Quando, nel suo discorso di addio del 1961 [gennaio 1953-gennaio 1961], il presidente Dwight D. Eisenhower mise in guardia dai pericoli dell’eccessiva influenza esercitata da un partenariato tra l’esercito e un gruppo crescente di produttori di armi statunitensi e coniò il termine inquietante di «complesso militare-industriale», non poteva immaginare quanto vasto e potente sarebbe diventato questo complesso. Infatti, negli ultimi anni, una sola azienda, la Lockheed Martin, ha ricevuto in media più fondi dal Pentagono che l’intero Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. E questo prima che l’amministrazione Trump decidesse di ridurre drasticamente le spese diplomatiche e di portare il bilancio del Pentagono alla cifra sbalorditiva di 1000 miliardi di dollari all’anno.
In un nuovo studio pubblicato dal Quincy Institute for Responsible Statecraft e dal Costs of War Project della Brown University, Stephen Semler e io mostriamo quanto siano diventati potenti questi industriali dell’armamento e i loro alleati, mentre i bilanci del Pentagono continuano ad aumentare. pensiamo solo a questo: tra il 2020 e il 2024, il 54% dei 4’400 miliardi di dollari di spesa discrezionale del Pentagono è stato destinato ad aziende private e 791 miliardi di dollari a sole cinque aziende: Lockheed Martin (313 miliardi di dollari), RTX (ex Raytheon, 145 miliardi di dollari), Boeing (115 miliardi di dollari), General Dynamics (116 miliardi di dollari) e Northrop Grumman (81 miliardi di dollari) [l’F-35 è sviluppato da Lockheed Martin e Northrop Grumman]. E ricordate che tutto questo avveniva prima che il disegno di legge “Big Beautiful Budget Bill” di Donald Trump atterrasse sul pianeta Terra, riducendo drasticamente le spese diplomatiche e i programmi nazionali per fare spazio a importanti tagli fiscali e a spese quasi record per il Pentagono.
In breve, lo “Stato-guarnigione” contro cui Eisenhower ci aveva messo in guardia è arrivato, con conseguenze negative per quasi tutti, ad eccezione dei dirigenti e degli azionisti di questi giganti dell’industria degli armamenti e dei loro concorrenti nel settore emergente delle tecnologie militari, che ora stanno seguendo le loro orme. I militaristi high-tech come Peter Thiel di Palantir, Elon Musk di SpaceX e Palmer Luckey di Anduril [lanciata nel 2017 in collaborazione con ex dirigenti di Palantir] hanno promesso una versione nuova, più accessibile, più agile e presumibilmente più efficiente del complesso militare-industriale, come descritto da Anduril in «Rebooting the Arsenal of Democracy – Anduril Mission Document“, un’ode al presunto valore di queste aziende tecnologiche emergenti.
Curiosamente, questa presentazione di Anduril è in realtà una critica straordinariamente pertinente dei cinque grandi imprenditori e dei loro alleati al Congresso e al Pentagono, sottolineando la loro inclinazione incrollabile a sforare i costi, a ritardare i programmi e a perseguire una politica clientelare volta a preservare sistemi d’arma che troppo spesso non servono più a nessun obiettivo militare utile. Il documento prosegue affermando che, sebbene le varie Lockheed Martin di questo mondo abbiano svolto un ruolo utile durante la guerra fredda con l’Unione Sovietica, oggi non sono in grado di costruire la prossima generazione di armi. Il motivo: il loro modello economico arcaico e l’incapacità di padroneggiare i software che sono al centro di una nuova generazione di armi semi-autonome e senza pilota, guidate dall’intelligenza artificiale (IA) e dall’informatica avanzata. Da parte loro, i nuovi titani della tecnologia affermano con audacia di poter fornire esattamente questa generazione di armi futuristiche in modo molto più efficiente e a un costo molto inferiore, e che i loro sistemi d’arma preserveranno, o addirittura prolungheranno, il dominio militare mondiale degli Stati Uniti in un futuro lontano, superando la Cina nello sviluppo delle tecnologie di nuova generazione.
La guerra e la possibile avventura di una tecno-autocrazia
Potrebbe davvero esistere un nuovo complesso militare-industriale migliorato, allineato alle reali esigenze di difesa del Paese e che non graverebbe sui contribuenti?
