L’estrema destra europea nel suo labirinto

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Le ultime elezioni al Parlamento europeo hanno mostrato una chiara crescita delle forze di estrema destra. Tuttavia, le loro divergenze hanno impedito la costruzione di un blocco unificato. Quali sono le linee di tensione? Quali riconfigurazioni sono state effettuate in vista della nuova legislatura? Come stanno trasformando l’Unione Europea dall’interno?

Nelle recenti elezioni europee l’estrema destra ha ottenuto un risultato storico. Il 18 luglio, però, Ursula von der Leyen è stata confermata presidente della Commissione per altri cinque anni, con ciò attestando come, nonostante i loro tentativi, le varie forze dell‘estrema destra non siano riuscite a far saltare la tradizionale coalizione europea tra popolari, socialdemocratici e liberali (ora allargata anche ai Verdi), né tantomeno a dare vita ad una maggioranza alternativa assieme al Partito popolare europeo (PPE), cacciando all’opposizione il PS. 

Ma resta innegabile che, in termini di numero di voti e di seggi, l’estrema destra ha stabilito un record nelle elezioni dello scorso 9 giugno: sommando tutte le formazioni di estrema destra dei 27 paesi membri, si arriva a sfiorare il 25% dei voti e quasi 200 deputati (su 720), quando 20 anni fa la stessa famiglia politica superava appena il 10% e 40 anni fa, nel 1984, non arrivava nemmeno al 4%. Inoltre, l’estrema destra è risultata la prima forza in sei paesi (FranciaItaliaUngheria AustriaBelgio Slovenia) e la seconda in altri sei (GermaniaPoloniaOlandaRomaniaRepubblica Ceca e Slovacchia). Si tratta dunque ormai di forze ampiamente entrate nelle “stanze dei bottoni” e dalle quali sarà estremamente difficile sloggiarle.

L’estrema destra è sempre stata divisa e la sua configurazione a livello europeo è sempre stata attraversata da profonde convulsioni, anche se la sua crescita durante tutti questi anni ne ha però ulteriormente stimolato le rivalità interne, a causa della concorrenza tra le varie leadership e grazie anche a diverse visioni geopolitiche.

All’inizio, nel 1984, quando poteva contare solo su una manciata di deputati (17 per l’esattezza), fece di necessità virtù, costituendo un gruppo unico (Gruppo delle Destre Europee), mettendo insieme i rappresentanti del Fronte Nazionale francese (FN) di Jean-Marie Le Pen, quelli del Movimento sociale italiano (MSI) di Giorgio Almirante, più un deputato nordirlandese filobritannico e il rappresentante del partito greco fondato da Georgios Papadopoulos, l’ex capo della giunta dei colonnelli che governò la Grecia tra il 1967 e il 1974. 

Ma nei decenni successivi la vita degli eurodeputati di estrema destra fu molto più travagliata, sia perché segnata da ulteriori adesioni (le diverse formazioni neonaziste tedesche, il Blocco Fiammingo), sia perché, non essendo più una forza del tutto marginale e fuorigioco, aveva sempre più necessità di definire una propria linea politica. Inoltre, dopo il crollo del blocco sovietico, l’Unione europea andò progressivamente allargandosi, con l’ingresso di Austria, Finlandia e Svezia nel 1995, e, successivamente, di altri 13 paesi, provenienti dall’Est del continente. 

Nel frattempo, tutta l’Europa (come d’altronde anche il resto del mondo) veniva investita dalla controrivoluzione neoliberale che tra l’altro trasformò il PPE democristiano nel perno continentale della “nuova” politica capitalista. Il Partito conservatore britannico, allora vicino al PPE, cominciò a distaccarsene sotto la pressione dell’euroscetticismo crescente oltre Manica, tanto da arrivare nel 2009 a dare vita al gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), con il PiS polacco e il Partito Civico Democratico ceco (ODS). 

Dunque il gruppo ECR nasce come una costola euroscettica del PPE, ma conosce nel periodo successivo un rapido e marcato processo di ulteriore radicalizzazione, parallelamente all’imporsi dell’opzione Brexit tra gli stessi conservatori britannici. In quel periodo, il principale sostenitore della Brexit, Nigel Farage dello United Kingdom Independence Party (UKIP) promosse la formazione di un nuovo gruppo all’europarlamento, che assume il nome di Europa della Libertà e della Democrazie (2009), a cui aderirono anche la Lega Nord e numerose altre formazioni demagogiche e “sovraniste” di altri 10 paesi, passando da un totale di 34 deputati nel 2009 a uno di 61 nel 2019.

Ricordiamo che nell’agitata vicenda dei gruppi dell’estrema destra dell’europarlamento va registrata anche l’adesione nel 2014 dei 15 parlamentari grillini del Movimento 5 Stelle (“né di destra né di sinistra”) al gruppo diretto da Nigel Farage, assieme i neonazisti “Democratici” Svedesi, al Partito ceco dei Liberi Cittadini, al partito lettone dell’Unione dei Verdi e degli Agricoltori e ed altri esponenti di altre piccole formazioni reazionarie.

