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È trascorso poco più di un mese dall’insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, con il tecno-oligarca Musk al suo fianco, e l’elenco delle iniziative e delle misure che il tandem alla guida della prima potenza mondiale è pronto a mettere in atto è già molto lungo. Ognuna di esse testimonia la loro ferma volontà di trasformare in un nuovo “senso comune” – come lo definiscono loro stessi – un paradigma ultraliberista sul piano economico, autoritario sul piano politico e reazionario sul piano culturale, al servizio del loro progetto MAGA, cioè della loro ferma volontà di frenare radicalmente il declino imperiale che il loro paese sta subendo da tempo.

Diverse analisi e critiche sono già state pubblicate su Viento Sur e altre pubblicazioni alternative sul significato dell’inizio di questa nuova presidenza alla Casa Bianca. In questo articolo mi concentrerò sulle implicazioni delle misure annunciate, principalmente a livello geopolitico: a cominciare dalle sue pretese di impadronirsi della Groenlandia, del Canada e del Canale di Panama, per continuare con la riaffermazione del suo totale sostegno a Netanyahu nella politica genocida che sta conducendo contro il popolo palestinese e, naturalmente, con la sua de-demonizzazione di Putin e la sua disponibilità a riconoscere i territori occupati dalla Russia in Ucraina (in cambio, ovviamente, del controllo su una parte sostanziale delle terre rare…).

È evidente che questa strategia è al servizio di un progetto neoimperialista che mira ad ampliare il proprio cortile di casa, a vassallizzare l’Europa, a cercare la distensione con la Russia e ad assicurarsi il controllo del Medio Oriente per potersi concentrare sulla regione indo-asiatica e, soprattutto, sulla concorrenza geostrategica con la Cina. Tutto questo nel quadro di una guerra tecnologica, commerciale ed estrattivista su scala mondiale, in nome della necessità di anteporre la protezione degli americani WASP (bianchi, anglosassoni e protestanti) e del loro stile di vita imperiale, ormai messo in discussione, al resto del mondo. La fattibilità dell’intero progetto, in particolare per quanto riguarda i suoi effetti sull’economia e sulla società nordamericane, ma anche di fronte alla resistenza che sta iniziando a manifestarsi su molti fronti, non è ancora stata stabilita.

Nonostante la confusione che questa inversione di rotta possa aver suscitato sulla scena internazionale, non è difficile capire che si inserisce in un contesto generale di crisi sempre più interconnesse – di cui la crisi ecologica è l’espressione più estrema – e, di conseguenza, dell’ingresso in un gioco a somma zero sempre più competitivo nella lotta per le risorse in ” un mondo in cui le élite credono che la torta non possa crescere ulteriormente. A partire da qui, in assenza di un modello alternativo, l’unico modo per preservare o migliorare la propria posizione diventa la predazione. È l’era in cui stiamo entrando”, conclude Arnaud Orain [1].

Super-oligarchia, cambio di regime e nuova ridistribuzione coloniale

La prospettiva è quella di una nuova era in cui la “super-oligarchia della finanza e del controllo delle comunicazioni” (Louça, 2025) intende combinare il suo potere sul mercato con il controllo diretto del potere statale, con Elon Musk come massima espressione della sua volontà di imporre i propri interessi a livello internazionale.

Un balzo in avanti che cerca di basarsi sull’alleanza con i governi e le forze politiche che già operano sotto l’impulso dell’Internazionale reazionaria per promuovere, come ha espresso J. D. Vance al vertice di Monaco, un vero e proprio “cambio di regime” nei paesi in cui sopravvivono ancora forme di democrazia liberale ereditate dal consenso antifascista nato dal secondo conflitto mondiale.

Quindi, sebbene sia ancora troppo presto per considerare che questo programma raggiungerà i suoi obiettivi principali, sembra evidente che stiamo passando da un interregno all’inizio di un’altra fase in cui la riconfigurazione dell’ordine imperiale da parte degli Stati Uniti cerca di presentarsi come un modello per stabilizzare e generalizzare un nuovo modo di gestione, costruzione dell’egemonia e governance politica: quello dei reazionari autoritari (Urbán, 2024) o delle autocrazie elettorali (Forti, 2025), che aspirano a creare le migliori condizioni possibili per trovare una via d’uscita dall’impasse secolare che caratterizza il capitalismo mondiale. Questa soluzione implica ovviamente l’imposizione della logica dell’accumulazione a scapito di molte conquiste sociali e politiche, ottenute grazie ai movimenti dal basso, e dei limiti biofisici del pianeta.

Ecco perché la volontà di Trump di rimodellare l’ordine geopolitico a favore degli interessi di MAGA deve essere considerata come la risposta alla fine della cosiddetta globalizzazione felice – di cui la Cina è stata la grande beneficiaria – attraverso un etnonazionalismo protezionista e oligarchico che, a sua volta, si sta facendo strada tra le grandi potenze di entrambe le parti. Nel caso degli Stati Uniti, ciò li porta ora a rimettere radicalmente in discussione la politica estera attuata dopo la caduta del blocco sovietico dai successivi presidenti degli Stati Uniti, in particolare per quanto riguarda le relazioni con l’ex nemico dell’Est, al fine di ridefinire il loro impero.