Non ci contate, almeno se ciò si basa sullo sviluppo di «armi miracolose» che costerebbero molto meno e sarebbero molto più efficaci dei sistemi attuali. Un’idea del genere sembra emergere ad ogni generazione, per poi finire nel nulla (vedi articolo di Michael Brenes e William D. Hartung, 3 giugno 2024: “Private Finance and the Quest to Remake Modern Warfare”). Dal “campo di battaglia elettronico” che doveva localizzare e distruggere le forze vietcong nelle giungle del Sud-Est asiatico durante la guerra del Vietnam, alla visione fallimentare di Ronald Reagan di uno scudo antimissile “Star Wars” inviolabile, passando per il fallimento delle munizioni a guida di precisione e della guerra in rete per ottenere la vittoria in Iraq e in Afghanistan durante la «guerra mondiale contro il terrorismo» condotta dagli Stati Uniti, l’idea che una tecnologia militare superiore sia la chiave per vincere le guerre statunitensi ed espandere il potere e l’influenza degli Stati Uniti è stata regolarmente coronata da fallimenti. E questo è stato vero anche quando le armi hanno funzionato come previsto (cosa che accade troppo raramente).
E già che ci siamo, non dimentichiamo, ad esempio, che a quasi 30 anni di distanza, l’aereo da combattimento F-35, molto pubblicizzato e all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, un tempo salutato come una meraviglia tecnologica in divenire che avrebbe rivoluzionato la guerra e gli acquisti militari, non è ancora pronto per entrare in servizio. Progettato per svolgere molteplici missioni di combattimento, tra cui vincere battaglie aeree, supportare le truppe di terra e bombardare obiettivi nemici, l’F-35 Lightening II si è rivelato incapace di svolgere correttamente nessuna di queste missioni. E come se non bastasse, questo aereo è così complesso che passa quasi tanto tempo in manutenzione o in riparazione quanto in condizioni di combattimento.
È importante tenere a mente questa storia di orgoglio tecnologico e fallimento strategico quando si ascoltano le affermazioni – finora non verificate – dei leader del settore militare-tecnologico di questo paese sul valore dei loro ultimi gadget. Da un lato, tutto ciò che propongono di costruire – dagli sciami di droni agli aerei senza pilota, passando per i veicoli terrestri e le navi – si baserà su software estremamente complessi che sono destinati a rompersi prima o poi. E anche se, per miracolo, i loro sistemi, compresa l’intelligenza artificiale, funzionassero come promesso, non solo potrebbero non rivelarsi decisivi nelle guerre future, ma potrebbero anche rendere le guerre di aggressione ancora più probabili. Dopo tutto, i paesi che controllano le nuove tecnologie sono tentati di passare all’attacco, mettendo meno a rischio i propri cittadini e causando danni devastanti alle popolazioni colpite. L’uso della tecnologia Palantir da parte delle forze di difesa israeliane per aumentare il numero di obiettivi distrutti in un dato lasso di tempo durante la loro campagna di massacri a Gaza potrebbe prefigurare una nuova era della guerra se le tecnologie militari emergenti non saranno sottoposte a un sistema di controllo e responsabilità.
Un altro rischio posto dalla guerra basata sull’IA è la possibilità che le nuove armi possano scegliere i propri obiettivi senza l’intervento umano. L’attuale politica del Pentagono promette di mantenere l’uomo “nel circuito” quando si utilizzano tali sistemi, ma la logica militare va contro queste affermazioni. Come ha scritto Christian Brose, presidente e direttore della strategia di Anduril, nel suo libro fondamentale Kill Chain: Defending America in the Future of High-Tech Warfare (Grand Central Publishing, 2020), le guerre high-tech del futuro dipenderanno dalla capacità dei belligeranti di identificare e distruggere i propri obiettivi il più rapidamente possibile – una necessità che garantirebbe l’esclusione degli esseri umani, più lenti, dal processo.
