Tempo di lettura: 3 minuti
- L’impatto complessivo degli aumenti dei dazi deciso da Trump è quello di portare l’aliquota media sulle importazioni di beni statunitensi al 26%, il livello più alto degli ultimi 130 anni.
- La formula utilizzata per stabilire la tariffa daziaria per ogni paese che esporta negli Stati Uniti non è legata a tasse, sussidi o barriere non tariffarie ingiuste imposte dai paesi sulle esportazioni statunitensi. Segue invece una formula assai semplice: l’entità del deficit commerciale degli Stati Uniti con ciascun paese viene divisa per l’entità delle importazioni statunitensi da quel paese; il risultato viene poi diviso per due. Un esempio: l’America ha un deficit di 123 miliardi di dollari con il Vietnam, da cui importa 137 miliardi di dollari. 123/137= 0,90… Si ritiene quindi che abbia barriere commerciali pari a una tariffa d’importazione del 90%. La formula statunitense applica una tariffa reciproca pari alla metà (45%), per ridurre il deficit bilaterale della metà. Problema: il Vietnam non ha una tariffa del 90% sulle esportazioni statunitensi, quindi non può evitare una riduzione delle vendite agli Stati Uniti accettando di ridurre le sue “tariffe” sulle esportazioni statunitensi.
- Le mosse avranno un impatto significativo su tutti i paesi del Sud globale. Alcune delle aliquote tariffarie più alte si trovano tra i paesi in via di sviluppo a basso reddito dell’Asia meridionale e sudorientale, come la Cambogia o lo Sri Lanka.
- Le tariffe di Trump riguardano solo le importazioni di beni, non di servizi. Gli Stati Uniti hanno un deficit di beni con i paesi dell’Unione Europea, quindi Trump ha imposto una tariffa del 20% su queste importazioni. Ma non sono previste misure contro i servizi (circa il 20% di tutto il commercio mondiale). L’UE ha un’eccedenza di merci con gli Stati Uniti, ma un deficit significativo nei servizi (banche, assicurazioni, servizi professionali, software, comunicazioni digitali, ecc.) con gli Stati Uniti. Se i servizi fossero stati inclusi, il deficit degli Stati Uniti nei confronti dell’UE sarebbe praticamente scomparso.
- Tutti i paesi, anche quelli che registrano un deficit commerciale con gli Stati Uniti, sono soggetti a una tariffa del 10%. Questo vale anche per i paesi che non hanno scambi commerciali con gli Stati Uniti o nei quali non vive nessuno (Diego Garcia, Antartide…). La tariffa sul Regno Unito è del 10%, ad esempio. Quindi, sebbene il commercio di beni del Regno Unito sia praticamente in equilibrio con gli Stati Uniti (58 miliardi di dollari contro 56 miliardi di dollari), subirà comunque delle conseguenze dovute alla probabile perdita di esportazioni di beni verso il suo principale partner commerciale, gli Stati Uniti. Se la formula tariffaria di Trump per i beni fosse applicata al Regno Unito, non ci sarebbe alcuna tariffa sulle importazioni dal Regno Unito. Al contrario, se si includesse il commercio di servizi, la tariffa sulle importazioni dal Regno Unito sarebbe del 20%! Morgan Stanley ritiene che il nuovo regime tariffario potrebbe far perdere fino allo 0,6% alla crescita del Regno Unito (crescita, comunque, già oggi praticamente nulla).
- I dazi aumenteranno in modo sostanziale i prezzi – i consumatori statunitensi sopporteranno il peso di un’ampia varietà di alimenti di base e di beni essenziali che fisicamente non possono essere prodotti in patria, e le famiglie più povere saranno le più colpite. L’industria americana dovrà far fronte a costi più elevati per forniture intermedie, macchinari e attrezzature fondamentali, che annulleranno qualsiasi beneficio marginale derivante dalla riduzione della concorrenza estera.
- Un altro esempio: la tariffa del 54% sulla Cina potrebbe comportare un calo di 507 miliardi di dollari nelle importazioni – e la Cina esporta solo 510 miliardi di dollari. I dazi di Trump sulla Cina ridurrebbero le importazioni americane di circa il 20%. Questo causerebbe uno “shock dell’offerta” simile a quello del periodo della pandemia, che porterebbe a una recessione e/o a un’inflazione negli Stati Uniti.
- Le ritorsioni da parte di altri paesi porteranno a un calo delle esportazioni statunitensi. Negli anni ’30, dopo l’imposizione dei dazi Smoot-Hawley (1), le ritorsioni portarono a un calo del 33% delle esportazioni statunitensi e a una spirale negativa del commercio internazionale, la cosiddetta “spirale Kindleberger”: un ciclo economico nel quale i dazi ridussero il commercio, poi le ritorsioni lo ridussero ulteriormente, poi altre ritorsioni, poi effetti importanti e decisivi sulla produzione, poi effetti secondari, poi ancora dazi e ritorsioni, fino a quando il commercio globale scese da 3 miliardi di dollari nel gennaio 1929 a 1 miliardo di dollari nel marzo 1933.
- Una guerra commerciale tariffaria colpirebbe l’economia statunitense più duramente della legge Smoot-Hawley, poiché il commercio è oggi una quota del PIL tre volte superiore a quella del 1929, e nel 2024 rappresenterà il 15% del PIL contro il 6% circa del 1929.
- Il PIL reale degli Stati Uniti quest’anno potrebbe diminuire dell’1,5-2% e l’inflazione potrebbe salire fino a quasi il 5% se i dazi non saranno revocate al più presto (previsione questa di UBS).
- Il calo della crescita commerciale dovuto ai dazi porterà a una diminuzione dei flussi di capitale internazionali, indebolendo gli investimenti e la crescita economica a livello globale.
1. Nel 1930 l’amministrazione Hoover approvò lo Smoot-Hawley Tariff Act, che impose tariffe medie sulle importazioni Usa fino al 59% (sul totale delle importazioni si arrivò al 20% in media). (N.d.T.)
*articolo apparso sul blog dell’autore The Next Recession il 5 aprile 20205.