Come osserva Romaric Godin (2025): «Si tratta ora di costruire un vero e proprio impero, con una rete di vassalli che verranno a consumare i suoi prodotti, in particolare i suoi beni tecnologici, il suo petrolio o il suo gas liquefatto (…) ciò che è in gioco oggi per una parte del capitalismo americano è evitare la concorrenza, cioè evitare un grande mercato transatlantico e transpacifico come ai tempi del neoliberismo, a favore di un impero: un centro e delle periferie in cui ognuno ha un ruolo da svolgere nel suo rapporto con il centro”.

In questo contesto, l’avvicinamento alla Russia reazionaria e nostalgica del suo antico impero, testimoniato inequivocabilmente dal recente voto comune al Consiglio di sicurezza dell’ONU sul “conflitto” in Ucraina, è la dimostrazione più evidente del cambiamento radicale a cui stiamo assistendo e in cui le due grandi potenze concordano nel rispettare reciprocamente l’uso della buona vecchia politica della forza nelle rispettive sfere di influenza. Ciò si riflette anche nel loro contributo comune alla crisi di legittimità ultima dell’ONU e di tante altre istituzioni internazionali (come l’UNRWA, l’UNESCO, l’OMS…) che esistono dalla fine della seconda guerra mondiale; o, cosa ancora più grave, nel rifiuto degli Accordi di Parigi sul cambiamento climatico, accordi peraltro assai moderati.

È su questa vecchia struttura internazionale che si basa la volontà di praticare una diplomazia, definita a torto “transazionale” (mentre in realtà è subordinata al business as usual), attraverso negoziati bilaterali con le diverse potenze, come vediamo anche con la guerra commerciale. E, con essa, la prosecuzione della guerra culturale mondiale sul piano politico-ideologico attraverso il discorso trumpista (Camargo, 2025), ripreso dall’Internazionale reazionaria. Quest’ultima è ormai considerata l’unico alleato affidabile per difendere ciò che “considerano i valori più fondamentali” (ovvero il suprematismo bianco e cristiano, la famiglia patriarcale e l’islamofobia), minacciati dalla “massiccia immigrazione” e dalla complicità del progressismo, come denunciato dal vicepresidente Vence nel suo discorso già citato alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco.

E l’Unione europea?

Nel contesto di questo radicale cambiamento di scenario, l’Unione europea appare come un blocco regionale in declino e sempre più diviso tra, da un lato, la scelta di allinearsi allo sceriffo di Washington, come già fa Orban dall’Ungheria, e, dall’altro, la ricerca di una “autonomia strategica” in termini geopolitici, energetici, economici, tecnologici e di difesa, come proposto dal rapporto Draghi. Coloro che difendono quest’ultima opzione, facendo di necessità virtù, sembrano ormai disposti a dare priorità assoluta non solo ai crediti militari per il loro riarmo – con persino la Francia di Macron che propone già di condividere il suo ombrello nucleare – ma anche a una maggiore deregolamentazione economica in nome della competitività, aprendo così la porta a una svolta “libertariana” fino alle alte sfere dell’UE [2.]. In questo modo, è evidente che la democrazia, la disuguaglianza in tutte le sue forme e il riscaldamento globale ne subiranno le conseguenze, il che non farà che aumentare il senso di insicurezza nei confronti del futuro tra le classi popolari e aggravare le loro divisioni interne.

La scelta di rafforzare un’economia di guerra non trova alcuna giustificazione, perché, come denunciato da Mariana Mortagua, “i paesi dell’UE messi insieme hanno più militari in servizio degli Stati Uniti e della Russia, e la somma dei loro bilanci per la difesa è superiore a quella della Russia e più vicina a quella della Cina”. [3] A ciò si aggiunge che, se l’UE ha dimostrato la sua volontà di continuare a sostenere l’Ucraina di fronte all’invasione illegittima di cui è vittima da parte della Russia, questo atteggiamento contrasta con la sua costante complicità con lo Stato coloniale di Israele nel genocidio che sta commettendo contro il popolo palestinese e nel rifiuto del suo legittimo diritto all’autodeterminazione. Sono quindi gli interessi geopolitici in entrambi i casi, e non la difesa della democrazia contro l’autoritarismo o l’illiberalismo, a celarsi dietro la pratica del doppio standard da parte dell’UE, come ha denunciato giustamente lo storico Ilan Pappé di recente. [4]. Persino lo scandaloso progetto annunciato da Trump e Musk di trasformare Gaza in un “paradiso turistico” non ha suscitato una condanna unanime da parte dell’UE.

Per questo motivo non dobbiamo ripetere l’errore di idealizzare un’Europa del benessere e dei valori democratici, quando ogni giorno assistiamo all’evoluzione dei partiti istituzionali e al loro adattamento all’agenda dell’estrema destra nella sua politica di sicurezza e razzista, come possiamo vedere nella sua politica migratoria e nella crescente riduzione dei diritti e delle libertà fondamentali.

