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Nei nostri articoli sul Polo Sportivo e degli Eventi (PSE) abbiamo più volte denunciato la convergenza delle varie autorità politiche – in primo luogo il Municipio di Lugano, il Consiglio di Stato e l’amministrazione comunale e cantonale – nella difesa a oltranza di questo progetto, che assume sempre più i contorni di una speculazione immobiliare.
La rinuncia alla funzione di vigilanza da parte di queste istituzioni nell’applicazione delle leggi e dei regolamenti relativi al progetto PSE è evidente e potenzialmente in contrasto con l’ordinamento legale. Questo atteggiamento è non solo censurabile e inaccettabile sul piano politico, ma rappresenta anche un chiaro esempio del livello raggiunto da queste autorità nel tutelare gli interessi privati di potenti gruppi economici che influenzano il nostro cantone (e non solo). Si tratta di un fenomeno che riflette un uso privatistico del diritto e che, in ultima analisi, manipola e svuota il sistema democratico in vigore.
Non ci siamo mai illusi (né mai lo faremo) sulla reale natura della democrazia borghese-liberale, ma la deriva in atto è altamente preoccupante e pericolosa. Si sta infatti consolidando e normalizzando il principio secondo cui la tutela degli interessi dei gruppi legati alla classe dominante richiede una gestione sempre più arbitraria del quadro legale e dei diritti, erodendo così anche lo spazio democratico.
Tutto ciò non riguarda solo il caso del PSE, ma rappresenta un processo in espansione che coinvolge il sistema giudiziario, le scelte economiche e sociali, i diritti politici e molto altro. Sul sito internet dell’MPS sono disponibili decine di articoli e atti parlamentari che denunciano questa pericolosa involuzione.
Questo articolo si inserisce nel nostro continuo lavoro di denuncia politica. La vicenda del PSE è emblematica di come le autorità e la politica di questo cantone considerino superflua la loro funzione di vigilanza sulla corretta applicazione delle leggi e dei regolamenti, adattandola di volta in volta alle necessità imposte dalla difesa degli interessi del capitale privato in tutte le sue forme.

Quando l’appalto totale era vietato ma non per tutti…

I fatti a cui facciamo riferimento riguardano la Legge sulle commesse pubbliche (LCPubb) e il Regolamento di applicazione della legge sulle commesse pubbliche e del concordato intercantonale sugli appalti pubblici (RLCPubb/CIAP). Fino al 31 dicembre 2019, il Regolamento vietava esplicitamente l’Appalto totale, mentre ammetteva l’Appalto generale.
La differenza tra i due è chiara: nell’Appalto generale, l’opera è già progettata e approvata dall’autorità, e un unico aggiudicatario è responsabile della sua esecuzione. L’appaltatore, in questo caso, si occupa della direzione e realizzazione dei lavori, ma non della progettazione.
L’Appalto totale, invece, include anche la fase di progettazione. L’unico aggiudicatario ha quindi un controllo completo sulla commessa, dalla progettazione alla realizzazione. Questa concentrazione di potere elimina la separazione tra chi progetta e chi costruisce, riducendo i meccanismi di controllo e aumentando il rischio di conflitti di interesse.
La distinzione dei ruoli è fondamentale per garantire la qualità dell’opera pubblica, evitando fenomeni come speculazioni o obsolescenze programmate che possono generare costi imprevisti per il pubblico. Il divieto dell’Appalto totale serviva anche a prevenire l’accentramento delle commesse pubbliche nelle mani di pochi grandi gruppi finanziariamente forti, i quali, gestendo l’intero ciclo del progetto, avrebbero potuto controllare interamente la filiera degli appalti e subappalti.
Per tutte queste ragioni, il Regolamento vietava l’Appalto totale.

