecnologiche, rafforzare le capacità belliche del suo esercito e guadagnare influenza nello scacchiere globale. Una scommessa geopolitica destinata in ogni caso a lasciare il segno e a ridisegnare gli equilibri in Asia orientale e non solo.

I calcoli della Russia

L’impiego di truppe nordcoreane nel conflitto in Ucraina da parte della Russia risponde a una serie di calcoli strategici e tattici ben precisi da parte del Cremlino, che vanno oltre la semplice necessità di rinforzi per sostituire le pesanti perdite subite in quasi tre anni di guerra. Dietro la decisione di schierare migliaia di soldati di Pyongyang al fianco delle forze russe ci sono considerazioni militari, economiche e politiche che s’intersecano tra loro.

Innanzitutto, dopo mesi di offensive ad alto costo umano e materiale, con progressi territoriali limitati e un logoramento crescente delle proprie forze, Mosca ha disperato bisogno di carne da cannone per continuare a “macinare” il nemico ucraino in una logorante guerra di attrito. Come evidenziato da diversi analisti militari, tra cui il generale in pensione Ben Hodges, ex comandante delle forze USA in Europa, l’esercito russo ha ormai dato fondo alle proprie riserve addestrate e sta incontrando difficoltà crescenti nel reclutare e motivare nuove truppe.

In questo contesto, l’afflusso di migliaia di soldati nordcoreani rappresenta una boccata d’ossigeno per il dispositivo militare russo, permettendo di rimpiazzare almeno in parte le perdite (stimate dall’intelligence occidentale nell’ordine delle centinaia di migliaia tra morti e feriti) e di disporre di unità fresche per nuove offensive. Anche se scarsamente equipaggiati e addestrati secondo standard obsoleti, i nordcoreani possono comunque fornire una forza lavoro di fanteria numerosa e disciplinata.

Come riportato dal Financial Times, citando fonti anonime della difesa russa, i soldati di Pyongyang verrebbero impiegati soprattutto come “carne da macello” per logorare le difese ucraine in attacchi frontali e per “saggiare” le linee avversarie, un compito per cui le forze regolari russe sono sempre meno motivate. In sostanza, come già accaduto in passato con i “volontari” siriani o i mercenari del gruppo Wagner, si tratterebbe di unità sacrificabili il cui compito è “aprire la strada” alle forze regolari.

Ma l’impiego di truppe nordcoreane risponde anche a considerazioni di natura politica ed economica. Con il protrarsi del conflitto e l’aumento delle perdite, il Cremlino è sempre più restio a ordinare una nuova mobilitazione su larga scala, temendo le possibili ricadute sulla tenuta del consenso. Già lo due anni fa la chiamata alle armi di 300.000 riservisti aveva provocato proteste in molte città russe e una fuga di decine di migliaia di uomini in età di leva verso l’estero.

In questo senso, ricorrere a “volontari” stranieri permette a Mosca di continuare a alimentare la macchina bellica senza dover attingere ulteriormente alle proprie risorse umane. Non a caso, come sottolineato da Andrey Kortunov, direttore del think tank russo RIAC, il dispiegamento dei nordcoreani è stato presentato dalla propaganda del Cremlino come un gesto di solidarietà internazionale contro l’”imperialismo occidentale”.

C’è poi un calcolo più sottile ma non meno importante. Coinvolgendo direttamente la Corea del Nord nel conflitto, Mosca punta a lanciare un segnale ad altri paesi non allineati od ostili all’Occidente, dalla Cina all’Iran fino ad alcune nazioni africane, affinché aumentino il loro sostegno alla causa russa. L’obiettivo è dimostrare che Mosca non è isolata e che la guerra in Ucraina non è uno scontro puramente bilaterale ma uno spartiacque geopolitico globale tra potenze “revisioniste” e status quo.

Come affermato dal politologo Dmitry Trenin in un articolo su Foreign Affairs, “coinvolgere altri attori internazionali nel conflitto è un modo per la Russia di aumentare la posta in gioco e rendere più difficile per l’Occidente continuare a sostenere l’Ucraina”. In quest’ottica, l’intervento di Pyongyang potrebbe spianare la strada a un supporto più attivo da parte di Paesi come l’Iran (che secondo alcune fonti starebbe già fornendo droni e missili a Mosca) o addirittura della Cina.

Naturalmente, il rischio di questa strategia è che il conflitto in Ucraina si trasformi in una guerra per procura tra potenze regionali e globali, con tutti i pericoli di escalation ed estensione che ciò comporta. Inoltre, come già osservato, gestire e motivare migliaia di truppe straniere con background e mentalità molto diverse non sarà facile per i comandi russi.

