La giornata delle elezioni presidenziali del 28 luglio si è conclusa con un’immensa delusione per la stragrande maggioranza del popolo venezuelano. Poco dopo la mezzanotte, il Consiglio nazionale elettorale (CNE) ha emesso un comunicato che proclamava vincitore Nicolás Maduro, anche se il presidente del CNE, Elvis Almoroso, aveva annunciato che questo risultato si basava solo sull’80% dei verbali esaminati [1]. Tuttavia, questo comunicato mostra uno scarto di soli 704’114 voti tra Maduro ed Edmundo González Urrutia, il che significa che il restante 20% di verbali (secondo Almoroso), che corrisponderebbe a 2.514.694 voti, potrebbe benissimo modificare l’esito finale: contrariamente a quanto afferma il governo, il comunicato del CNE di lunedì 29 luglio che proclama la rielezione del presidente Maduro non si basa su una “tendenza irreversibile”, anzi. La proclamazione del CNE è stata quindi del tutto illegale, poiché i dati forniti non dimostrano che Maduro ha vinto le elezioni.
Inoltre, contrariamente al protocollo in vigore, e come denunciato dal candidato Enrique Márquez del partito Centrados en la Gente, questa dichiarazione non si basa sul rapporto della commissione tecnica del CNE, confermato da testimoni e rappresentanti dei candidati in corsa, né è stato da loro avallato. Peggio ancora, Elvis Amoroso ha confermato Nicolás Maduro come presidente eletto senza aver prima prodotto i rapporti ufficiali dei totali dei voti e la proclamazione del risultato finale, in completa violazione delle procedure più elementari per garantire la legittimità del candidato dichiarato vincitore.
Finché il 100% dei protocolli su cui il CNE afferma di basarsi non sono stati conteggiati, né corroborati dai protocolli stampati dalle macchine per votare e recuperati dai testimoni del candidato dell’opposizione Edmundo González Urrutia, il CNE non può stabilire chi sia il vincitore di queste elezioni presidenziali. Tanto più che l’opposizione, che ora è in possesso del 73% dei rapporti delle macchine elettorali, ha presentato risultati che mostrano Edmundo González come vincitore con più del doppio dei voti rispetto a Nicolás Maduro. In queste circostanze, è fondamentale che il CNE faciliti una verifica trasparente del voto e pubblichi senza indugio i risultati dettagliati per ogni Stato, comune, settore, seggio elettorale e macchina elettorale.
È altrettanto preoccupante che il candidato Enrique Márquez abbia denunciato lunedì che il comunicato iniziale emesso dallo scrutinio iniziale riportato da Elvis Amoroso la notte delle elezioni non proveniva dalla sala di tabulazione dei voti, ed era quindi totalmente irregolare. Questo nonostante il CNE abbia sospeso il processo di trasmissione dei verbali dai seggi al centro di tabulazione dei voti alle 19 di domenica e abbia espulso i testimoni dell’opposizione sia dalla sede nazionale del CNE che da un gran numero di seggi.
Il popolo venezuelano, sia all’interno che all’esterno del Paese, era ben consapevole che non avrebbe partecipato a un’elezione pienamente democratica e competitiva. Oltre ai divieti arbitrari nei confronti di alcuni candidati e all’esistenza di prigionieri politici [N.d.T.: un centinaio di detenzioni arbitrarie nel bel mezzo della campagna elettorale, tra sostenitori del candidato E. González e membri della sua squadra], c’è stata tutta una serie di manipolazioni “tecniche” come lo spostamento unilaterale di elettori da una circoscrizione o da un seggio elettorale all’altro alla vigilia del voto, la riduzione del numero di seggi e l’invio di macchinari difettosi ai seggi per rallentare il processo e scoraggiare gli elettori, il rifiuto di un’osservazione internazionale plurale e credibile, l’ostruzione del lavoro dei testimoni elettorali [N.d.T.: dall’installazione dei seggi alla loro chiusura e alla consegna dei verbali], il blocco dell’iscrizione al Registro elettorale permanente dei venezuelani emigrati all’estero [N.d.T.: tra i 4 e i 5 milioni di elettori, su circa 7 milioni di emigrati]. Queste sono solo alcune delle tattiche utilizzate dal partito-stato e dalle autorità elettorali sotto il suo controllo per aggrapparsi illegittimamente al potere, cosa avvenuta sotto gli occhi del Paese e del resto del mondo nella notte tra il 28 e il 29 luglio. Nemmeno le dittature argentina e cilena, le più crudeli dell’America Latina del XX° secolo, hanno rischiato frodi elettorali di tale portata quando le loro élite di governo hanno organizzato le elezioni che hanno garantito, rispettivamente, la vittoria di Raul Alfonsín nel 1983 e la partenza di Augusto Pinochet nel 1988.