La politica ci mette una pezza e sdogana il principio dell’appalto totale

La situazione cambia diametralmente con la riforma del Regolamento entrata in vigore il 1° gennaio 2020. Fra le principali misure adottate vi è stata ovviamente la soppressione del divieto dell’appalto totale che verrà così ammesso, seppur a titolo eccezionale e previa autorizzazione del Consiglio di Stato (art. 13a). Appare anomalo che una modifica così dirompente e dell’importanza quale la possibilità di appalto totale sia stata introdotta a livello di semplice Regolamento di applicazione (di competenza dell’amministrazione cantonale) e non attraverso una modifica della Legge sulle commesse pubbliche (LCPubb), evitando così il dibattito parlamentare, ossia il dibattito pubblico. Una dimostrazione di quanto abbiamo affermato in precedenza, ovvero di come le autorità politiche e i partiti che le governano lavorano incessantemente a favore dei grandi interessi privati. In effetti, non c’era alcuna ragione tecnico-produttiva per giustificare, de jure, l’introduzione dell’appalto totale, se non quella di rendere ancora più appetibili le grandi commesse pubbliche agli occhi dei grandi gruppi finanziario-immobiliari, aumentando il loro margine di profitto, così come è stato il caso per il PSE con l’acquisizione della commessa da parte del gruppo HRS, vera potenza in Svizzera per quanto riguarda il filone degli investimenti totali nell’immobiliare (finanziamento, progettazione e realizzazione) e unica ammessa tra i soli due partecipanti al concorso per investitori privati!

Manovre iniziali per consentire al gruppo HRS il controllo totale sul PSE

Chi ha seguito con attenzione la vicenda del PSE avrà notato che, inizialmente, la progettazione è stata mantenuta separata dall’aggiudicazione della realizzazione. In una prima fase, infatti, l’incarico è stato assegnato al Team Sigillo, un gruppo di progettisti che ha operato nell’interesse del pubblico e sotto la direzione dell’autorità committente. Tuttavia, le fasi successive della progettazione – le più cruciali per il controllo dei costi, il dettaglio esecutivo e la qualità dell’opera – sono state trasferite al gruppo HRS.
Con questa manovra, il Progetto PSE è stato di fatto trasformato in un appalto totale, senza però dichiararlo apertamente. Di conseguenza, i progettisti inizialmente vincolati per contratto a tutelare gli interessi della Città sono stati progressivamente estromessi o subordinati a HRS, trovandosi obbligati a rispondere esclusivamente agli interessi di quest’ultima. È evidente che le priorità di un ente pubblico differiscono profondamente da quelle di un investitore privato, il quale mira a massimizzare il profitto. In un regime di appalto totale, i progettisti non rispondono più alla Città, ma a HRS, in aperta contraddizione con gli obiettivi iniziali del progetto.
Ancora più sconcertante è il fatto che tutto ciò sia avvenuto alla luce del sole, senza che alcuna autorità intervenisse. Il principio dell’appalto totale è stato introdotto nel Regolamento solo a partire dal 1° gennaio 2020 e non poteva quindi essere applicato retroattivamente al PSE, la cui procedura era in corso da anni. Già il 12 ottobre 2017, il Municipio di Lugano aveva licenziato il messaggio municipale 9755 relativo al credito del progetto di massima (fase SIA 31). Nel punto 6.2.2.2 del messaggio si legge che «il progetto edilizio viene finanziato dal partner privato», il che implicava che la progettazione sarebbe stata delegata contrattualmente a quest’ultimo. Inoltre, il punto 6.2.2.3 specifica che «la procedura di autorizzazione viene finanziata dal privato (costi di progettazione stimati in circa CHF 9’000’000)», confermando che le fasi SIA 32/33 sarebbero state finanziate dal partner privato. In altre parole, già nel 2017 era chiaro che si stava predisponendo un appalto totale, sebbene ciò fosse espressamente vietato dalla legge (art. 52 RLCPubb/CIAP in vigore all’epoca).
Questa volontà è stata ribadita il 2 ottobre 2018 con la pubblicazione del Concorso per gli investitori (Fase 1), in cui si affermava che l’investitore avrebbe dovuto finanziare lo sviluppo e la realizzazione di tutti i contenuti privati, mentre le fasi successive della progettazione pubblica (SIA 32/33) sarebbero state prefinanziate dallo stesso investitore privato, nonostante la Città mantenesse formalmente il ruolo di committente. Ancora una volta, emergeva chiaramente l’intenzione di aggirare il divieto dell’appalto totale.
Nonostante fosse palese la violazione della legge, l’Autorità ha tollerato e accettato questa operazione senza intervenire.