Nel frattempo il gruppo ECR appariva quello più solido e più organizzato e, soprattutto, quello più “presentabile” e “rispettabile” al confronto degli altri gruppi di estrema destra, vista la presenza dei conservatori britannici. Così, riusciva a conquistare e integrare altre formazioni in cerca di una legittimazione politica e di una riverniciatura sopra la loro storia più o meno marcatamente neofascista: i neonazisti dei “Democratici” svedesi, la formazione spagnola neofranchista di Vox Fratelli d’Italia, erede del MSI.  

Ma la “copertura” dei tories inglesi viene ben presto a mancare, quando nel gennaio 2020 scatta la Brexit e tutti i deputati britannici lasciano l’europarlamento. Allo stesso tempo, l’estrema destra continentale era cresciuta in volume, soprattutto in due paesi fondatori dell’Unione come Italia, con il 34,3% alla Lega di Salvini, e Francia, con il 23,3% al Rassemblement national di Marine Le Pen, che danno vita al nuovo gruppo Identità e Democrazia (ID), con con il progetto di unificare l’estrema destra, e puntando a “cannibalizzare” anche l’ECR, indebolito dall’uscita degli inglesi. Al gruppo aderirono i tedeschi dell’Alternative für Deutschland (AfD), gli austriaci del Freiheitliche Partei Österreichs (FPÖ), il Partito della Libertà olandese, il Blocco fiammingo, i portoghesi del Chega e altre formazioni dell’Est e scandinave. 

Ma sul tavolo restavano le divergenze politiche e geopoliticheatlantista l’ECR, chi per convinzione e per ragioni storiche, come i polacchi del PiS, chi per pragmatismo, come Meloni o i Democratici svedesi, mentre l’ID russofilo e anche molto critico nei confronti del rapporto con la NATO (Salvini si era recato innumerevoli volte a Mosca e aveva spesso indicato Vladimir Putin come un modello e il partito di Le Pen aveva ricevuto diversi milioni di euro da una banca legata al Cremlino; tutti erano contrari alle sanzioni contro la Russia dopo l’annessione della Crimea).  

Ma l’invasione russa dell’Ucraina del febbraio 2022 ha messo nei guai l’ID, consentendo all’ECR di presentarsi come un partito accettabile, persino antirusso e sensibile alla “difesa dell’Occidente”. Essere atlantista sembrava – e sembra tuttora – una caratteristica in grado di cancellare con un tratto di penna tutti gli altri elementi che potevano far considerare queste forze politiche estremiste e antidemocratiche. 

Naturalmente, quello di Giorgia Meloni, arrivata al governo in Italia nell’ottobre del 2022, è un esempio paradigmatico. Ma qualcosa di simile, con la legittimazione di forze postfasciste a forze di governo è accaduto anche in Repubblica Ceca, in Svezia e in Finlandia. Nel PPE, persino il suo presidente, il tedesco Manfred Weber, ha tramato per stringere un’alleanza stabile con l’ECR al fine di escludere, dopo le elezioni del 2024, i socialisti dalla coalizione di maggioranza dell’Unione europea. 

Ma la sconfitta del PP e di Vox in Spagna alle elezioni del luglio 2023 e quella del PiS in Polonia pochi mesi dopo hanno modificato i termini della questione. Comunque l’influenza su Von der Leyen da parte di Giorgia Meloni, per la sua forza elettorale e per la sua posizione di governo in Italia, uno dei paesi fondatori della UE, resta molto forte. E se ne sono constatate le conseguenze in parecchi provvedimenti dell’ultima parte della precedente eurolegislatura (Patto sui migranti, cancellazione di gran parte delle misure a difesa dell’ambiente, ecc.).

Ma, dopo il voto del 9 giugno, la situazione è cambiata ulteriormente.

Già a metà maggio, a Madrid si è tenuto il meeting centrale della campagna ECR per le europee, organizzato da Vox, con la partecipazione, oltre che Santiago Abascal, il capo di Vox, del polacco Mateusz Morawiecki, del ministro del governo israeliano Amichai Chikli, del Likud, “partner extracontinentale” dell’ECR, dell’argentino Javier Milei, del cileno José Antonio Kast e di alcuni repubblicani americani trumpisti, ma anche di esponenti di Identità e Democrazia (ID), come il portoghese André Ventura (Chega) e, soprattutto, di Marine Le Pen e di Orbán. Pochi giorni dopo, Le Pen e Salvini hanno deciso di espellere l’AfD tedesca dall’ID, con il pretesto di dichiarazioni del suo leader, Maximilian Krah, negazioniste sui crimini delle SS naziste.  

E’ molto probabilmente in quella sede che è stato stipulato il patto che ha portato alla nuova configurazione dell’estrema destra continentale. Il 30 giugno, approfittando anche dell’inizio della presidenza ungherese del Consiglio europeo, sotto l’auspicio del motto di ispirazione trumpiana “Make Europe Great Again”, Orbán ha annunciato la creazione di un nuovo gruppo, Patriots for Europe (PfE), a cui aderiscono, oltre agli ungheresi di Fidesz, i cechi dell’Alleanza dei cittadini insoddisfatti (ANO, ex del gruppo liberale Renew Europe), gli austriaci del FPÖ, i belgi fiamminghi del Vlaams Belang, i danesi del Partito Popolare, i francesi del Rassemblement National, l’eurodeputato greco della “Voce della Ragione”, la Lega italiana, l’eurodeputato di “Prima la Lettonia”, gli olandesi del Partito per la Libertà, i portoghesi di Chega!, e gli spagnoli di Vox, per un totale di 84 parlamentari.

