Ho studiato l’islamofobia in Gran Bretagna per oltre un quarto di secolo, mi è chiaro quindi che l’attuale violenza nelle strade britanniche ne è una concreta illustrazione.
Questo è stato chiaro fin dalla prima esplosione di violenza, subito dopo una veglia pacifica per le tre ragazze accoltellate mortalmente in un attacco a Southport. Un gruppo di alcune centinaia di persone ha iniziato a lanciare bottiglie e mattoni contro la polizia. Ha poi indirizzato la sua rabbia verso la moschea locale e contro chi vi si trovava all’interno e alcuni che hanno persino tentato di darle fuoco.
Il fatto che i musulmani siano stati presi di mira è stato inizialmente attribuito alla disinformazione sui social media, che sostenevano che il colpevole fosse un musulmano arrivato su una piccola barca l’anno prima. Entrambe le affermazioni sono state smentite, ma i musulmani e le moschee continuano a essere presi di mira dalle violenze in tutto il paese, così come le strutture che ospitano i migranti.
I politici hanno evitato di parlare di islamofobia, descrivendo invece la violenza come “teppismo di estrema destra” e “proteste anti-immigrazione”. Invece l’islamofobia e il sentimento anti-immigrazione sono stati una consuetudine per l’estrema destra britannica fin dall’inizio del secolo.
A partire dal British National Party – un partito politico di estrema destra che ha avuto un successo elettorale senza precedenti nelle elezioni comunali dei primi anni 2000 – una simile traiettoria ideologica può essere tracciata attraverso una serie di movimenti di strada di estrema destra emersi tra il 2009 e il 2018. Tra questi, la English Defence League (EDL) intorno al 2010, il Britain First, la Football Lads Alliance e la Democratic Football Lads Alliance.
Questi gruppi hanno incarnato l’ideologia razzista sviluppandola attorno all’idea di “difesa”. Inizialmente con l’idea di difendersi da una minaccia rappresentata dagli “estremisti” musulmani, anche se spesso questo concetto è stato esteso a tutti i musulmani. Più recentemente, i gruppi di estrema destra si sono mobilitati per difendere la libertà di parola e le “nostre” donne e ragazze dalle “bande di adescatori”. Alla base di tutto questo c’è il desiderio di difendere il “nostro” paese, il “nostro stile di vita e la “nostra” cultura dalla minaccia di altri nemici.
Ciò appare evidente nelle attività del gruppo di estrema destra Britain First. Sostenendo di rappresentare “la prima linea della resistenza all’islamizzazione della Gran Bretagna”, questo gruppo tende a sovrapporre quella che sostengono essere una minaccia rappresentata dai musulmani con quella rappresentata dall’”immigrazione illegale”. Il gruppo ha iniziato a pattugliare le spiagge vicino alla Manica con l’intento di impedire ai musulmani “illegali” di entrare nel paese.
Oggi, per l’estrema destra britannica, musulmani e immigrati, in particolare i richiedenti asilo provenienti dal Medio Oriente, rappresentano due facce dello stesso problema. Ma si tratta di una sovrapposizione di aspetti che non è avvenuta nel vuoto.
Gran parte della retorica dell’estrema destra su musulmani e immigrati è stata diffusa di diversi rappresentanti della classe politica tradizionale. E per rendersene conto basterà osservare le somiglianze tra il linguaggio usato nelle rivolte in corso e la retorica usata dai rappresentanti politici. Alcuni gridano “stop ai barconi”: è stato il leit motiv della politica dell’ex primo ministro Rishi Sunak sull’immigrazione irregolare.
Il disprezzo dei musulmani e delle loro comunità è stato sempre più considerato un atteggiamento “normale” sia dal partito laburista che da quello conservatore, sia dell’Ukip e da Reform UK. La baronessa Sayeeda Warsi ha parlato di islamofobia che ha superato il “test della conversazione a tavola”, cioè laddove la gente comune afferma sui musulmani e alla presenza di altre persone che non direbbe mai su altre comunità minoritarie.
Tutto ciò è ancora in parte il retaggio la retorica tossica sviluppata nella campagna per la Brexit, che ha continuato a condizionare, in materia di immigrazione, l’opinione delle classi popolari e che è proseguita fino alle recenti elezioni politiche.
Nel corso degli anni, ampi settori dell’opinione pubblica sono diventati ricettivi a questa retorica, all’islamofobia (compresi i messaggi di estrema destra) e alla demonizzazione dei migranti. I politici di ogni schieramento hanno favorito questo fenomeno evitando di discutere esplicitamente di islamofobia.
Quella parola con la “I”
Nei suoi commenti ai disordini, Keir Starmer così si è rivolto ai musulmani: “Farò ogni passo possibile per tenervi al sicuro”. E ha aggiunto: “Qualunque sia la motivazione apparente… non tollereremo attacchi alle moschee o alle nostre comunità musulmane“.
Non è sicuramente l’islamofobia la “motivazione apparente”?
Lo hanno sottolineato sia la deputata Zarah Sultana che la segretaria generale del Muslim Council of Britain, Zara Mohammed. Per loro, la motivazione è chiara e inequivocabile, ed entrambe avrebbero voluto che il primo ministro la indicasse per quello che è.
La scelta di Starmer di non usare la “parola con la I” non è affatto sorprendente. Le ricerche che ho svolto in questi anni hanno ripetutamente dimostrato che pochi politici sono disposti a farlo. Riconoscere l’esistenza dell’islamofobia significherebbe dover fare qualcosa al riguardo. E come sappiamo, questo non è mai accaduto.

Sono veramente pochi i politici che possono essere considerati veramente interessati a occuparsi dell’islamofobia. Di conseguenza, la maggior parte dei politici e dei partiti che rappresentano la considerano un problema irrilevante. Anche se alcuni l’hanno evocata nei loro discorsi, poi la questione scompare assai rapidamente dall’agenda politica. Ed è forse questa la speranza di Starmer.
Inoltre, gli attori politici tradizionali sono stati in grado di utilizzare l’islamofobia a fini personali e politici senza temere ricorsi o censure. Non c’è esempio migliore di Boris Johnson che ha definito le donne musulmane che indossano il niqab come “cassette delle lettere” o “rapinatrici di banche”. Johnson non solo si è rifiutato di scusarsi, ma poco dopo è diventato primo ministro. Un altro esempio è il deputato conservatore Lee Anderson, i cui commenti, che accusavano il sindaco di Londra Sadiq Khan di essere controllato dagli islamisti, non sono mai stati considerati islamofobici dal suo partito.
Le conseguenze del rifiuto di affrontare (o anche solo di riconoscere) l’islamofobia si stanno ora manifestando nelle città di tutto il paese. Più i politici fingono che l’islamofobia non esista, più il problema si aggraverà e più l’estrema destra si sentirà autorizzata a ricorrere alla violenza pensando di farla franca.
*professore associato presso la Scuola di Criminologia dell’Università di Leicester. Articolo apparso su The Conversation il 7 agosto 2024.