In breve, se l’esercito statunitense passerà al «nuovo complesso militare-industriale perfezionato» promosso dai notabili della Silicon Valley, si presenteranno due possibilità: sistemi complessi che non funzionano come promesso, o nuove capacità che potrebbero rendere la guerra sia più probabile che più letale. E questi risultati distopici non faranno che rafforzare l’ideologia dei nuovi militaristi della Silicon Valley. Si considerano sia i «fondatori» di una nuova forma di guerra, sia i «nuovi patrioti» pronti a riportare gli Stati Uniti alla grandezza senza bisogno di un governo democratico nel processo bellico. In realtà, il loro ideale sarebbe quello di assicurarsi che il governo si ritiri e lasci loro il compito di risolvere da soli gli innumerevoli problemi che dobbiamo affrontare. Ayn Rand ne sarebbe orgogliosa.
Una tale tecno-autocrazia sarebbe molto più incline a servire gli interessi di un’élite relativamente ristretta che ad aiutare in alcun modo l’americano medio. Dalla ricerca di Peter Thiel di un modo per vivere eternamente al desiderio di Elon Musk di consentire la colonizzazione di massa dello spazio, non è affatto certo che, anche se questi obiettivi potessero essere raggiunti, sarebbero accessibili a tutti. È più probabile che questi “vantaggi” siano riservati alla specie di esseri superiori quali i tecnomilitaristi considerano sé stessi.
La battaglia finale tra i cinque grandi e le aziende tecnologiche emergenti?
Tuttavia, i tecnomilitari incontrano seri ostacoli nella loro ricerca per raggiungere le più alte sfere del potere e dell’influenza, in particolare l’influenza persistente dei produttori di armi tradizionali. Dopo tutto, continuano a ricevere la maggior parte delle spese militari del Pentagono, in parte grazie ai milioni di dollari spesi in attività di lobbying e campagne elettorali (vedi l’articolo di Open Secrets del 6 febbraio 2025) e alla loro capacità di creare posti di lavoro in quasi tutti gli Stati e distretti del Paese. Questi strumenti di influenza conferiscono ai cinque grandi un peso e un’influenza molto maggiori rispetto alle nuove aziende tecnologiche all’interno del Congresso. Queste grandi aziende tradizionali esercitano anche un’influenza sulla politica governativa finanziando gruppi di riflessione bellicisti che contribuiscono a elaborare le politiche governative volte a regolamentare la loro condotta, e molto altro ancora.
Naturalmente, un modo per evitare una disputa definitiva tra i cinque grandi e le aziende tecnologiche emergenti sarebbe quello di fornire a entrambi finanziamenti significativi, ma ciò richiederebbe un budget del Pentagono che supererebbe di gran lunga gli attuali 1000 miliardi di dollari. Esistono naturalmente alcuni progetti che potrebbero andare a vantaggio di entrambe le fazioni, dal programma di difesa antimissile Golden Dome, caro a Donald Trump, che potrebbe integrare hardware dei cinque grandi e software delle aziende tecnologiche emergenti, al nuovo programma di aerei da combattimento F-47 della Boeing, che prevede “scortatori” senza pilota che potrebbero essere prodotti da Anduril o da un’altra azienda di tecnologia militare. La questione dello scontro o della cooperazione tra la nuova e la vecchia guardia nel settore militare rimane quindi aperta. Se le aziende rivali finissero per rivolgere le loro risorse di lobbying l’una contro l’altra e attaccarsi a vicenda, ciò potrebbe indebolire la loro presa sul Paese e forse rivelare informazioni utili che potrebbero minare l’autorità e la credibilità di entrambi gli schieramenti.
Ma una cosa è certa: nessuno dei due settori ha a cuore gli interessi del cittadino medio, quindi dobbiamo prepararci a reagire, qualunque sia l’esito della loro battaglia.
Allora, cosa possiamo fare per evitare lo scenario da incubo di un mondo governato da Peter Thiel, Elon Musk e il loro team? Innanzitutto, avremo bisogno di una popolazione “vigile e informata”, come sottolineò Dwight D. Eisenhower tanto tempo fa, unico antidoto a una società sempre più militarizzata. Ciò richiederebbe uno sforzo concertato da parte della popolazione e del governo (che dovrebbe ovviamente essere guidato da qualcuno che non sia Donald J. Trump, il che è già un progetto in sé!).
