Mentre il processo di cambiamento climatico è passato dall’essere una “crescente minaccia”, a un “disastro globale in divenire”, coloro che traggono profitto dal capitalismo dei combustibili fossili hanno sviluppato strategie per nascondere le proprie tracce e perpetuare le proprie attività distruttive con la minima opposizione e interferenza. Nel corso degli anni sono stati adottati diversi cambiamenti tattici per promuovere questi obiettivi.
Con il ritorno al potere di Donald Trump, le finzioni e le ritirate tattiche sulla politica climatica che hanno caratterizzato il periodo recente sono state ampiamente messe da parte. A gennaio, alla cerimonia del suo insediamento a gennaio, Trump, come ha ricordato Forbes, «non ha perso tempo nell’inchiodare le sue credenziali pro-petrolio e gas, al metaforico albero maestro della Casa Bianca». Dichiarando che gli Stati Uniti stavano affrontando un’«emergenza energetica», il presidente in carica ha detto al suo pubblico che avrebbe fatto in modo che «l’America tornerà a essere una nazione manifatturiera. Siamo seduti sulla maggior quantità di petrolio e di gas naturale del mondo, e la useremo».
Manuale sui combustibili fossili
È stato ampiamente dimostrato che le principali compagnie petrolifere sono state da tempo ben consapevoli degli impatti climatici che le loro attività avrebbero comportato, assai ben prima che si affermasse una consapevolezza generale di queste conseguenze. L’Institute for Environment & Sustainability della Georgetown University, con sede a Washington DC, riferiva nel 2023 che «la preoccupazione popolare per il cambiamento climatico antropogenico non è emersa fino alla fine degli anni ’80, ma documenti industriali precedentemente segreti che sono ora disponibili tramite il database ClimateFiles rivelano che gli scienziati dell’industria petrolifera esprimevano preoccupazioni sugli impatti del petrolio sul clima già negli anni ’50 e ’60».
Il rapporto mostra come le compagnie petrolifere e altre imprese interessate commercialmente abbiano collaborato per «diffondere disinformazione sul clima [e] opporsi alle normative sui gas serra attraverso la collaborazione tra i settori automobilistico, manifatturiero, minerario e petrolifero». Solo quando «alla fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000, un consenso sempre più forte nella comunità scientifica e una crescente preoccupazione tra l’opinione pubblica» hanno imposto un cambiamento di prospettiva, le grandi compagnie petrolifere hanno iniziato a «fare pubbliche concessioni alla scienza del clima, e hanno accennato a un impegno per mitigare le minacce del cambiamento climatico».
Un articolo pubblicato questo mese su Vox mostra che l’industria della carne bovina negli Stati Uniti ha svolto un ruolo molto simile a quello delle aziende di combustibili fossili. Verso la fine degli anni ’80, si è capito che la produzione di carne bovina industrializzata stava generando enormi quantità di metano, «un gas serra che accelera il cambiamento climatico a un ritmo molto più veloce dell’anidride carbonica». Oggi, quasi un terzo del metano [presente nell’atmosfera] deriva da bovini da carne e da latte.
In quel periodo, i principali rappresentanti dell’industria «iniziarono a elaborare un piano per difendersi da quelli che prevedevano sarebbero stati attacchi crescenti sul ruolo della carne bovina nel riscaldamento globale e in altri mali ambientali». La National Cattlemen’s Association (NCA) redasse «un memorandum interno di diciassette pagine» che non sarebbe venuto alla luce per due decenni. Il documento adottava un approccio di «gestione della crisi» e gli autori notavano che le «attività di relazioni pubbliche dirette ai principali influencer sono un elemento fondamentale di questo piano».
Solo quando è diventato impossibile ignorare il cambiamento climatico, le aziende di combustibili fossili e i loro rappresentanti politici hanno cambiato direzione e adottato strategie basate su un’accettazione, seppur riluttante, della realtà. Nel 2023, Earth Justice ha sottolineato che il cambiamento climatico «è già in atto e l’industria dei combustibili fossili sa che è innegabile. Quindi sta cambiando il suo copione: passando dal negare apertamente il cambiamento climatico, al ritardare l’azione per il clima attraverso varie forme di distrazione, inganni e false promesse».
La svolta verso il “capitalismo verde” ha avuto diverse componenti. Una di queste si è concentrata nella presa di controllo delle deliberazioni sul clima deviandole in modi che non sfidassero Big Oil. Common Dreams ha riferito l’anno scorso che «l’influenza schiacciante dei petrolstati e dei lobbisti dell’industria dei combustibili fossili ha reso la conferenza annuale delle Nazioni Unite sul clima inadatta a proporre i radicali cambiamenti necessari per evitare un riscaldamento catastrofico».
Con sorpresa, è stato riferito che «almeno 1’773 lobbisti dei combustibili fossili hanno avuto accesso al vertice COP29, dando alla principale industria responsabile dell’emergenza climatica globale, più rappresentanza di quasi tutti i Paesi presenti ai colloqui di Baku». L’intera iniziativa delle Nazioni Unite sul clima è stata così compromessa e resa inefficace.