La grande giornata civica, a cui ha partecipato circa il 57% dell’elettorato, non è consistita solo nell’esercizio del diritto di voto, ma anche in una grande mobilitazione della società, autonoma e indipendente, autoconvocata senza alcun apparato di partito o risorse proprie, in mezzo a persecuzioni, ricatti, minacce e all’ormai abituale detenzione di persone la cui unica colpa è stata quella di esercitare i diritti sanciti dalla Costituzione [N.d.T.: circa 1.000 persone al 31/07]. Per chi avesse ancora dei dubbi, stiamo assistendo al consolidamento di un regime autocratico, socialmente e politicamente illegittimo, ma che non ammetterà mai la sconfitta. Infatti, la diffusa miseria e l’impoverimento della vita quotidiana, il decadimento dei servizi pubblici e la totale abolizione del diritto del lavoro e della previdenza sociale di cui è responsabile il governo neoliberista di Nicolás Maduro hanno fatto sì che non possa contare su un sostanziale sostegno popolare. È folle immaginare che una società che ha visto l’esodo di quasi il 30% della sua popolazione a causa della più grave crisi economica (che ha preceduto le sanzioni internazionali contro il Venezuela, che hanno peggiorato la situazione), la sistematica repressione e persecuzione delle voci dissenzienti e la scarsità di cibo, possa aver dato un assegno in bianco ai suoi carnefici offrendogli il proprio voto. Questo è un mito a cui credono solo coloro che sono al potere e che credono di avere il “diritto naturale di governare” ignorando la volontà del popolo.
Poche ore dopo il mancato riconoscimento della volontà popolare da parte del governo e del CNE, da esso controllato, ha preso le mosse un enorme movimento di piazza in tutto il Paese per rifiutare lo status quo, in particolare nei settori della classe operaia che un tempo erano roccaforti chaviste. Questi settori sono stati duramente repressi sia dalle forze di sicurezza dello Stato, sia da funzionari in borghese, aggiungendosi a una lunga serie di massicce violazioni dei diritti umani della popolazione. Solo nelle prime dodici ore di proteste, l’Osservatorio venezuelano dei conflitti ha contato circa 187 manifestazioni in 20 Stati diversi. Non c’è motivo di contrapporre la mobilitazione elettorale alla protesta sociale. Esortiamo quindi la polizia e i militari a rispettare i diritti costituzionali dei cittadini, in particolare il diritto alla manifestazione pacifica, alla libertà personale, all’integrità fisica e della vita.
Le varie forze politiche di opposizione hanno una grande responsabilità: quella di costruire uno spazio ampio e plurale a favore del cambiamento, riunendo tutti coloro che si battono per la reistituzionalizzazione del Paese, al fine di garantire le condizioni politiche minime e costruire un programma praticabile per uscire dalla grave crisi umanitaria di cui soffre il Paese. Abbiamo a che fare con uno Stato criminale che perseguita costantemente i suoi critici e crea “nemici” per continuare a distogliere l’attenzione dalla propria cattiva gestione. Lo slancio trasformativo e l’entusiasmo che avete sperimentato in questi mesi di campagna, insieme alle lotte dignitose e tenaci di una serie di organizzazioni di lavoratori come insegnanti, infermieri, lavoratori dell’acciaio e del petrolio (tra gli altri), devono costituire la base di un ampio fronte sociale e politico antifascista e antidittatoriale che permetta di organizzare una mobilitazione a favore di un riconteggio o di una verifica dei risultati delle elezioni del 28 luglio, in linea con quanto richiesto anche da governi come quelli del Brasile e del Cile e, successivamente, della Colombia e del Brasile [N.d.T.: nel frattempo anche Colombia e Messico], con la partecipazione degli unici gruppi di osservazione internazionali degni di questo nome che hanno potuto assistere al voto: il Carter Center e la Missione delle Nazioni Unite.
La storia di 200 anni di lotte di liberazione del popolo venezuelano non può più essere calpestata. La forza di questo popolo, le sue speranze, la sua gioia e la sua solidarietà devono essere il motore di azioni capaci di costruire una via d’uscita praticabile di fronte a un potere totalitario la cui unica forza è la repressione. Oggi è chiaro che la paura è cambiata e che tutti sanno in cuor loro che i risultati annunciati dal CNE non corrispondono in alcun modo alla volontà popolare espressa nelle urne. L’unità di tutti gli attori politici e sociali a favore del cambiamento sarà fondamentale. Non è il momento di aspettare un miracolo o un messia, ma di difendere il nostro voto con tutti i documenti che sono stati recuperati dopo lo scrutinio e di costruire un fronte unito a tal fine.
Testo pubblicato sul sito www.aporrea.org il 30 luglio 2024. Per vedere l’elenco dei firmatari venezuelani di questo appello, cliccare su questo link: https://www.aporrea.org/medios/a332970.html
[1] Le Monde del 2 agosto, descrive così le procedure di voto e la raccolta dei verbali di voto: “Gli elettori votano su uno schermo, la macchina registra la loro scelta e rilascia una scheda cartacea, che viene inserita in un’urna. Quando i seggi chiudono, le macchine trasmettono i dati alla “sala di totalizzazione” del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) di Caracas. A questo punto viene rilasciata una striscia di carta – nota come “chorizo” nel gergo elettorale – contenente i risultati stampati. Una volta firmata dai membri dell’ufficio di presidenza, la striscia diventa il “verbale” e i testimoni presenti dei partiti politici ne ricevono una copia“. (N.d.T.)