Tuttavia, è evidente che per Putin i benefici di questa mossa superano gli svantaggi. Con l’impiego massiccio di truppe nordcoreane il leader russo punta a risolvere alcune delle criticità che finora hanno frenato la sua campagna militare in Ucraina, dalla carenza di fanteria ai vincoli politici interni fino all’isolamento internazionale. Una scommessa rischiosa i cui esiti potrebbero decidere non solo le sorti della guerra ma anche il futuro assetto geopolitico globale.

I rischi e i timori della Cina

L’intervento militare della Corea del Nord al fianco della Russia nel conflitto in Ucraina rappresenta uno sviluppo che rischia di mettere in seria difficoltà la Cina, alleato storico di Pyongyang e partner strategico cruciale di Mosca. Sebbene ufficialmente Pechino continui a mantenersi su una posizione di neutralità e a invocare una soluzione diplomatica della crisi, dietro le quinte la preoccupazione per le possibili ricadute di questa mossa sta crescendo.

Il principale timore di Xi Jinping e dei vertici del Partito Comunista è che il coinvolgimento diretto di Pyongyang nella guerra possa portare a un’escalation incontrollata del conflitto, con il rischio di un allargamento del teatro bellico all’Asia Orientale. Uno scenario che la Cina vuole evitare a ogni costo, temendo di essere trascinata suo malgrado in uno scontro dagli esiti imprevedibili.

Come sottolineato da diversi analisti, tra cui Yun Sun dello Stimson Center di Washington, la presenza di truppe nordcoreane sul campo di battaglia ucraino potrebbe spingere Stati Uniti e alleati a intensificare il loro sostegno militare a Kyiv, inclusa la fornitura di armamenti più avanzati e letali. Questo a sua volta potrebbe innescare una reazione di Mosca, che potrebbe decidere di ricorrere ad armi non convenzionali o addirittura nucleari tattiche.

In un simile scenario, la pressione su Pechino affinché abbandoni la sua posizione di neutralità e si schieri apertamente con la Russia diventerebbe fortissima, sia da parte di Mosca che di Pyongyang. Un’eventualità che la leadership cinese, o almeno una parte decisiva di essa, attualmente vuole scongiurare, ben consapevole dei rischi per lei in un momento di particolare fragilità economica e di precarietà degli equlibri ai vertici politici, come testimoniato dalle varie misteriose “scomparse dalla scena” di funzionari politici e militari di primo piano.

Inoltre, già negli ultimi mesi le relazioni tra Cina e Occidente si sono notevolmente deteriorate a causa delle crescenti tensioni su Taiwan, delle accuse reciproche di spionaggio e delle divergenze in materia di diritti umani e libertà di navigazione nei mari asiatici. Un esplicito endorsement dell’intervento nordcoreano in Ucraina potrebbe portare a un’ulteriore escalation, con il rischio di ulteriori sanzioni economiche e di un maggiore attivismo da parte di USA e alleati per creare un “cuscinetto di sicurezza” economico e militare intorno alla Cina.

Ma le preoccupazioni di Pechino non si limitano solo ai possibili contraccolpi nei rapporti con i paesi occidentali. Come riportato dal Financial Times, citando fonti dell’intelligence occidentale, la Cina teme che un eccessivo rafforzamento dell’asse tra Russia e Corea del Nord possa ridurre la sua influenza su Pyongyang e alterare gli equilibri strategici nella regione. Un timore non infondato, se si considera che negli ultimi anni i rapporti tra Pechino e il regime di Kim Jong-un si sono notevolmente raffreddati.

Secondo quanto riferito da funzionari USA al Washington Post, Kim avrebbe espresso privatamente frustrazione per la riluttanza cinese a fornire maggiore sostegno economico e militare al suo paese, alle prese con una grave crisi alimentare ed energetica a causa delle sanzioni internazionali e della chiusura delle frontiere per la pandemia. In questo contesto, il leader nordcoreano vedrebbe nel rafforzamento dei legami con la Russia un modo per diversificare le sue opzioni e ridurre la dipendenza da Pechino.

Per la Cina, però, un’eccessiva autonomia di Pyongyang rappresenterebbe un problema non da poco. Nonostante le tensioni degli ultimi anni, infatti, Pechino continua a considerare la Corea del Nord un alleato strategico irrinunciabile, sia per ragioni storiche e ideologiche che per calcoli geopolitici. La presenza di uno stato-cuscinetto ai propri confini, capace di tenere impegnate le forze USA in Asia orientale, resta un asset cruciale per la sicurezza cinese.