Il negazionismo climatico è tornato
Tuttavia, il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha portato a un declino delle strategie di “greenwashing” e a una rinnovata attenzione verso il negazionismo climatico, insieme a una sfacciata intransigenza di fronte all’avanzante catastrofe climatica.
In un articolo pubblicato su Grist, si legge che all’inizio del mese la British Petroleum «ha annunciato di aver tagliato più di 5 miliardi di dollari di investimenti in energia verde. Si tratta di un netto distacco dai primi anni 2000, quando il gigante petrolifero si era dichiarato “al di là del petrolio”, e persino dagli impegni dichiarati nel 2020, quando l’azienda si era prefissata di aumentare di venti volte il suo portafoglio di energie rinnovabili». L’amministratore delegato della BP, Murray Auchincloss, ha mostrato un singolare candore nell’annunciare questo cambiamento. Ha dichiarato con gioia che questa «è una BP rinnovata, con un’attenzione incrollabile alla crescita degli interessi, nel lungo periodo, degli azionisti».
La portata di questo cambiamento d’approccio è testimoniata dal fatto che «nello stesso momento in cui BP ha tagliato il suo portafoglio di energie rinnovabili, ha dichiarato che avrebbe investito 10 miliardi di dollari in più nel petrolio e nel gas». L’azienda punta ora a produrre 2,4 milioni di barili al giorno di combustibili fossili entro il 2030, con un incremento del 60% rispetto all’obiettivo del 2020. La differenza di 900’000 barili equivale a circa 387’000 tonnellate di anidride carbonica in più al giorno, il che equivale a circa 90’000 auto a benzina in funzione per un anno.
La BP non è affatto un caso atipico e altre compagnie petrolifere stanno procedendo in questa direzione, senza i pretesti e i sotterfugi impiegati nel recente passato. L’amministrazione Trump ha indubbiamente fornito la base per una rinnovata fiducia e spavalderia tra coloro che stanno letteralmente alimentando la crisi climatica.
Il Segretario all’Energia di Trump, Chris Wright, ex dirigente del settore del fracking, ha recentemente tenuto il discorso plenario di apertura alla CERAWeek, descritta da Mother Jones come «una sciccosa conferenza annuale a Houston, in Texas, guidata dalla società finanziaria S&P Global». Il messaggio di Wright ai «pezzi grossi del petrolio e del gas» presenti, è stato che «stiamo non di meno perseguendo, senza vergogna, una politica di maggiore produzione di energia e di infrastrutture americane».
Il discorso di Wright è stato molto rivelatore, in quanto ha affrontato di petto il compito di giustificare un percorso che non può che avere le conseguenze più terribili per l’umanità. Si è definito un “realista del clima” e ha detto all’assemblea che «l’amministrazione Trump tratterà il cambiamento climatico per quello che è, un fenomeno fisico globale, che è un effetto collaterale della costruzione del mondo moderno. Tutto nella vita comporta dei compromessi».
L’affermazione che le emissioni di carbonio possano continuare, e persino aumentare, come un “compromesso” che consentirà alle popolazioni di aumentare i propri standard di vita senza produrre i risultati più disastrosi immaginabili, è, ovviamente, delirante. Proprio la scorsa settimana, il Guardian ha riferito che «secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite, gli impatti devastanti della crisi climatica hanno raggiunto nuove vette nel 2024, con decine di ondate di calore, inondazioni e tempeste senza precedenti in tutto il mondo». Tuttavia, le opinioni di Wright esprimono la logica del sistema economico che rappresenta.
La dura realtà è che i combustibili fossili restano la linfa vitale del capitalismo, anche se il loro continuo consumo significa morte e distruzione per centinaia di milioni di persone. Una vasta porzione degli investimenti capitalistici è in petrolio e gas, e gli interessi coinvolti non consentiranno alcuna transizione tempestiva dall’uso di tali combustibili.
La logica distorta del Segretario all’Energia di Trump è più schietta delle elusioni e degli inganni in cui sono coinvolti i sostenitori del capitalismo verde, ma non c’è una sostanziale differenza di opinione tra loro. Lo storico romano Cornelio Tacito scrisse che «il crimine, una volta scoperto, non trova rifugio che nell’audacia» e i criminali del clima dell’amministrazione Trump ne sono la prova vivente, poiché rimuovono tutte le barriere alla ricerca distruttiva del profitto.
L’aperta adesione di Trump al vandalismo climatico ha incoraggiato i principali rappresentanti e sostenitori del capitalismo dei combustibili fossili, e li ha resi ancora più sconsiderati e determinati. Tuttavia, gli impatti del cambiamento climatico stanno diventando sempre più gravi e la lotta per fermare le dilaganti emissioni di carbonio, e garantire una giusta transizione che possa sostenere la vita, è passata a una fase ancora più urgente e decisiva.
*articolo apparso su Climate&Capitalism il 26 marzo 2025. La traduzione italiana è stata curata dalla redazione di Antropocene.org.