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luratiI sindacati ticinesi appartenenti all’USS hanno deciso di lanciarsi in una campagna a favore del congelamento degli accordi bilaterali e della libera circolazione fin quando non saranno messe in atto misure di accompagnamento adeguate a combattere il dumping salariale e sociale.

Non si tratta di una posizione nuova. In fondo nelle ultime votazioni sul tema dei bilaterali, l’atteggiamento del movimento sindacale è sempre stato questo. In particolare il sindacato UNIA ha sempre costruito la propria strategia in questo modo: annunciare un voto negativo qualora le misure di accompagnamento proposte non fossero uscite rafforzate. Inutile ricordare che le ultime due votazioni fondamentali (2005 e 2009) si sono concluse con l’indicazione da parte di UNIA (e di tutte le altre federazioni sindacali) per un voto favorevole ai bilaterali. Naturalmente, pochi mesi dopo, gli stessi sindacati erano costretti ad ammettere che le misure di accompagnamento non erano all’altezza della situazione…
Mentre molti dei protagonisti dell’attuale campagna giubilavano sull’Europa e sulle misure di accompagnamento scrivevamo (era il 10 marzo 1999!) “L’impressione chiara che deriva è che in ogni caso l’adozione delle misure di accompagnamento così come proposte, o anche con tutti gli emendamenti sindacali, non siano in nessuna misura in grado di fare da diga ai processi di liberalizzazione e deregolamentazione in atto; né costituiscano nemmeno degli strumenti validi per cercare di articolare, anche sul solo piano legale, una resistenza ai processi di deregolamentazione salariale e sociale che si approfondiranno (anche se in Svizzera sono già ampi) con sempre maggiore frequenza nei prossimi anni anche in settori finora “protetti”.”
La novità della recente posizione “ticinese” è il fatto che venga annunciato un voto negativo sulle prossime votazioni relative ai bilaterali qualora non venissero messe in campo misure di accompagnamento veramente adeguate: si passa da un “non avrete il nostro SI senza misure di accompagnamento adeguate” a un “voteremo NO se non ci saranno misure di accompagnamento adeguate”.
Ma, ed e sta qui il problema, questa posizione sindacale è gravida di conseguenze poiché, diciamo così, non solo storicamente superata, ma perché rilanciata in un contesto nel quale non può più avere alcuna efficacia negoziale: in altre parole, una posizione che avrebbe potuto essere produttiva fino a cinque-sei anni fa (ancora, al limite, in occasione della votazione del 2009), ma che il movimento sindacale non ha nemmeno voluto, allora, prendere in considerazione.
Vi sono almeno tre buoni motivi che ci indicano che questa posizione non solo è, come detto, un’arma spuntata dal punto di vista negoziale, ma che si tratta di un atteggiamento che non farà altro che alimentare la xenofobia e la divisione dei salariati. Vediamole brevemente.
1.Il dumping salariale è ormai una realtà radicata nel tessuto economico e sociale. Avanza, lentamente ma inesorabilmente, di pari passo con una modificazione profonda del mercato del lavoro, della sua composizione e della sua organizzazione. La liberalizzazione del mercato del lavoro ha permesso tutto questo: non solo a livello cantonale, ma anche a livello nazionale. Si tratta quindi di una realtà economica e sociale che non potrà essere modificata da nessuna votazione o iniziativa. L’iniziativa dell’UDC sull’immigrazione di massa (anche se venisse realizzata) porrebbe problemi di compatibilità con le direttive dell’UE, ma non certo con le esigenze padronali. Il padronato svizzero potrà continuare con la sua politica di dumping salariale anche nel quadro di un contingentamento della manodopera estera. Su questo terreno social-liberali e direzioni sindacali ci hanno condotto ad una sconfitta ormai irreversibile.
2. La minaccia del movimento sindacale di invitare a votare NO (su qualsiasi tema), lascia il tempo che trova. Non spaventa il governo, non spaventa i partiti borghesi, non spaventa, soprattutto, i padroni. Quanto le organizzazioni sindacali valgano oggi sul terreno istituzionale lo si capisce scorrendo le misure percentuali che hanno ottenuto le iniziative sindacali sui temi di fondo (tempo di lavoro, salario, pensioni). Naturalmente questa minaccia avrebbe potuto essere seria, importante e valida nel 2005 o nel 2009: avrebbe potuto essere un NO di sinistra ben più forte di quello, dignitoso ma tutto sommato minoritario, che ha potuto garantire a livello nazionale e cantonale il solo MPS (che, con il senno di poi, si può dire abbia salvato l’onore della sinistra…). Ma, come detto, questa strategia di pressione si è ormai consumata non solo per i mutamenti nella realtà economico-sociale e anche nella coscienza della popolazione: non a caso tutti i sondaggi indicano a livello nazionale una prevalenza sicura dell’opinione comunque favorevole agli accordi bilaterali…
3. In realtà, e non ci pare un punto secondario, non vi è più nulla da votare in materia di bilaterali. Può darsi che, prima o poi, arrivi qualche votazione per estendere gli accordi a qualche altro Stato; ma l’unica possibile e probabile votazione sarà quella per tentare di rimettere in discussione il voto UDC sull’immigrazione di massa . E ci pare assai difficile che una campagna su un voto di questo tipo possa assumere una dimensione anti-dumping o anti-bilaterali; anzi, è probabile che il tono, se si andrà a votare, sarà dato dalla necessità di salvare gli accordi con l’UE.

Per riassumere possiamo dire che l’unica scelta seria che oggi potrebbe fare il movimento sindacale (o quel che ne resta) è di abbandonare sul nascere questa campagna sul congelamento dei bilaterali e della libera circolazione. Bisogna, e in fretta, cambiare registro e abbordare la questione dall’altro punto di vista, quello del degrado delle condizioni di vita e di lavoro dei salariati in questo paese, dell’avanzata lenta e inesorabile del dumping salariale, dell’inaccettabile liberalizzazione del mercato del lavoro, della demolizione di quel poco che resta delle regolamentazioni contrattuali. E questo non si può certo fare minacciando di votare NO in una prossima votazione… di cui nessuno conosce l’orizzonte temporale.
È quanto ha fatto, molto modestamente, l’MPS che, dopo la votazione del 2009, ha proprio spostato attenzione e proposte sulla questione della liberalizzazione del mercato del lavoro, dell’avanzata del dumping, della trasformazione delle cosiddette misure di accompagnamento in misure di fatto di promozione del dumping, come avvenuto in Ticino con il 14 contratti normali di lavoro. E, non da ultimo, la lotta contro la messa in atto dell’iniziativa dei Verdi “Salviamo il lavoro”. Qualcosa che appare come una “trappola perfetta” nella quale rischiano di cadere salari e salariati di questo cantone.

 

Articolo pubblicato sul Corriere del Ticino