Come sottolineato da Zhao Tong, esperto di Asia orientale del Carnegie Endowment for International Peace, “la Cina vuole una Corea del Nord stabile e allineata, ma non troppo forte o imprevedibile”. In quest’ottica, un regime nordcoreano eccessivamente dipendente da Mosca e magari dotato di nuove capacità militari offensive fornitogli dai russi rappresenterebbe un grattacapo non da poco per Pechino.

C’è poi la preoccupazione per le possibili ricadute regionali di un rafforzamento dell’asse Mosca-Pyongyang. Come evidenziato da diversi analisti, tra cui il professor Andrei Lankov della Kookmin University di Seoul, una maggiore presenza russa nella penisola coreana potrebbe spingere Corea del Sud e Giappone ad approfondire ulteriormente la loro cooperazione militare con gli Stati Uniti, un trend già in atto negli ultimi anni.

Secondo quanto riportato dalla CNN, citando fonti del Pentagono, negli ultimi mesi si sarebbe intensificato il dialogo tra i vertici militari dei tre paesi per coordinare le risposte a eventuali provocazioni nordcoreane e per rafforzare l’interoperabilità delle rispettive forze armate. Una dinamica che rischia di accentuare la percezione cinese di un accerchiamento da parte delle democrazie alleate degli USA, complicando ulteriormente il quadro strategico regionale.

A peggiorare ulteriormente le cose dal punto di vista di Pechino, c’è poi la questione di Taiwan. Secondo diversi osservatori, tra cui il sinologo francese Antoine Bondaz, agli occhi della leadership cinese il coinvolgimento militare diretto della Corea del Nord in un conflitto regionale potrebbe creare un pericoloso precedente, legittimando un eventuale intervento di paesi terzi in uno scenario di crisi nello Stretto di Taiwan.

Se Pyongyang può permettersi di inviare proprie truppe in un teatro bellico lontano come l’Ucraina per sostenere un alleato in difficoltà, perché domani Washington o Tokyo non potrebbero fare altrettanto per difendere Taiwan da un’aggressione cinese? Un interrogativo che sta certamente contribuendo ad aumentare il nervosismo e la paranoia dei vertici del PCC.

Infine, c’è la questione delle reazioni dell’opinione pubblica interna. Sebbene la censura e la propaganda di stato abbiano finora evitato che la notizia dell’intervento nordcoreano in Ucraina si diffondesse troppo tra la popolazione, diversi segnali indicano un crescente malumore tra i cinesi per il sostegno di Pechino a Mosca. Come riportato da Radio Free Asia, citando fonti anonime, sui social network nazionali starebbero aumentando i post critici verso la posizione ambigua del governo sulla guerra.

In un contesto di crescenti difficoltà economiche e di tensioni sociali legate alla politica “zero Covid”, un’ulteriore escalation del conflitto e un coinvolgimento anche solo indiretto della Cina a fianco di paesi internazionalmente isolati come Russia e Corea del Nord rischierebbe di erodere il già fragilizzato consenso interno nei confronti del Partito. Uno scenario che i vertici del PCC vogliono assolutamente evitare.

Alla luce di tutto ciò, appare evidente come l’evoluzione del legame tra Russia e Corea del Nord rappresenti un vero e proprio rompicapo strategico per la Cina, che si trova a dover bilanciare esigenze e interessi contrastanti. Se da un lato Pechino non può permettersi di abbandonare i suoi due principali alleati in un momento di crescente pressione internazionale, dall’altro è consapevole dei rischi di un’escalation incontrollata del conflitto ucraino.

Finora la strategia cinese è stata quella di mantenere un equilibrio precario tra un sostegno implicito alla Russia (attraverso l’aumento degli scambi commerciali e il coordinamento diplomatico) e un agnosticismo di fatto rispetto alla sua invasione dell’Ucraina. Una posizione ambigua che però rischia di diventare insostenibile con il coinvolgimento militare diretto di Pyongyang.

Secondo alcune indiscrezioni riportate da Politico, nelle ultime settimane ci sarebbero stati intensi contatti diplomatici tra Pechino, Mosca e Pyongyang per cercare di gestire la situazione ed evitare sviluppi indesiderati. In particolare, l’inviato speciale cinese per la penisola coreana, Liu Xiaoming, avrebbe fatto la spola tra le tre capitali per chiedere moderazione e prudenza alle parti.

