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Bisogna ammettere che ci sono alcune difficoltà nel mettere in atto queste sanzioni”.

Lo stiamo denunciando fin dall’inizio!
Dopo numerose critiche sulla reale volontà delle autorità svizzere di applicare rigorosamente le sanzioni decise nei confronti della Russia dopo l’aggressione armata contro l’Ucraina, la fotografia della realtà è impietosa.
Il Consiglio Federale decide di applicare le sanzioni dell’Unione Europea lo scorso 28 febbraio, con ritardo sull’Unione Europea che le introduce a partire dal 23 febbraio. Pochi giorni, ma sufficienti per muovere capitali, avviare procedure di cambio intestazione di conti, imprese, … Nessuno meglio degli oligarchi russi è pronto e attrezzato per questo tipo di operazioni.
E infatti, dopo ormai otto mesi di guerra, apprendiamo dalla sede ticinese della Camera di commercio Svizzera-Europa Orientale che fin dall’inizio le banche hanno invitato i residenti potenzialmente interessati dalle sanzioni a “chiudere proprio tout court i conti bancari, di spostarsi verso altre banche”. (L. Moretti, rappresentante Camera Commercio Svizzera-Europa Orientale).
Ufficialmente, per bocca delle autorità politiche, bisognava prima chiarire se da un punto di vista giuridico le sanzioni fossero compatibili con lo statuto di neutralità della Svizzera.
Ora è chiaro a tutti perché questa posizione attendista.
A più riprese i comitati di solidarietà con il popolo ucraino e contro la guerra hanno denunciato queste, chiamiamole, indecisioni.  Non solo, pure la politica ufficiale ha criticato il Consiglio Federale per la poca determinazione con la quale le sanzioni sono state applicate (Delegazione delle Commissioni della gestione, organo di vigilanza del Parlamento federale, aprile 2022).
Attualmente, secondo la SECO, circa 1’300 persone fisiche e aziende sono coinvolte dalle sanzioni e i beni congelati ammontano a circa 6,7 miliardi di franchi e dallo scorso 7 luglio questo ammontare non è cambiato. Ora sappiamo, per ammissione della società svizzera dei banchieri, che nelle banche svizzere ci sono tra 150 e 200 miliardi di franchi svizzeri appartenenti a cittadini russi e questo dato stride con la parte realmente sanzionata.
Per un esperto universitario di diritto penale e di anticorruzione, Mark Pieth, è chiaro che ci sono state delle difficoltà nell’applicare le sanzioni ed è altrettanto chiaro che non è facile reperire i fondi e bloccare la pratica delle società bucalettere.
Questa pratica consiste nell’avere un indirizzo ma non un’attività reale. Dietro questi indirizzi potrebbero esserci pratiche finanziarie truffaldine organizzate da persone che cercano una protezione e che rendano complicata la loro individuazione. Un’indagine della ONG Public Eye, lo scorso ottobre 2021, aveva indicato per il solo Canton Ticino, la presenza di circa 9’800 società di questo tipo, mentre erano circa 33’000 a livello nazionale.
Evidentemente tutto questo sistema aiuta gli oligarchi a nascondere molto bene i propri denari. E questo sistema non cade dal cielo, non è così per volontà divina, ma frutto di scelte politiche ben precise da parte della politica istituzionale. La stessa, per intenderci, che si reca a Kiev per stringere le mani di Zelensky e per garantire al popolo ucraino solidarietà e vicinanza.
E questo malandazzo, purtroppo, continua a ripetersi. Negli scorsi giorni si è diffusa la notizia, rivelata dal Wall Street Journal e in Ticino da Naufraghi, che una raffineria targata svizzera, ma di proprietà russa, riesce ad aggirare le sanzioni grazie ad una triangolazione tra Russia, Italia e Stati Uniti. La raffineria italiana in questione è la Lukoil, provincia di Siracusa, maggiore stabilimento del settore in Italia, controllata dalla svizzera Litasco SA, a sua volta parte della russa Lukoil, tra le più importanti società petrolifere russe.
