Poche settimane fa, il Gran Consiglio ha respinto una mozione dell’MPS che chiedeva di farla finita con l’investimento che da diversi anni l’Azienda Elettrica Ticinese (AET) detiene nella centrale a carbone di Lünen in Germania.
La mozione era stata deposita nel gennaio 2020 e chiedeva che “il Consiglio di Stato prenda tutte le misure necessarie affinché l’AET venda la propria partecipazione (15,8%) alla centrale di Lünen al più tardi entro il 31 dicembre 2021”. 2021, sì non si tratta di un errore: a inizio del 2020 chiedevamo qualcosa che si concretizzasse entro i successivi due anni. Ma, come da copione, la mozione è stata messa all’ordine del giorno cinque anni dopo la sua presentazione. È questo il destino di tutte le mozioni che presenta l’MPS a cui, unitamente a tutte le altre “liste minori”, vengono poi addebitate lungaggini e ritardi del lavoro parlamentare!
Un disastro finanziario: passato, presente e, forse, futuro
Leggendo il messaggio del Consiglio di Stato sulla mozione, così come il rapporto della maggioranza della commissione ambiente territorio ed energia del Gran Consiglio (entrambi proponevano di respingere la mozione), la cosa che colpisce maggiormente è l’assenza di qualsiasi cifra. La commissione, che pertanto afferma di avere “attentamente valutato le implicazioni di una possibile cessione anticipata della partecipazione di AET nella centrale di Lünen” non offre una sola cifra su quello che è l’argomento maggiore e sostanzialmente unico con il quale si propone di rifiutare la mozione: il timore per le perdite che subirebbe AET da questa anticipata dismissione.
Così, ci si deve accontentare di una stucchevole ripetizione di espressioni che significano tutto e niente, proprio perché non rappresentano indicazioni cifrate. E per poter valutare una perdita – per poterla raffrontare con la situazione finanziaria di AET o del Cantone – sarebbe necessario che essa venisse esplicitata.
Invece abbiamo una serie di espressioni concretamente insignificanti. Così, ad esempio, si afferma che, in caso di una uscita anticipata, AET sarebbe confrontata con “perdite significative” che diventano, poche righe dopo, “perdite considerevoli”; andando avanti diventano “ingenti perdite” per poi trasformarsi in qualcosa che avrebbe un “un impatto devastante sui bilanci di AET”. Nelle ultime righe si afferma che si avrebbero “pesanti ripercussioni finanziarie”. Allora è lecito chiedersi: a quanto ammonterebbero tali perdite? Uno, dieci, cento milioni? E quali perdite ha già comportato (verosimilmente in parte già ammortizzate nei bilanci di AET degli ultimi 15 anni) tutta l’operazione Lünen? Domande alle quali nessuno risponde.
È evidente che non ha nessun senso ragionare limitandosi alle espressioni contenute nel rapporto: la commissione, come AET e come il governo, si limitano ad agitare uno spauracchio finanziario senza indicare in cosa esattamente consista.
D’altronde varrebbe la pena poter disporre di un bilancio completo, dal punto di vista finanziario, dell’avventura Lünen: a quindici anni di distanza sarebbe un elemento fondamentale per potersi pronunciare con cognizione di causa, anche su proposte come quella contenuta nella nostra mozione e che devono confrontarsi ad un totale mancanza di parametri finanziari di riferimento.
Prima le finanze, poi l’ambiente
Queste riflessioni di tipo finanziario permettono di aprire una seconda fondamentale riflessione. Ed è quella per cui, nella concezione dominante, la politica ambientale non dovrebbe costare nulla. Il che è esattamente il contrario di quello che, logicamente, avviene. Basti pensare qui alla grande quantità di denaro che Confederazione e Cantone investono per misure atte a migliorare la situazione ambientale e a rispondere alle cosiddette sfide che i cambiamenti climatici pongono
È evidente che la politica ambientale ha sempre un costo. E la eventuale decisione di mettere fine all’investimento di Lünen avrebbe sicuramente un costo per AET e per il Cantone. È anche vero che alcuni degli investimenti pubblici in ambito ambientale hanno anche delle ricadute di carattere economico: ma non è questo che li giustifica o li promuove; l’aspetto prioritario e la loro giustificazione proviene, almeno dal nostro punto di vista, dal fatto che essi contribuiscono in qualche modo alla lotta contro il degrado dell’ambiente e il riscaldamento climatico. Essi si giustificherebbero anche se non avessero alcuna ricaduta economica o finanziaria.

D’altronde è questo uno dei problemi con i quali è confrontata la lotta contro il riscaldamento climatico: il fatto che una serie di investimenti necessari e urgenti non appaiono – soprattutto agli occhi di coloro che di ingenti somme finanziarie hanno la disponibilità – abbastanza redditizi, in particolare in confronto agli investimenti nei settori energetici tradizionali, a cominciare dai fossili. La deludente raccolta di fondi a sostegno della cosiddetta transizione ecologica in occasione della recente COP 29 in Azerbaigian ne è una eclatante conferma.
Governo e maggioranza parlamentari, con la loro opposizione a misure ambientali in nome di priorità finanziarie, mettono in evidenza questa contraddizione di fondo tra le esigenze finanziarie e quelle del clima e non hanno esitazioni a pronunciarsi a favore di quelle finanziarie. D’altronde in sintonia con quella che appare come la posizione dominante oggi nel mondo. Una posizione che si limita ad ignorare l’accelerazione dei processi climatici che – più velocemente di quanto si fosse ipotizzato ancora pochi anni orsono – sta portando la terra verso situazioni altamente pericolose e dalle conseguenze terribili. Evidentemente, lasciano indifferenti notizie come quella che Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato a livello globale, il primo anno solare in cui la temperatura media globale ha superato il famigerato limite di 1,5°C.