Tuttavia, con il procedere della guerra e il rischio di nuove escalation, la Cina potrebbe presto trovarsi di fronte a un bivio: continuare a tenere il piede in due staffe, con il rischio di scontentare tutti e di veder erosa la propria influenza regionale, o schierarsi apertamente con uno dei due fronti, con tutte le conseguenze del caso? Una scelta che potrebbe decidere non solo le sorti del conflitto ucraino ma anche il futuro assetto geopolitico dell’Asia Orientale e forse del mondo intero.

Le reazioni occidentali

L’intervento militare della Corea del Nord al fianco della Russia nella guerra in Ucraina ha suscitato forti reazioni di condanna e allarme tra i paesi occidentali, che vedono in questa mossa una pericolosa escalation del conflitto con potenziali ricadute globali. Dal momento in cui la notizia della presenza di soldati nordcoreani sul campo di battaglia ucraino è stata confermata da fonti di intelligence, i governi di Stati Uniti ed Europa, così come i loro alleati nell’Asia Orientale hanno moltiplicato dichiarazioni e iniziative per cercare di contenere quella che considerano una minaccia non solo per Kyiv, ma per l’intero ordine internazionale.

Come è scontato, le istanze occidentali hanno tutte immediatamente condannato l’intervento nord-coreano nel conflitto in corso, a partire dal segretario alla Difesa USA Lloyd Austin fino ai vertici NATO. Ma è soprattutto in Asia orientale che la mossa nordcoreana sta avendo le ripercussioni più profonde, alimentando i timori di un’estensione del conflitto nella regione. Come sottolineato dal Japan Times, che cita fonti governative di Tokyo, il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha espresso “forte preoccupazione” per l’intervento di Pyongyang in Ucraina, vedendovi un tentativo da parte di Kim Jong-un di rompere l’isolamento internazionale del suo regime e di rafforzare le sue capacità militari offensive.

Ancora più dura è stata la reazione della Corea del Sud, che vede nell’intervento nordcoreano in Ucraina una minaccia diretta alla sua sicurezza nazionale. In un discorso alla nazione, il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha annunciato una serie di contromisure per far fronte alla nuova minaccia, tra cui il rafforzamento della cooperazione militare con gli Stati Uniti e il Giappone, l’aumento delle spese per la difesa e l’intelligence e possibili sanzioni economiche contro il regime di Kim.

Ma al di là delle dichiarazioni ufficiali, ciò che più preoccupa le cancellerie occidentali sono le possibili implicazioni strategiche dell’asse tra Mosca e Pyongyang. Come evidenziato da diversi analisti, tra cui William Tobey dell’Harvard Kennedy School, la presenza di soldati nordcoreani in Ucraina potrebbe essere il preludio a una più ampia collaborazione militare tra Russia e Corea del Nord, con il rischio di trasferimenti di tecnologia e know-how in settori sensibili come i missili balistici, i sottomarini nucleari o le armi chimiche e batteriologiche.

Secondo quanto riportato dal Washington Post, l’intelligence USA starebbe già monitorando con attenzione i movimenti di cargo e aerei militari tra i due paesi, nel timore che Mosca possa fornire a Pyongyang equipaggiamenti avanzati in cambio del suo sostegno bellico. Una prospettiva che allarma non poco anche la Corea del Sud, che teme di vedere vanificati anni di sforzi diplomatici e di deterrenza per contenere le ambizioni nucleari e missilistiche del regime di Kim.

Non a caso, come sottolineato da diversi osservatori, tra cui Bruce Klingner del think tank Heritage Foundation, l’intervento nordcoreano in Ucraina rischia di accelerare la corsa agli armamenti nella penisola coreana e di aumentare le probabilità di un conflitto. Con Seul che minaccia di rispondere “con fermezza” a qualsiasi provocazione del Nord e Pyongyang che a sua volta accusa il Sud di “atti ostili” in combutta con gli americani, la situazione nella regione appare sempre più tesa e imprevedibile.

Per cercare di contenere l’escalation e di evitare sviluppi incontrollati, secondo indiscrezioni riportate da Politico, nelle scorse settimane ci sarebbero stati intensi contatti diplomatici tra Washington, Seul e Tokyo per coordinare una risposta comune alla nuova minaccia. In particolare, gli Stati Uniti starebbero valutando la possibilità di aumentare la propria presenza militare nella regione e di fornire a Corea del Sud e Giappone sistemi d’arma più avanzati, come i missili anti-balistici THAAD o i caccia stealth F-35.

