Tempo di lettura: 3 minuti

diazInfine la sentenza della corte europea di giustizia ha inchiodato l’Italia a una imputazione di tortura; non è una cosa lieve, così abbiamo potuto assaporare per un giorno l’effetto che fa: un pochino di cruccio innocuo e salutare per la coscienza nazionale, soprattutto se ci si arriva quattordici anni dopo e per opera un tribunale che non menziona i responsabili e che non commina pene.

In tutti questi anni infatti è restata ufficialmente in auge la tesi della responsabilità marziana, per la quale la causazione generale della cosiddetta distruzione di Genova andava ascritta ai cosiddetti black block; ora a questa autoassoluzione da destra si aggiunge da sinistra una dose scaduta di anestetico collettivo, nella forma di un unanimismo ritardato e melenso, concentrato mediaticamente sulla spettacolare brutalità della scuola Diaz e sulla accademia giuridica relativa al reato di tortura.

La corte europea non doveva emettere una sentenza sui fatti di quei giorni (19-22 luglio 2001), ma solo sui fatti specifici della scuola Diaz (la notte del 21 luglio); è un bene che almeno da questo tribunale e almeno a quattordici anni di distanza dai fatti quella parte di verità sia stata riconosciuta, ma l’effetto perverso di questo riconoscimento sta nel fatto che esso non contribuisce affatto a riaprire la verità sul G8, quanto piuttosto a chiuderne definitivamente il conto reiterando la negazione delle responsabilità fattuali e della verità storica; si rischia quindi di pagare l’unanimità giuridica sulla Diaz col silenziamento definitivo delle ragioni del movimento politico che si è levato allora contro il G8 e contro la mondializzazione criminale dell’economia liberista, imposta dall’organizzazione mondiale del commercio, dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario.

Proviamo ad immaginare che la mattanza alla Diaz non sia mai avvenuta: che quell’ordine di picchiare non fosse stato mai stato dato, e che anche a Bolzaneto non si fosse mai creato il teatro di una ulteriore pratica di violenza poliziesca a porte chiuse, con tanto di ministri della repubblica, urla di gente inerme e torture; proviamo ad immaginare che la repubblica italiana non abbia mai avuto ragione di addossarsi il peso di queste vergogne: bene, allora e solo per questo, quel governo, quella classe politica, questa società, questo stato dovrebbero oggi ritenersi puliti davanti alla mia generazione e davanti alla storia?

Affatto: le colpe essenziali resterebbero “tutte” in quanto l’essenza del crimine non è consistito nei fatti della Diaz, e nemmeno nei fatti di Bolzaneto o nelle incarcerazioni o nelle falsificazioni di prove: il crimine era il G8 stesso. E’ vero che i reparti erano stati puntigliosamente addestrati per produrre il peggio: cioè provocare scientificamente una condizione di caos tale da giustificare l’uso dispiegato della forza, anche a costo di qualche morto; la manifestazione di Napoli della primavera infatti, nonostante la violenza di stato esercitata tanto furiosamente, aveva messo a nudo il problema politico della globalizzazione; a Genova non poteva essere consentito di dare alle ragioni e alla forza morale del movimento antagonista una città intera sotto gli occhi del mondo, e dunque l’innalzamento tragico del livello di scontro ne rappresentò da parte dello stato la soluzione necessaria. Il G8 fu predisposto dal centrosinistra nel 2000 (governo Amato), la preparazione fu saggiata appunto a Napoli a marzo 2001 dallo stesso governo mentre la realizzazione genovese fu poi gestita dal centrodestra (governo Berlusconi); non a caso il “garante di continuità” dell’operazione fu il referente italiano della Cia Gianni De Gennaro, il capo dei capi dei grandi affari della seconda repubblica.

Come è a tutti noto il caos ci fu, nel momento in cui le manifestazioni già autorizzate furono fermate senza preavviso e rinchiuse su strade e piazze bloccate per i pestaggi; fu proprio l’illegalità e l’arbitrarietà di tale condotta a indurre chi dirigeva le operazioni a ordinare ora dopo ora l’innalzamento dello scontro e fu questo infine a produrre nel pomeriggio il blocco del corteo delle tute bianche in via Tolemaide; fu l’estenuazione di questo interminabile fronteggiamento, dal quale il movimento non arretrava, a indurre poi all’uso assassino delle camionette e delle pistole; e fu poi lo stupore destato dall’assassinio di Carlo Giuliani a consigliare per la notte un innalzamento ulteriore della spirale; c’era il vicepresidente del consiglio dei ministri ai posti di comando sul campo e fu solo allora che la polizia diede l’assalto alla Diaz; il giorno dopo fu una caserma della polizia penitenziaria, col ministro della giustizia a dare disposizioni tra le urla della tortura, a completare il gioco tipicamente poliziesco della coazione a ripetere. Ecco cosa fu la Diaz, e cosa fu Bolzaneto: la macchina lucida e folle della coazione a ripetere. Lucida in quanto una violenza più caotica e più grande venne messa in atto per nascondere la responsabilità su una violenza più definita e più circoscritta; folle in quanto la spirale che si venne a creare approdò necessariamente per la sua stessa natura al parossismo della tortura: violentare le persone proprio perché inermi.

La macelleria umana della scuola Diaz non fu quindi l’essenza del crimine, ma ne fu la subordinata di depistaggio: molti colpevoli, nessun colpevole (salvo i diabolici black block!); quindi la sentenza della corte di Strasburgo sta ad indicare ancora oggi soltanto un sintomo di questa nazione malata, ma non la sua malattia. Ecco perché i suoi agenti patogeni continuano ad essere al comando, a inquinare la possibilità di una degna memoria civile e a segnare le tappe di un futuro sempre più oscuro.