Nonostante il “tradimento” di alcuni gruppi nazionali, l’ECR, pur diventando il secondo gruppo dell’estrema destra, mantiene comunque 78 parlamentari, mettendo insieme, oltre a Fratelli d’Italia, i polacchi di Diritto e Giustizia (PiS), la Nuova Alleanza FiammingaSoluzione Greca, i lettoni di Alleanza Nazionale, i cechi del Partito Democratico Civico, l’Alleanza per l’Unione dei Rumeni, l’Unione dei Contadini e dei Verdi di Lituania, i Democratici Svedesi, il deputato bulgaro di “C’è un Popolo come Questo”, quello croato del Movimento Patriottico, quello cipriota di ELAM (Fronte Popolare Nazionale), il danese dei “Democratici”, quello dei “Veri Finlandesi”, quello lituano dell’Alleanza delle Famiglie Cristiane, l’olandese del Partito Politico Riformato, più 4 deputati francesi di Reconquête!

Questa nuova geografia ha clamorosamente smentito le indiscrezioni che davano Orbàn in procinto di aderire all’ECR, cosa poco credibile viste le posizioni filo-putiniane del leader ungherese e dunque poco compatibili con quelle atlantiste dell’ECR. Si dice che Giorgia Meloni sia caduta dalle nuvole quando Abascal glielo avrebbe preannunciato. E, a proposito di Vox, il suo repentino passaggio dall’ECR al nuovo gruppo guidato da Orbàn, dimostra quanto il loro “filoccidentalismo” sia profondamente strumentale. 

Questo rimescolamento ha portato alla formazione di un terzo gruppo, l’ESN (Europa delle Nazioni Sovrane), con 25 deputati aderenti, promosso dai tedeschi di AfD assieme ai bulgari di Vazrazhdane (Rinascita), ai polacchi di Nowa Nadzieja (Nuova speranza), al lituano di Tautos ir teisingumo sąjunga (Unione del Popolo e della Giustizia), al ceco di Svoboda a přímá demokracie (Libertà e Democrazia Diretta), allo slovacco di “Repubblica”, all’ungherese di Mi Hazánk Mozgalom (Movimento Nostra Patria, una scissione estremista di Jobbik), oltre a un deputato francese dissidente della lista Reconquête.

Ancora più a destra di questo terzo gruppo ci sono alcuni deputati non aderenti ad alcun gruppo: l’ex  capolista dell’AfD, Maximilian Krah (quello dello scandalo per le dichiarazioni filo-SS), tre membri della Confederazione polacca, tre spagnoli della lista Se Acabó la Fiesta (una lista antipolitica e cospirazionista esplicitamente di estrema destra, guidata dall’influencer “Alvise” Pérez) e due deputati di SOS Romania, la cui leader, Diana Șoșoacă, è stata espulsa dall’aula del parlamento europeo il giorno del voto per Von der Leyen per aver insultato la presidente quando, nel suo discorso programmatico, si era riferita al diritto all’aborto, gridando con una museruola in faccia, mostrando un quadro con Cristo e la Vergine e invitando a purificare il parlamento europeo dall’influenza del diavolo (nella foto qui a fianco appena espulsa dall’aula).  

Dunque, una destra sempre più forte, non più marginale ma insediata in posizioni di potere, influente seppure divisa nelle posizioni politiche, tra l’ECR, in qualche modo ormai accettato come interlocutore politico, mentre i “Patrioti” sono i più forti ma, vista la débacle di Bardella nel secondo turno delle legislative francesi, ancora privi di accesso a posti di governo rilevanti (a parte l’Ungheria) e una destra estrema, attorno ai tedeschi dell’AfD, adunata in un gruppo raccogliticcio, più per i fondi e la visibilità concessi ai gruppi parlamentari, piuttosto che perché detentrice di un progetto.  

Queste divisioni si ricomporranno ogni volta che a Strasburgo si presenteranno temi per loro “fondanti”, come la “difesa dei valori cristiani”, il rifiuto dell’immigrazione, o contro i cambiamenti climatici, così come hanno già fatto negli ultimi anni. Votando tutti contro Von der Leyen, al fine di denunciare l’impostazione “di sinistra” delle politiche europee, ma sempre pronti a trattare con lei per ottenere qualcosa utile alle loro basi elettorali e a far crescere il loro consenso popolare. 

Il tutto in attesa delle presidenziali americane di novembre, che potrebbero sconvolgere non poco l’assetto geopolitico e i loro diversi posizionamenti, consentendo loro di nuovo di mostrarsi come un’unica grande famiglia politica.

*articolo apparso il 27 luglio 2024 su blog https://andream94.wordpress.com/

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