Allo stesso tempo, come evidenziato dall’Associated Press, citando fonti della Casa Bianca, l’amministrazione Biden starebbe cercando di aumentare la pressione economica e finanziaria sul regime di Kim Jong-un, attraverso un inasprimento delle sanzioni internazionali e un maggiore coordinamento con i paesi alleati per contrastare le attività illecite di Pyongyang, dal contrabbando di armi al riciclaggio di denaro.

Tuttavia, nonostante gli sforzi diplomatici e le dichiarazioni di condanna, appare evidente come l’intervento nordcoreano in Ucraina abbia colto di sorpresa e impreparate le cancellerie occidentali, che ora si trovano a dover far fronte a una nuova crisi globale senza una chiara strategia. Con il rischio di un’escalation militare che potrebbe coinvolgere potenze nucleari come Russia, Corea del Nord e Stati Uniti, la posta in gioco appare più alta che mai. E la sensazione è che la partita per il futuro dell’ordine mondiale si giochi ormai su più scacchieri interconnessi, dall’Europa all’Asia passando per il Pacifico.

I rapporti tra Corea del Nord e Corea del Sud

L’intervento militare della Corea del Nord al fianco della Russia nella guerra in Ucraina rischia di avere conseguenze dirompenti per i già tesi rapporti tra Pyongyang e Seul, spingendo le due Coree sull’orlo di una nuova crisi. Quella che per decenni è stata una situazione di conflitto latente ma sostanzialmente stabile, con periodiche provocazioni e brevi escalation seguite da fasi di relativa distensione, rischia ora di precipitare in un confronto aperto e potenzialmente devastante.

A preoccupare il governo sudcoreano non sono solo le implicazioni dirette dell’invio di truppe nordcoreane in Ucraina, come il rischio che soldati di Pyongyang e Seul si ritrovino a combattere su fronti opposti o che il regime di Kim Jong-un sfrutti l’esperienza bellica per affinare le proprie capacità militari offensive. Secondo diverse fonti di intelligence citate dal Korea Times, la vera posta in gioco sarebbe la strategia di lungo termine del Nord per alterare definitivamente gli equilibri nella penisola a proprio vantaggio.

Come sottolineato da diversi analisti, tra cui Go Myong-hyun dell’Asan Institute for Policy Studies di Seul, la decisione di Kim di inviare proprie truppe in un conflitto così lontano rappresenterebbe un segnale inequivocabile della sua volontà di elevare lo status internazionale del suo regime e di proporsi come attore globale in grado di influenzare gli eventi ben oltre i confini regionali. Un obiettivo che passa necessariamente per un cambio di paradigma nei rapporti con il Sud, visto non più come un potenziale partner per la riunificazione ma come un avversario da sfidare apertamente.

Non a caso, come riportato dalla CNN, citando un rapporto dei servizi segreti sudcoreani, negli ultimi mesi la propaganda di Pyongyang avrebbe moltiplicato i riferimenti alla Corea del Sud come “nemico” e “traditore”, accusandola di essere uno “stato fantoccio” al servizio degli interessi americani e giapponesi nella regione. Un cambio di narrativa che riflette la nuova dottrina della “nazione nemica” adottata dal regime nordcoreano lo scorso anno, che di fatto sancisce la fine di qualsiasi prospettiva di riconciliazione o cooperazione tra le due Coree.

A conferma di questa svolta strategica, secondo quanto riferito da fonti governative di Seul al quotidiano Chosun Ilbo, nelle scorse settimane Kim Jong-un avrebbe ordinato alle sue forze armate di prepararsi a “cancellare dalla mappa” la Corea del Sud in caso di conflitto, attraverso un massiccio attacco con missili balistici e armi chimiche. Un piano che, pur essendo più che altro un’iperbole propagandistica, testimonia la volontà del leader nordcoreano di alzare la posta dello scontro con il Sud.

D’altronde, come evidenziato dal Washington Post, l’escalation delle tensioni tra le due Coree va avanti da ben prima dell’inizio della guerra in Ucraina. Dalla fine del 2022, Pyongyang ha inoltre moltiplicato i test missilistici e nucleari, sfidando apertamente le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e le condanne occidentali. Allo stesso tempo, il regime di Kim ha intensificato le provocazioni militari lungo il confine, con l’invio di droni spia e l’organizzazione di maxi-esercitazioni che simulano un’invasione del Sud.

