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di Matteo Poretti*

Nelle ultime settimane il fenomeno dei fallimenti in Ticino – ma il discorso può essere esteso, per certi versi, a tutto il territorio nazionale – è stato posto con decisione all’attenzione dell’opinione pubblica. Che sia ben chiaro. Non si tratta di un fenomeno “nuovo”. Come vedremo per il caso ticinese, i fallimenti e le perdite da essi generate sono ormai una grave e pesante costante, in termini sociali ed economici, di questi ultimi vent’anni.

Due questioni sono invece più di attualità. In primo luogo, forse la cappa di omertà che ha avvolto questo fenomeno si sta lentamente fessurando. Detto altrimenti, l’azione di schermatura sviluppata con perseveranza dalla classe dominante e dai suoi agenti istituzionali attorno alla questione dei fallimenti non è più così ermetica. In sostanza, il problema dei fallimenti inizia a imporsi nel dibattito politico e sociale. In secondo luogo, se fino a poco tempo fa la funzione classica dei fallimenti nel regime capitalista era quella di permettere di salvaguardare i capitali investiti (naturalmente entro certi limiti), reintegrandoli in una nuova società debitamente ripulita dai debiti accumulati, oggi notiamo una nuova e crescente tendenza: il fallimento “a scopo di lucro”. Più semplicemente, una fetta sempre più consistente d’imprenditori ha capito che si può usare il fallimento come strumento aziendale addizionale per realizzare profitti. La prassi è molto semplice: in sostanza il padrone paga – almeno in parte –il salario diretto, scegliendo scientemente di non versare gli oneri sociali e fiscali. Addirittura sono in aumento gli impresari che prelevano dal salario dei lavoratori gli oneri sociali senza riversali alle competenti istituzioni. Si tratta dunque di un duplice guadagno criminoso: il padrone risparmia la sua quota di contributi sociali e si arricchisce prelevando quella dei dipendenti! Grande importanza hanno anche assunto le imposte inevase, in particolare sul valore aggiunto e le imposte alla fonte. Giunto il momento del fallimento, queste aziende lasciano solo montagne di debiti mentre gli attivi, sia sotto forma di mezzi di produzione e di forza lavoro sono già stati preventivamente trasbordati in una nuova entità aziendale.
Prima di affrontare questi aspetti, è forse utile dare una breve quanto efficace ricostruzione numerica del fenomeno dei fallimenti. Un’operazione che illustrerà i motivi che ci portano ad affermare come questa problematica richieda un’urgente e decisa risposta politica.

Il peso finanziario dei fallimenti: una ricostruzione preoccupante

L’Ufficio di statistica cantonale (USTAT) offre diversi strisce di dati concernenti i fallimenti in Ticino e in Svizzera. Nella nostra analisi ci siamo limitati a quelli, a nostro avviso, più sintomatici: le liquidazioni di fallimenti e il totale delle perdite da essi generate, aggiungendo i loro relativi indici.
Nel 2016, in Ticino, la liquidazione di fallimenti ha generato delle perdite finanziarie pari a 198,683 milioni di chf. Sempre nel 2016, le perdite generate dalle liquidazioni di fallimenti rappresentavano il 5,50% dei ricavi (3,574 miliardi di chf) e il 119% degli investimenti netti (167 milioni di chf)! (cfr. Consuntivo 2016) realizzato dal Cantone. Ebbene sì, le imprese ticinesi fallite bruciano più del doppio di quanto il Cantone riesca a investire… Negli ultimi 21 anni, in Ticino, la media annua di tali perdite è di 252,5 milioni di franchi, contro i 132,4 milioni della media annua per cantone. In 21 anni sono stati polverizzati qualcosa come 5,55 miliardi di franchi…
Se si tenta un paragone fra gli indici nazionali e quelli cantonali, emerge una tendenza in particolare. In Ticino il numero di liquidazioni di fallimenti cresce in maniera molto più marcata rispetto all’indice nazionale. Dal 2000, l’indice calcolato per il cantone Ticino sorpassa quello svizzero, creando un divario sempre maggiore. Per quanto riguarda le perdite totali, gli indici mostrano la massima divergenza. Da subito, ossia dal 1996, l’indice del Ticino si stacca nettamente da quello svizzero, con punte 7 volte superiore all’indice nazionale (anno 2005). L’indice medio delle perdite sul piano nazionale è di 86, quello ticinese è invece di 307, ossia 3,5 volte superiore.
In sintesi, nel nostro cantone non solo le chiusure di fallimenti sono in forte crescita ma le loro implicazioni in termini finanziari sono pesantissime, con un’incidenza nettamente più consistente rispetto al livello nazionale. Le perdite finanziarie dovute ai fallimenti sono così importanti da costituire ormai un male endemico e sistemico, la cui contrazione dovrebbe costituire, appunto, un’assoluta priorità politica.