Al momento, il settore tecnologico è infatti sempre più radicato nell’amministrazione Trump, che deve molto a molti dei suoi membri per averlo aiutato a vincere le elezioni del 2024. Nonostante il suo pubblico e aspro litigio con il suo narcisistico collega Elon Musk, l’influenza del settore tecnologico all’interno della sua amministrazione rimane molto forte, a cominciare dal vicepresidente J.D. Vance, che deve la sua carriera e il suo lavoro al patrocinio e al sostegno finanziario del militarista della Silicon Valley Peter Thiel. E non dimentichiamo che un nutrito gruppo di ex dipendenti di Palantir e Anduril ha già ottenuto posizioni chiave in questa amministrazione.
Per controbilanciare questi militaristi new age, sarà necessario uno sforzo sociale su larga scala che coinvolga educatori, scienziati e tecnici, il movimento sindacale, imprenditori non appartenenti al settore tecnologico e attivisti di ogni orientamento. I lavoratori della Silicon Valley hanno infatti organizzato diverse manifestazioni contro la militarizzazione del loro lavoro prima di essere respinti. Oggi, una nuova ondata di attivismo di questo tipo è più che mai necessaria.
Proprio come molti degli scienziati che hanno contribuito alla costruzione della bomba atomica hanno trascorso la loro vita dopo Hiroshima e Nagasaki cercando di limitare o abolire le armi nucleari, una schiera di scienziati e ingegneri del settore tecnologico deve svolgere un ruolo di primo piano nell’elaborazione di misure di salvaguardia volte a limitare gli usi militari delle tecnologie che hanno contribuito a sviluppare. Allo stesso tempo, il movimento studentesco contro l’uso delle armi statunitensi a Gaza ha iniziato ad ampliare i propri orizzonti per puntare alla militarizzazione delle università in generale. Inoltre, gli ambientalisti devono intensificare le loro critiche nei confronti dell’enorme fabbisogno energetico necessario per alimentare l’IA e la crittografia, mentre i leader sindacali devono prendere coscienza delle conseguenze della distruzione di posti di lavoro causata dall’IA nei settori militare e civile. E tutto questo deve avvenire in un contesto di maggiore controllo tecnologico, anche tra i membri del Congresso e i funzionari incaricati di regolamentare i fornitori di nuove tecnologie militari.
Naturalmente, nulla di tutto questo è probabile che accada, se non nel contesto di una rinascita della democrazia e di uno sforzo determinato per mantenere le promesse retoriche non mantenute che stanno alla base del mito del sogno americano. E a proposito di contesto, eccone uno che chiunque si appresti a protestare contro la crescente militarizzazione di questa società dovrebbe tenere in considerazione: contrariamente a quanto credono molte figure influenti, dal Pentagono a Wall Street passando per Main Street, il culmine della potenza militare ed economica degli Stati Uniti è ormai passato, e non tornerà mai più. L’unica via razionale è quella di elaborare politiche che mantengano l’influenza degli Stati Uniti in un mondo in cui il potere è stato decentralizzato e la cooperazione è più essenziale che mai.
Una tale visione è ovviamente l’opposto dell’approccio magniloquente e intimidatorio dell’amministrazione Trump che, se persiste, non farà altro che accelerare il declino degli Stati Uniti. In questo contesto, la questione chiave è se i danni generalizzati inerenti al nuovo disegno di legge sul bilancio – che non farà altro che arricchire ulteriormente il Pentagono e le grandi aziende produttrici di armi, colpendo per il resto tutti noi, indipendentemente dal nostro orientamento politico – potrebbero suscitare un nuovo slancio di impegno pubblico e un vero dibattito sul tipo di mondo in cui vogliamo vivere e su come questo Paese potrebbe svolgere un ruolo costruttivo (anziché distruttivo) per raggiungerlo.¨
*articolo apparso sul sito Tom Dispatch il 27 luglio 2025. William D. Hartung è ricercatore senior presso il Quincy Institute for Responsible Statecraft e coautore, insieme a Ben Freeman, di The Trillion Dollar War Machine: How Runaway Military Spending Drives America into Foreign Wars and Bankrupts Us at Home (di prossima pubblicazione presso Bold Type Books).
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