Di fronte a queste minacce, il governo del presidente Yoon Suk-yeol, ascrivibile alla destra reazionaria, ha risposto con una linea dura, aumentando a sua volta le esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti e il Giappone e minacciando rappresaglie “rapide e decisive” in caso di attacco del Nord. Come riportato da Reuters, Seul starebbe valutando anche l’ipotesi di chiedere a Washington il ridispiegamento di armi nucleari tattiche sul suo territorio, una mossa che Pyongyang considererebbe una “dichiarazione di guerra”.

Ma a preoccupare Yoon non sono solo le minacce esterne. Secondo un sondaggio pubblicato dal Korea Herald, il 72% dei sudcoreani sarebbe favorevole allo sviluppo di un deterrente nucleare nazionale per far fronte alla crescente assertività del Nord, una percentuale in netto aumento rispetto al passato. E anche tra i partiti di opposizione c’è chi invoca un cambio di passo nella politica verso Pyongyang, accusando il governo di eccessiva debolezza.

In questo contesto, l’intervento nordcoreano in Ucraina rischia di essere la classica scintilla che fa esplodere una polveriera. Come sottolineato da Yang Moo-jin, professore all’Università di studi nord-coreani di Seul, se soldati di Pyongyang dovessero morire combattendo contro forze sostenute, armate o addirittura addestrate dal Sud, la tensione nella penisola potrebbe raggiungere livelli mai visti dalla fine della guerra di Corea. Con il rischio che Kim sfrutti l’incidente per passare a un attacco sulla capitale nord-coreana o che il governo di Seul si senta legittimato a condurre un attacco preventivo.

Uno scenario catastrofico che, secondo le stime del Pentagono riportate dal New York Times, potrebbe causare centinaia di migliaia di vittime nei primi giorni di conflitto, oltre a danni economici incalcolabili per la Corea del Sud e l’intera regione. Senza contare il rischio di un intervento diretto della Cina o, a questo punto più probabilmente, della Russia a sostegno del Nord o di un’escalation nucleare incontrollabile.

Per scongiurare una simile eventualità, come evidenziato da diversi esperti citati dalla BBC, occorrerebbe un cambio di paradigma nelle relazioni tra le due Coree, che metta fine alla logica della deterrenza reciproca e apra la strada a un dialogo sostanziale su questioni cruciali come la denuclearizzazione, la riduzione delle tensioni militari e la cooperazione economica e umanitaria. Un percorso per il quale tuttavia al momento, se si analizza il contesto, non sembra esservi alcuno spazio.

Il rischio è che l’intervento di Pyongyang in Ucraina, lungi dal rappresentare un’aberrazione temporanea, diventi il nuovo paradigma di un mondo sempre più polarizzato e conflittuale, in cui le ragioni della forza prevalgono su quelle della diplomazia. Con conseguenze potenzialmente devastanti per la pace e la stabilità globali.

Le potenziali conseguenze

L’intervento militare della Corea del Nord al fianco della Russia nella guerra in Ucraina rischia di avere conseguenze dirompenti non solo per il conflitto in corso, ma per l’intero assetto globale. Quella che molti osservatori considerano una mossa azzardata e potenzialmente controproducente per il regime di Kim Jong-un, potrebbe in realtà rappresentare una svolta epocale nelle relazioni internazionali, accelerando tendenze già in atto da tempo ma finora rimaste sotto traccia.

Tra queste, la più evidente e allarmante è senza dubbio il rafforzamento dell’asse tra Mosca, Pechino e Pyongyang in funzione anti-occidentale. Come sottolineato da diversi analisti, tra cui Alexander Gabuev del Carnegie Moscow Center, l’invio di truppe nordcoreane in Ucraina segna un salto di qualità nella cooperazione tra i tre regimi, che sembrano ora disposti a coordinarsi apertamente per sfidare l’ordine liberale a guida statunitense. La Cina per ora è ancora esitante, ma sembra indirizzata verso una tale strada.

Questo salto di qualità nella cooperazione tra i summenzionati regimi, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal citando fonti dell’amministrazione Biden, starebbe spingendo anche l’Iran a valutare un proprio coinvolgimento diretto nel conflitto ucraino, in cambio di forniture militari e tecnologiche da parte di Russia e Cina. Se confermata, questa notizia rappresenterebbe un vero e proprio incubo per la diplomazia USA e alleata, che si troverebbe di fronte a un fronte comune di potenze ostili e nuclearizzate in tre continenti.

L’intesa tra Russia, Cina e Corea del Nord potrebbe avere conseguenze dirette sulla sicurezza di Taiwan, l’isola rivendicata da Pechino come parte integrante del proprio territorio. Con Mosca e Pyongyang pronte a fornire supporto diplomatico e militare, Xi Jinping potrebbe essere tentato di accelerare i tempi per una “riunificazione” forzata, scatenando un conflitto dagli esiti imprevedibili.