E la sinistra?

In questo contesto generale, la sinistra europea si trova ad affrontare sfide enormi che la obbligano più che mai a far fronte alla riconfigurazione in corso del vecchio ordine imperiale. La reiezione dei nuovi patti interimperialisti che Trump e Putin stanno cercando di mettere in atto dovrebbe essere accompagnata da una ferma opposizione a un’UE che cerca solo di frenare il suo declino come blocco imperialista rivendicando un posto migliore nella nuova spartizione coloniale.

Senza perdere di vista l’enorme debolezza della sinistra anticapitalista, è urgente unire le nostre forze nel quadro delle nuove resistenze che si stanno sviluppando in diversi paesi per difendere ed estendere i nostri diritti e poteri. In questo percorso, sarà necessario essere in grado di costruire fronti socio-politici unitari sia per la lotta comune contro i diversi imperialismi, sia per rispondere alla minaccia rappresentata dai reazionari autoritari in pieno sviluppo nei nostri paesi. Queste iniziative dovrebbero favorire il superamento del quadro di subordinazione alla politica del male minore che caratterizza le diverse versioni del neoliberismo progressista, poiché è stato ampiamente dimostrato che queste politiche non hanno permesso di affrontare alla radice i fattori strutturali che hanno facilitato l’attuale ascesa della reazione. [5.]

Si tratta quindi di riformulare una strategia intersezionale, controegemonica ed ecosocialista, strettamente legata alla lotta per lo scioglimento della NATO e alla solidarietà con tutti i popoli aggrediti nella difesa del loro diritto a decidere del proprio futuro, di fronte a qualsiasi ingerenza o predazione coloniale delle loro risorse, sia a Gaza che in Ucraina. In questo senso, di fronte alla possibilità di un trattato di pace in Ucraina concluso tra Trump e Putin, non bisogna rinunciare a chiedere – insieme alla sinistra resistente in Ucraina e all’opposizione contro la guerra in Russia – il ritiro immediato delle forze russe dal territorio occupato, la cancellazione incondizionata del debito contratto dall’inizio della guerra (Toussaint, 2025) e l’attuazione di un piano di ricostruzione ecologicamente e socialmente equo. [6.]

Di fronte a ogni sorta di campanilismo o di ripiegamento nazional-statale, abbiamo davanti a noi il difficile duplice compito di continuare a difendere un’Europa smilitarizzata dall’Atlantico agli Urali, in stretta connessione con la ricerca di una sicurezza globale e pluridimensionale – che è apparsa come una necessità esistenziale durante l’ultima crisi pandemica – in opposizione alla concezione di sicurezza oggi dominante, militarista all’esterno e punitiva all’interno dei nostri stessi paesi.

*articolo apparso su Viento Sur il 1° marzo 2025.

Riferimenti

Camargo, Laura (2024) Trumpismo discursivo. Origen y expansión del discurso de la ola reaccionaria global. Madrid: Verbum.
Forti, Steven (2024) Democracias en extinción. Madrid: Akal.
Godin, Romaric (2025) « Un capitalismo en crisis, depredador y autoritario », Viento Sur, 01/03.
Louça, Francisco (2025) « ¿Quién es el enemigo ? La superoligarquía », Viento Sur, 19/02.
Toussaint, Eric (2025) « La deuda : un instrumento de presión y de pillaje entre las manos de los acreedores », Viento Sur, 15/02.
Urbán, Miguel (2024) Trumpismos. Neoliberales y autoritarios. Barcelona: Verso.

[1.] https://www.sinpermiso.info/textos/es-evidente-que-el-capitalismo-de-finitud-no-necesita-la-democracia-entrevista-a-arnaud-orain.
[2.] In realtà, sta già accadendo:https://legrandcontinent.eu/es/2025/02/16/desregulacion-en-lugar-de-deuda-comun-el-giro-libertario-de-la-comision-von-der-leyen-sobre-el-informe-draghi/ e https://www.mediapart. fr/journal/international/260225/ue-la-commission-saborde-son-propre-agenda-vert.
[3] https://www.sinpermiso.info/textos/europa-no-se-salvara-cambiando-el-estado-de-bienestar-por-armas
[4] «È la grande ipocrisia europea: sostenere la resistenza dell’Ucraina e allo stesso tempo definire terrorismo la resistenza della Palestina», el diario.es, 25/02/25.
[5.] Ciò vale anche per la variante socio-liberale, in netto declino, come abbiamo potuto constatare nelle recenti elezioni in Germania, dove è stata annunciata una nuova coalizione di governo con la democrazia cristiana, il che potrebbe aggravare la sua crisi. Per quanto riguarda il caso spagnolo, rimando al mio articolo “41° Congresso del PSOE: la compattezza attorno al leader non ferma la destra”, 7/12/24.
[6.] https://elpais.com/clima-y-medio-ambiente/2025-02-24/la-factura-climatica-de-la-invasion-de-ucrania-asciende-hasta-los-250-millones-de-toneladas-de-gases-de-efecto-invernadero.html.