Manovre tollerate e favorite dalle istituzioni politiche, locali e cantonali

L’intento di trasformare il PSE in un appalto totale, sebbene vietato, era intuibile sin dal bando di concorso del febbraio 2012 e dal successivo Programma di concorso dell’ottobre 2012.
Alla luce di quanto esposto, risulta evidente che sia il messaggio municipale 9755 del 2017, sia il Concorso per gli investitori del 2018, hanno di fatto introdotto il principio dell’appalto totale, in violazione della normativa vigente all’epoca. Ne consegue che entrambi gli atti sarebbero da considerare illegali e quindi annullabili. Il Municipio di Lugano non avrebbe potuto sottoporre al voto il messaggio 9755, né avrebbe dovuto pubblicare il concorso con questa impostazione.
A vigilare e sanzionare questa palese violazione avrebbe dovuto essere l’Ufficio di vigilanza sulle commesse pubbliche (UVCP), sotto la supervisione del Governo cantonale. Tuttavia, quest’ultimo ha mantenuto un atteggiamento passivo, accettando di fatto lo stravolgimento delle regole. La giustificazione implicita è stata che chiunque avesse voluto contestare le decisioni del Municipio di Lugano avrebbe dovuto farlo tramite ricorso legale, entro i ristretti termini previsti, e con tutte le difficoltà legate alla materia complessa, ai limiti di legittimazione e agli elevati costi finanziari di un’azione legale.

E adesso, les jeux sont faits!

Tutti i passaggi erano stati accuratamente pianificati per permettere all’investitore privato di assumere il ruolo di appaltatore totale ben prima che la legge lo consentisse. Oggi, questa situazione è un dato di fatto.
Se nelle prime fasi esisteva ancora una distinzione tra i progettisti del Team Sigillo – vincitori del concorso pubblico nel 2013 – e i realizzatori, cioè HRS, con il passaggio alla fase del progetto definitivo (SIA 32/33), HRS ha progressivamente assorbito il controllo del progetto. Una volta ottenute le licenze edilizie, i progettisti originari sono stati estromessi uno dopo l’altro, lasciando a HRS il totale dominio sulla realizzazione del PSE.
Il Team Sigillo era inizialmente composto da:
1. Consorzio architetti Cruz y Ortiz – Giraudi Radczuweit
2. Fürst Laffranchi Bauingenieure GmbH (ingegneria civile)
3. Citec Ingénieurs-Conseils SA (ingegneria del traffico)
Dopo il rilascio delle licenze edilizie, il Consorzio architetti Cruz y Ortiz – Giraudi Radczuweit è stato escluso dalla progettazione esecutiva. Per la realizzazione del PSE1 (contenuti sportivi), HRS ha mantenuto solo lo studio spagnolo Cruz y Ortiz, mentre anche lo studio di ingegneria civile Fürst Laffranchi Bauingenieure GmbH è stato estromesso dal PSE2. Allo studio Citec Ingénieurs-Conseils SA non è stato più rinnovato alcun incarico. Tutti gli altri progettisti specializzati sono stati nominati direttamente da HRS.
Queste decisioni sono state imposte dal gruppo HRS Real Estate AG, che ha anche riorganizzato l’intero team di progettazione per la fase PSE2 (Due Torri, Edificio Sud, Blocco Servizi, Spazi pubblici). Le prestazioni di architettura sono state affidate allo studio svizzero Meierpartner AG di Wetzikon, escludendo gli architetti ticinesi originariamente coinvolti. Il Municipio di Lugano, pur avendo formalmente il diritto di veto, non si è opposto, smentendo clamorosamente il tanto sbandierato slogan del PSE “100% ticinese”. Anche per l’ingegneria civile è stata scelta una nuova società, Cesare Lucini Sagl di Paradiso.
Agli architetti Cruz y Ortiz è stato lasciato solo un ruolo marginale di “Concept Design Lead”, responsabili esclusivamente dell’estetica esterna dell’opera.
Oggi, HRS non è solo l’appaltatore totale del PSE: ha di fatto assunto il controllo anche sulle autorità politiche ticinesi, in particolare su quelle luganesi.