Una più che lunga accondiscendenza politica in materia di fallimenti

Il perno sul quale si regge il sistema del ricorso criminoso ai fallimenti (in 8 fallimenti su 10 si riscontrano infatti crimini fallimentari di rilevanza penale!) quale strumento per realizzare profitti è costituito dalla quasi assoluta passività dimostrata, ormai storicamente, da tutte le istituzioni (amministrative, legislative, finanziarie, legali) nel perseguire coloro si rendono colpevoli di queste gravi infrazioni.
Questa passività, meglio chiamarla accondiscendenza politica, nei confronti del fallimento rinvia, come accennato più sopra, alla difesa di un interesse del regime capitalista: teoricamente qualsiasi padrone potrebbe incappare in un fallimento, quindi va garantita la possibilità di difendere sia il patrimonio privato che i capitali investiti, come anche la possibilità di ricominciare un’attività imprenditoriale nelle migliori condizioni. Interessante, in questo senso, la risposta data, il 2 febbraio 2012, dalla Commissione degli affari giuridici alla mozione 11.3925 Fallimenti. Impedire gli abusi, presentata il 29 settembre 2011 dal consigliere agli Sati Hans Hess. Nel rapporto si può infatti leggere che «L’applicazione di rimedi (sanzioni penali, divieto di fondare nuove società, ecc.) richiede circospezione. La lotta contro gli abusi è sì un obiettivo importante, ma non di assoluta priorità: molti fallimenti non sono né abusivi né dovuti a negligenza e alle persone interessate dev’essere data una seconda opportunità. In occasione dell’attuazione di questa mozione andrà quindi posta particolare attenzione al mantenimento di un equilibrio ragionevole tra i diversi interessi in campo».
Poco importa se ciò implica il fatto che il fallimento possa essere usato da una fetta crescente di aziende come un mero strumento criminoso per assicurarsi profitti indebitamente conseguiti. In questo paese, l’impresa e la proprietà devono essere protette a qualsiasi prezzo. Sostanzialmente l’unica segnale di un intervento istituzionale è l’emissione di precetti esecutivi. In rari casi si procede oltre (1). I padroni hanno dunque capito che il rischio derivante dalle loro malversazioni è vicino allo zero: i precetti esecutivi per chi progetta di affondare una società carica di debiti, per poi ripartire con una nuova, sono come una puntura di zanzara sulla pelle di un elefante. Anzi, ancora meno. Detto altrimenti, questi padroni sanno di poter agire nella più totale impunità. In Svizzera e in Ticino, praticamente nessun ostacolo deve essere interposto all’azione imprenditoriale: né quando le imprese nascono, né quando si sviluppano e neppure quando muoiono.

Oltre i costi dei fallimenti anche sgravi fiscali alle imprese?

In sintesi, il regime legale ultra-liberale in materia di fallimenti è da ricondurre all’arsenale dei vantaggi concorrenziali di cui si è dotato, storicamente, il sistema capitalista elvetico. Detto altrimenti, il fatto che le imprese elvetiche possano fallire e risorgere dalle loro ceneri, non pagando il prezzo economico e sociale di queste manovre, non ha nulla di casuale ma è stato determinato dalla borghesia svizzera, per difendere i suoi interessi di classe. In questo senso, l’accondiscenda politica nei confronti dei fallimenti deve essere considerata come un ulteriore gigantesco aiuto statale indiretto nei confronti delle aziende e dai loro proprietari. I fallimenti rappresentano una sottrazione tollerata su larga scala di risorse finanziarie compiuta a danno dalla collettività – formata essenzialmente da lavoratrici e lavoratori- ma generata da un’infima minoranza, i padroni che non si pongono il benché minimo scrupolo nell’approfittare di questa ulteriore via per incrementare il loro tasso di profitto. Queste considerazioni andranno sottolineate quando prossimamente saremo chiamati a combattere l’ennesimo pacchetto di sgravi fiscali a favore delle imprese e dei grandi patrimoni. In questo frangente si dovranno anche ricordare i costi milionari generati dai fallimenti aziendali e scaricati sui cittadini salariati. Se magari la popolazione ticinese sarà già informata di quanto costano finanziariamente e socialmente i fallimenti aziendali, il suo atteggiamento nei confronti di nuovi aiuti diretti alle imprese potrà essere meno favorevole…

* Matteo Poretti, sindacalista Unia, riprende, dopo diversi anni, la propria collaborazione con Solidarietà e con l’MPS. Un ritorno che salutiamo con grande piacere.

1. Per esempio nel canton Zurigo sono stati registrate 1’749 liquidazioni di fallimenti nel 2014. Secondo il Ministero pubblico di Zurigo «soltanto pochi casi di fallimento sono perseguiti penalmente (meno di una decina all’anno per tutto il Cantone)», cfr. Rapporto esplicativo, Modifica della legge federale sulla esecuzione e sul fallimento (Fallimenti. Impedire gli abusi), 22 aprile 2015, p. 4.