di Paolo Gilardi
1.È un tentativo di colpo di stato direttamente ispirato dalla Casa Bianca che è, da più di 48 ore, in corso in Venezuela. È sotto gli auspici di un gruppo di paesi – dall’Argentina di Macrì, alla Colombia di Duquè passando dal Brasile di Bolsonaro – i cui rappresentanti si sono riuniti a Lima già nel 2017 per “trovare una soluzione alla crisi venezuelana” che il presidente del Parlamento, Juan Guaidò, del partito Voluntad Popular – partito membro dell’Internazionale cosiddetta Socialista – s’è autoproclamato il 23 gennaio “presidente legittimo” del Venezuela.
In risposta alla domanda formulata il 24 gennaio da Guaidò al segretario di stato Mike Pompeo di “continuare a stabilire delle azioni coordinate degli Stati e di organismi internazionali che permettano di riconoscere il governo transitorio da [lui] presieduto”, Washington, così come Brasilia, Bogotà, Buenos Aires ma anche Londra, ha riconosciuto la legittimità del presidente autoproclamato.
2. È un’importante partecipazione popolare alle manifestazioni dell’opposizione che dà un peso particolare, anche sul piano internazionale, al tentativo di colpo di stato, presentato come la sola via d’uscita possibile per la popolazione del Venezuela. D’altro canto, è da registrare l’esistenza di una mobilitazione popolare contro il golpe che però non ha la portata dirompente di quella che l’11 aprile del 2002 aveva stroncato, dopo sole 47 ore, il tentativo di deposizione di Chavez.
3. Sia la partecipazione popolare alle manifestazioni golpiste che l’insufficienza della mobilitazione degli strati più bassi della società contro la destra sono l’espressione della crisi alla quale la cricca dirigente attuale ha condotto il paese continuando a pagare il debito estero, a intrattenere buoni rapporti con le multinazionali – è a Goldman Sachs che la burocrazia che fa capo alla compagnia nazionalizzata del petrolio, la PdVSA, ha venduto nel 2017 l’equivalente di 2,8 miliardi di dollari di buoni della PdVSA… scontati del 70% – e riducendo sempre più gli spazi democratici e le conquiste del processo bolivariano.
Allo stremo, oggi, centinaia di migliaia di lavoratori, di poveri, sperano di poter trovare nel golpe ragioni per sperare in un domani migliore. Al contempo, altre centinaia di migliaia, coscienti del fatto che la vittoria dei golpisti potrebbe avere effetti drammatici, scendono in piazza sperando di poter bloccare il ritorno al potere delle destre.
4. Tale ritorno potrebbe dare inizio ad una repressione massiccia e a una serie di regolamenti di conti. In Venezuela, l’odio di classe dei possidenti contro i poveri, da sempre, non ha limiti. In questo frangente, è più forte che mai.
Private dal chavismo di privilegi a loro parere quasi divini, le classi dominanti venezuelane stanno coltivando un revanscismo che potrebbe, in caso di successo del golpe, tradursi in ampie misure di “dechavizzazione” della società: processi politici, normalizzazione dell’insegnamento, soppressione delle misure di protezione sociale e, evidentemente, programmi di aiuti ai più poveri in materia di alloggio, sanità ed educazione.
5. La cricca burocratica arroccata attorno a Nicolas Maduro ed al vero uomo forte del paese, l’ex ministro della difesa – e in quanto tale a beneficio dell’appoggio delle forze armate- e presidente dell’Assemblea costituente, Diosdado Cabello, non può rappresentare un’alternativa al golpe. Arricchitasi grazie all’accaparramento del potere, la casta burocratica ha fatto delle minacce di Trump e Pompeo un elemento unificante contro l’imperialismo yanqui. Ma non è in misura di rispondere ai bisogni fondamentali della popolazione, confrontata a penurie di ogni sorta, in parte organizzate dal padronato, in parte risultanti dagli sperperi della burocrazia.
6. Saranno capaci, la classe operaia e gli strati più poveri, plebei, della popolazione di trovare una via indipendente, né col golpe, né coi corrotti, per difendere i propri interessi, le conquiste del chavismo, i programmi ed i diritti sociali, l’indipendenza nazionale?
È l’opzione difesa dai compagni venezuelani di Marea Socialista, che sembrerebbe, ahinoi, un opzione alquanto minoritaria. In assenza di un tale ruolo indipendente dei lavoratori, il rischio di guerra civile potrebbe essere importante.
7. Sebbene Jaïr Bolsonaro dica di voler rinunciare, per il momento, ad un intervento militare in Venezuela, l’amministrazione Trump non ha escluso tale possibilità. La riorganizzazione di un asse delle destre autoritarie attorno ai presidenti continentali (il cileno Pineira, l’argentino Macri, il brasiliano Bolsonaro ed il colombiano Duquè) potrebbe strutturarsi attorno ad un tale intervento, camuffato all’inizio da motivi umanitari e democratici. Il revanscismo delle classi possidenti venezuelane potrebbe fungere da comune denominatore ideologico delle classi superiori di quei paesi nella misura in cui, dal Brasile all’Argentina, da Buenos Aires a Asuncion, l’odio contro i poveri è dilagante.
Si verrebbe a creare in questo caso una situazione gravissima per la regione: dopo le avventure militari che han messo a fuoco e a sangue il vicino ed il medio Oriente, una nuova regione del mondo, il nord del Sudamerica, verrebbe a correre il rischio di una lunga guerra sanguinaria.
8. Sono, queste, tutte ragioni per non cedere né alla propaganda borghese che ha fatto del Venezuela la nuova Corea del nord, né alle dichiarazioni sedicenti anti-imperialiste di Maduro e Cabello. È quanto spiega nell’intervista pubblicata su questo stesso sito a Gonzalo Gomes, di Marea socialista.
9. Ma perché ciò diventi possibile, la mobilitazione internazionale contro il golpe e le minacce d’intervento imperialista è indispensabile. Così come lo è quella contro la repressione che, in virtù della situazione attuale, il governo di Maduro cercherà probabilmente di intensificare.
Perché, se di fronte ad un possibile bagno di sangue la neutralità è complicità, non sarà certo la ricerca di un messia – per dipiù alleato di Putin e Erdogan- che permetterà ai proletari ed alle proletarie del Venezuela di resistere agli assalti delle destre. (25 gennaio 2019)
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