Da questo punto di vista è inaccettabile una sorta di ponderazione degli interessi e dei risultati ai quali si abbandona il rapporto di maggioranza della commissione parlamentare laddove ricorda che la commissione “ha attentamente valutato le implicazioni di una possibile cessione anticipata della partecipazione di AET nella centrale di Lünen, giungendo alla conclusione che i benefici sarebbero ridotti, mentre i rischi e le perdite sarebbero considerevoli”. Il classico santo che non varrebbe la candela.
In realtà le emissioni di CO2 che possono essere ricondotte alla partecipazione di AET nell’impianto di Lünen sono tutt’altro che secondarie ricordandoci che siamo responsabili, attraverso la nostra parte nella centrale di Lünen, ad emissioni che corrispondono ad un aumento di circa il 35% le emissioni cantonali. E almeno una cosa hanno imparato ormai tutti, o quasi: poca importa che le emissioni avvengano sotto casa o all’estero. In questo modo vengono vanificati i già timidi sforzi verso la decarbonizzazione sul territorio cantonale.
Il ruolo di AET
Il dibattito attorno alla nostra mozione ha anche suscitato preoccupazioni per la natura di alcune risposte ed affermazioni dei dirigenti di AET o della stessa AET.
Ad esempio, nel marzo 2023, il direttore Pronini dichiarava in una intervista al Cdt che «L’energia prodotta finora è quindi costata più di quanto sarebbe costata sul mercato». Interessante e terrificante: significa che l’avventura Lünen da ormai parecchi anni è un’impresa a perdere. Ma c’è di più. Nella presa di posizione di AET sulla nostra mozione si sostiene (tra le altre cose) quanto segue: “Se, in alternativa, AET fosse “solo” obbligata a sospendere la propria quota di produzione, non ne deriverebbe alcun vantaggio ambientale o economico: le condizioni contrattuali fanno sì che la quota di AET verrebbe comunque prodotta dalla centrale ed AET dovrebbe assumere i costi non coperti dalla cessione della sua quota ai prezzi di mercato”. Sottolineiamo queste ultime parole e le colleghiamo alle dichiarazioni del direttore di AET richiamate appena prima. Se ne deduce che la direzione e il CdA di AET preferiscono continuare a perdere intenzionalmente milioni di franchi poiché scartano l’ipotesi di sospendere la propria quota di produzione., anche se ad AET costa più di quanto costerebbe comperare energia sul mercato. Complimenti!
Ma le dichiarazioni di AET sono ancora più impressionanti laddove afferma testualmente: “Sulla base della contrattualistica sottoscritta da AET e delle attuali condizioni di mercato, un’uscita anticipata da TKL risulta sostanzialmente impossibile”.
Viene da chiedersi: chi avrebbe dovuto vigilare affinché la nostra azienda elettrica non rimanesse invischiata nella stipulazione di un contratto per decine di milioni, onerosissimo, e dal quale, malgrado le perdite che si stanno accumulando anni, non può di fatto uscire?
È pacifico che oggi il CdA di AET ha ancor più ampi poteri e libertà d’azione di quanto non ne avesse al momento in cui ha stipulato questo contratto capestro. Di fatto, fa quello che vuole. AET, come abbiamo avuto modo di dire a più riprese, è una repubblica autonoma all’interno della repubblica e Cantone Ticino.

Così, ad esempio, il presidente del CdA può (certo “a titolo personale”) dichiarare a destra e manca che ritiene necessario sostenere il nuovo orientamento del CF per un ritorno al nucleare (malgrado i cittadini e le cittadine di questo paese si siano espressi per un futuro senza nucleare). Oppure l’azione dei suoi rappresentanti nel CdA di SES (una società di distribuzione la cui politica ha suscitato parecchia discussione in merito a tariffe e distribuzione di dividendi); o, ancora, la decisione di ridurre il prezzo pagato per l’energia solare prodotta dai privati, passando da 22.5 a 8.5 centesimi per ogni kWh. Una decisione che rischia di essere oggettivamente in contraddizione con l’impegnativa politica di promozione svolta dal Cantone. O, ancora, per restare a Lünen, la decisione di avviare una causa di arbitrato contro il Governo tedesco in relazione alla sua decisione di uscire dalla produzione di energia elettrica dal carbone.
Tutto questo pone interrogativi di fondo sulla autonomia di AET, sulla politica che essa svolge che, di fatto, non è oggetto di alcun controllo pubblico (ammesso che tali possano essere considerati quei rapportini deferenti che ogni anno vengono sottoposti al Gran Consiglio dalla speciale commissione di vigilanza e sui quali non è possibile nemmeno discutere).
La vicenda Lünen ci indica chiaramente che l’interesse pubblico e la logica del servizio pubblico deve tornare a dominare la politica di AET e che gli attuali strumenti di controllo pubblico sono inadeguati.
È necessario quindi rompere questo continuo legame tra esigenze finanziarie e esigenze ambientali. L’urgenza e la drammaticità della situazione ce lo impone.
*questo articolo riprende in buona parte il contenuto dei nostri interventi in occasione del dibattito parlamentare del 21 gennaio 2025.