Uno scenario che, come sottolineato da diversi esperti citati da Le Monde, rischia di diventare ancora più probabile se Kim Jong-un dovesse ricevere in cambio del suo aiuto a Putin tecnologie militari avanzate, come sottomarini lanciamissili o sistemi di difesa aerea, che aumenterebbero notevolmente le capacità di proiezione di forza di Pyongyang. Con il rischio di un effetto domino su Seul e Tokyo, che potrebbero a loro volta decidere di dotarsi di armi nucleari per garantire la propria sicurezza.

Ma le conseguenze dell’intervento nordcoreano in Ucraina non si limitano alla sfera geopolitica. Come evidenziato da numerosi analisti, tra cui il già citato Andrei Lankov della Kookmin University di Seoul, il coinvolgimento di Pyongyang nel conflitto rischia di avere ripercussioni profonde anche sul piano economico e finanziario globale, già messo a dura prova dalle sanzioni contro Mosca e dalle turbolenze sui mercati energetici.

In particolare, secondo Lankov, se la guerra dovesse estendersi o intensificarsi ulteriormente, le tensioni tra le grandi potenze potrebbero sfociare in una vera e propria “globalizzazione delle sanzioni”, con Stati Uniti, Europa e alleati da una parte e Russia, Cina e partner dall’altra impegnati a colpirsi reciprocamente con misure ritorsive sempre più dure. Uno scenario che, come paventato dal Financial Times, potrebbe portare a una frammentazione dell’economia mondiale in blocchi contrapposti e non comunicanti.

In questo contesto, a farne le spese sarebbe soprattutto la Corea del Sud, che si troverebbe nell’impossibilità di continuare a bilanciare le proprie relazioni con Washington e Pechino, venendo costretta a una scelta di campo dagli esiti imprevedibili tra due partner economici irrinunciabili. Con buona pace dei sogni dell’ex presidente democratico sud-coreano Moon Jae-in di fare di Seul un “ponte” tra le grandi potenze e un motore della cooperazione regionale.

Ma al di là delle ricadute sui singoli paesi, ciò che più preoccupa gli osservatori è il rischio che l’impasse in Ucraina possa degenerare in un conflitto globale, con l’uso di armi nucleari non più un tabù ma un’opzione concreta. Come ammonisce Daryl Kimball, direttore esecutivo dell’Arms Control Association di Washington, l’intervento di Pyongyang al fianco di Mosca manda un segnale pericoloso sulla tenuta del regime di non proliferazione, spingendo altri stati a considerare l’atomica come uno strumento legittimo di difesa o di offesa.

Un allarme condiviso anche da Beatrice Fihn, direttrice esecutiva della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN), che in un’intervista a Der Spiegel ha sottolineato come il coinvolgimento di potenze nucleari come Russia e Corea del Nord in un conflitto convenzionale rappresenti “una ricetta per la catastrofe”. Con il rischio che un singolo incidente o un calcolo errato possa innescare un’escalation incontrollabile e potenzialmente terminale per l’umanità.

Ma con un Nord sempre più imprevedibile e aggressivo, un Sud tentato dall’opzione nucleare, una Cina assertiva, una Russia impegnata in una vasta e lunga guerra di aggressione e gli Usa da un lato lacerati internamente in termini politici dall’altro impegnati a sostenere una guerra di intensità e crudeltà enormi come quella di Israele, le prospettive di una svolta complessiva di pace appaiono praticamente nulle. E il rischio è che l’Ucraina diventi il nuovo paradigma di un mondo sempre più disordinato e pericoloso.

Prospettive

L’intervento militare della Corea del Nord al fianco della Russia nella guerra in Ucraina segna uno spartiacque nelle relazioni internazionali, con conseguenze potenzialmente devastanti per la pace e la sicurezza globali. Quella che molti osservatori considerano una mossa azzardata e velleitaria da parte del regime di Kim Jong-un, potrebbe in realtà rappresentare l’inizio di una nuova fase di instabilità e conflittualità, in cui le armi nucleari diventano uno strumento di pressione e ricatto attivo nelle mani di molteplici potenze in un mondo “multipolare”.