L’abbiamo detto molte volte che il miglior modo per aiutare il popolo ucraino è quello di applicare rigorosamente le sanzioni. Una parte delle ricchezze degli oligarchi in Svizzera rientra in Russia, prendendo la forma di imposte, tasse varie, donazioni. Molti di questi oligarchi devono direttamente a Putin gran parte delle loro fortune, spesso iniziate con il saccheggio di beni pubblici avvenuto alla dissoluzione dell’URSS e continuato negli anni successivi. Molti oligarchi hanno in Russia parte delle loro ricchezze e affetti: aziende, immobili, terreni, familiari, amici. La fedeltà al regime putiniano di gran parte di loro non è dunque in discussione. Ecco perché una stretta sull’applicazione delle sanzioni si impone finalmente.
Scandalosa è pure la vicenda dell’oligarca Potanin (telegiornale TSI del 4.11.2022 e Agathe Duparc, ONG Public Eye,), forse l’uomo più ricco di Russia con una ricchezza stimata a circa 26 miliardi di dollari. Questo “re del nickel”, con un passato politico di altissimo rango, era vicepremier nell’era di Yeltsin, ora vicino a Putin, non figura nella lista delle persone sanzionate in Svizzera, né in Europa, né negli Stati Uniti. Il nickel e il palladio sono essenziali per le batterie elettriche delle auto e per l’elettronica in generale. Potanin in questo settore detiene praticamente una sorta di monopolio mondiale e figura come principale azionista del gigante Nornickel. Una filiale di Nornickel, denominata Metal Trade Overseas AG, ha la sede a Zugo. Il motivo per cui Potanin non è stato sanzionato è che Europa e Stati Uniti acquistano complessivamente il 70% del loro fabbisogno da questo oligarca. Quindi, anche se incredibile, nessuna sanzione! Nel frattempo, per ammissione dello stesso Potanin, è in fase avanzata la diversificazione delle sue forniture verso l’Asia.
Come ha denunciato il Comitato ticinese contro la guerra lo scorso mese, in concomitanza con i dati scandalosi sul commercio record di oro russo in Svizzera ad agosto,  questa situazione non fa che aiutare economicamente la Russia di Putin, allontanando la fine della guerra. Le casse pubbliche della Russia sono la fonte principale per finanziare l’aggressione all’Ucraina e ogni moneta che si aggiunge non farà che prolungare le sofferenze della popolazione civile, ucraina e russa.
Da qualche settimana i settori che più hanno ostacolato, e continuano a farlo, le sanzioni contro la Russia di Putin, cercano di riportare sulla scena il solito tema della neutralità. Questi settori, la destra economica/finanziaria e qualche nostalgico stalinista, tentano di spostare il dibattito su questo tema come via di fuga da una situazione imbarazzante. Se fino al 23 febbraio era stato possibile disquisire sulle sanzioni e sulla situazione politico/militare dell’Ucraina (tutto l’Occidente aveva di fatto rinunciato a sanzioni vere), dopo l’invasione la situazione è radicalmente mutata. Perfino i cinesi se ne sono accorti e, seppur da alleati strategici di Putin, non nascondono la loro irritazione per la decisione di aggredire militarmente uno Stato sovrano come l’Ucraina con le ricadute internazionali che ne derivano.
Questo tentativo si concretizzerà con il lancio di un’iniziativa targata UDC e, almeno in Ticino, con la richiesta al comitato promotore, da parte di qualche nostalgico stalinista, di poter salire sul carro. Staremo a vedere.
Da parte nostra continueremo a sostenere che l’unico modo per fermare la guerra è l’abbandono dei soldati russi del territorio ucraino e una Svizzera che faccia decisamente la sua parte applicando rigorosamente le sanzioni adottate dal Consiglio Federale.
Invitiamo di nuovo interessate ed interessati a partecipare alle riunioni del Comitato ticinese contro la guerra e contro il riarmo e alle sue attività, segnalandovi al seguente indirizzo mail: ticinonoallaguerra@gmail.com.