L’ex candidato alle presidenziali Olivier Besancenot, uno dei dirigenti del partito NPA-L’Anticapitaliste, parla della situazione del “Nuovo Fronte Popolare” francese.
Lei è stato uno dei più noti politici di sinistra degli anni 2000, poi è tornato a fare il postino. Piuttosto atipico per un politico, vero?
Non ho mai smesso di lavorare come postino. Durante le campagne elettorali sono stato via per due mesi, ma per il resto ho sempre fatto il mio lavoro. Nella nostra organizzazione non esiste la figura del segretario generale, del tesoriere o altro.
Nei sondaggi d’opinione in Francia, Marine Le Pen del “Rassemblement National” è regolarmente in testa: appartiene alla stessa linea economica liberale di Trump, Meloni e Milei, o ci sono differenze?
Marine Le Pen appartiene senza dubbio a questo movimento autoritario neofascista. Certo, si presenta in modo un po’ più sociale rispetto all’AfD in Germania, ma per ragioni tattiche. Quando la popolazione si è battuta contro l’innalzamento dell’età pensionabile, Le Pen è diventata un po’ meno liberale dal punto di vista economico. Ma ha presto cambiato idea. Direi che si adatta all’umore prevalente.
Politica economica neoliberista, violenza razzista della polizia, neocolonialismo in Africa e Oceania: tutto questo esiste già oggi sotto il presidente Macron. Cosa potrebbe peggiorare con la Le Pen?
Innanzitutto, la repressione nei quartieri poveri aumenterebbe ulteriormente. Il razzismo e l’islamofobia sono alla base dell’estrema destra, un fenomeno strettamente legato alla storia coloniale della Francia. E questo sviluppo non è ovviamente legato solo ai risultati elettorali. È un processo che osserviamo da molti anni e al quale le politiche di Macron hanno ampiamente contribuito.
Con la creazione del “Nuovo Fronte Popolare”, l’anno scorso, ha finalmente visto la luce un contromovimento di opposizione alla destra. Cosa distingue il “Nouveau Front Populaire” (NFP) dalle precedenti alleanze di sinistra in cui la sua organizzazione non era coinvolta?
Ci sono due differenze: in primo luogo, l’anno scorso tutti hanno visto la necessità di bloccare l’estrema destra. In secondo luogo, il PNF era qualcosa di più che un’associazione elettorale tra i partiti. Certo, gli accordi tra le leadership dei partiti erano la condizione della sua esistenza, ma il Fronte Popolare era sostenuto anche da movimenti sociali e sindacati. Ad esempio, l’organizzazione femminista “Planning familial”, la piattaforma anticoloniale ebraica “Tsedek!”, ATTAC e molti comitati sindacali locali. È stato come un magma sociale. Nessuna alleanza elettorale di sinistra degli ultimi decenni poteva essere paragonata a questo progetto.
Dopo che la maggioranza dei deputati socialdemocratici ha votato per il primo ministro conservatore Bayrou a dicembre, l’alleanza si è già frantumata. Cosa significa questo per la resistenza antifascista?
In alcuni luoghi ci sono ancora raggruppamenti locali del PNF, ma sì: nel complesso l’alleanza è crollata. La responsabilità è dei dirigenti dei partiti di sinistra – socialisti, comunisti, ecologisti e in parte anche di France Insoumise. Avevano bisogno del Fronte Popolare per conquistare i collegi elettorali alle elezioni parlamentari. Ma evidentemente non erano interessati alla mobilitazione sociale.
Cosa c’è dietro la decisione del PS di ritirarsi dall’alleanza? Si è trattato del classico “tradimento socialdemocratico” o di una questione più complessa?
Ovviamente è più complessa. La socialdemocrazia ha fatto quello che fa sempre: ha stretto un’alleanza con un partito dell’apparato statale per non dover essere riformista. Riformismo significherebbe strappare il cambiamento sociale ed ecologico all’“economia di mercato”. D’altra parte, la disintegrazione del PNF è legata al sistema presidenziale francese. Sebbene la sinistra abbia vinto le elezioni, il presidente Macron è riuscito a nominare un uomo di destra a capo del governo. E ora tutti – compresa la sinistra – si illudono che una vittoria alle elezioni presidenziali possa risolvere i grandi problemi. Ecco perché “La France Insoumise” e il PS stanno facendo di tutto per presentare i loro candidati Jean-Luc Mélenchon e François Hollande. Il vantaggio della Francia, tuttavia, è che esiste un vivace movimento extraparlamentare, come hanno dimostrato le proteste dei Gilets jaunes o la lotta contro la riforma delle pensioni.
Dall’esterno, La France insoumise sembra essersi è evoluta. Il partito di Mélenchon è riuscito a rendere le posizioni migratorie e antirazziste molto più visibili di prima.
Sì, direi che il partito ha dimostrato di avere un solido sostegno. I grandi gruppi mediatici, come il canale di informazione CNews del miliardario Vincent Bolloré, fomentano l’odio verso gli arabi e la sinistra. È su questo asse che si muove il movimento di destra in Francia. La France Insoumise non ha ceduto a questo movimento di fondo, ma si è radicalizzata su alcuni temi, come la Palestina e l’islamofobia. Era diverso qualche anno fa, quando la France Insoumise difendeva posizioni stataliste come quelle della sinistra tedesca. Tuttavia, vedo un problema nel fatto che anche questa volta tutto si concentra sulle elezioni presidenziali anticipate. È ovvio che la crisi è troppo profonda e la destra troppo forte perché nuove elezioni aprano la strada a una soluzione.
Quale potrebbe essere la strategia per fermare la marcia trionfale della destra?
Soprattutto, non dobbiamo disperare. Può sembrare una sciocchezza, ma è importante. Lo scorso giugno, in Francia, abbiamo visto che la situazione poteva cambiare. Una settimana prima del secondo turno, una vittoria del “nuovo fronte popolare” era ancora del tutto inimmaginabile. Ma ce l’ha fatta, perché c’era un programma politico non certo rivoluzionario, ma che conteneva miglioramenti sociali concreti. Per me, questo dimostra che dobbiamo combinare attivamente unità e radicalità. È difficile, ma non c’è alternativa. Uno sviluppo incoraggiante in Francia è rappresentato dai dibattiti tattici e strategici che si stanno svolgendo ovunque: nei quartieri, nei sindacati, nei movimenti internazionalisti, femministi e LGBTI. Molte di queste relazioni erano inimmaginabili fino a poco tempo fa. Dobbiamo capire che questo è un momento storico aperto.
*articolo apparso sul sito www.nd-aktuell.de il 31 gennaio 2025