A preoccupare gli analisti non è solo l’impatto immediato dell’invio di truppe nordcoreane sul campo di battaglia ucraino, ma soprattutto le ambizioni di lungo termine che questa decisione sembra sottintendere da parte di Pyongyang. Come evidenziato da diversi esperti, tra cui Ankit Panda del Carnegie Endowment for International Peace, il coinvolgimento diretto della Corea del Nord in un conflitto così lontano dai propri confini rappresenta un salto di qualità nelle velleità del regime nordcoreano, che punta ora apertamente a ritagliarsi un ruolo da protagonista sullo scacchiere globale.

Un obiettivo che, secondo Panda, passa necessariamente per il rafforzamento delle capacità militari e nucleari di Pyongyang, viste non più solo come uno strumento di deterrenza verso Stati Uniti e Corea del Sud, ma come una vera e propria leva di proiezione di potenza. Non a caso, come riportato dal Wall Street Journal citando fonti dell’intelligence americana, negli ultimi mesi si sarebbe intensificato il traffico di materiali e tecnologie sensibili tra Russia e Corea del Nord, con Mosca pronta a fornire in cambio dell’aiuto ricevuto sistemi avanzati come sottomarini lanciamissili e vettori a raggio intermedio.

Uno scenario che, se confermato, avrebbe conseguenze catastrofiche per la stabilità dell’Asia orientale e non solo. Con un Nord dotato di capacità di secondo colpo nucleare e di vettori in grado di colpire non solo il Giappone ma anche il territorio americano, l’equilibrio strategico nella regione verrebbe completamente sovvertito, rendendo molto più probabile un conflitto dagli esiti imprevedibili. E a farne le spese, in primis, sarebbe proprio la Corea del Sud, che si troverebbe esposta a un rischio esistenziale senza precedenti.

Come sottolineato da Cheon Seong-whun, ex segretario per la sicurezza nazionale di Seul e ora ricercatore al Korea Institute for National Unification, un Nord con armi nucleari tattiche e missili a raggio intermedio è in grado di tenere sotto scacco l’intera penisola, rendendo di fatto impossibile qualsiasi opzione militare per il Sud. Con il rischio di una corsa agli armamenti senza fine e di una crisi permanente che potrebbe sfociare in qualsiasi momento in un conflitto aperto.

Ma le prospettive più terrificanti riguardano il possibile uso di armi nucleari in caso di escalation. Nonostante le rassicurazioni di rito da parte di Mosca e Pyongyang, infatti, il coinvolgimento diretto di due potenze atomiche in un conflitto convenzionale rappresenta un rischio senza precedenti per l’intera umanità. Come ammonito da diversi esperti, tra cui Ernest Moniz e Sam Nunn della Nuclear Threat Initiative, la guerra in Ucraina ha già portato il mondo sull’orlo dell’abisso nucleare, con Putin che ha più volte brandito l’atomica come un’opzione concreta per difendere quelli che considera i suoi “interessi vitali”.

In questo contesto, l’intervento di un attore imprevedibile e spregiudicato come Kim Jong-un rischia di essere la classica scintilla che fa esplodere la polveriera. Se soldati nordcoreani dovessero essere coinvolti in scontri diretti con forze occidentali o se Pyongyang dovesse subire perdite significative, il rischio di un’escalation incontrollabile diventerebbe altissimo, con Kim tentato di ricorrere all’arma nucleare per ristabilire la deterrenza o addirittura per lanciare un attacco preventivo.

Uno scenario da incubo che, come evidenziato da Siegfried Hecker, ex direttore del Los Alamos National Laboratory, avrebbe conseguenze devastanti non solo per la penisola coreana ma per l’intero pianeta. Con venti milioni di morti nei primi giorni di conflitto, nubi radioattive che avvolgerebbero l’intero emisfero settentrionale e danni ambientali e climatici incalcolabili, una guerra nucleare tra Nord e Sud segnerebbe la fine della civiltà come la conosciamo. Viste le rispettive alleanze di Pyongyang e Seul, una tale guerra non potrebbe che estendersi in breve tempo a Russia, Usa e infine anche Cina.

La guerra avviata dalla Russia contro l’Ucraina, con il suo carico di distruzione e sofferenza, ha aperto la strada a scenari apocalittici. A un mondo in cui, come aveva ammonito Kenzaburō Ōe, il grande scrittore giapponese sopravvissuto di Hiroshima, “l’olocausto nucleare non è più un incubo ma una possibilità concreta”. E in cui, aggiungo, il futuro dell’umanità appare appeso a un filo sottilissimo, che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro per un banale incidente o per un calcolo azzardato di qualche leader irresponsabile. Senza che nessuno, o quasi, sembri rendersene davvero conto.

*articolo apparso su https://crisiglobale.wordpress.com il 10 novembre 2024.