Con un pazzo alla Casa Bianca, la finzione è sparita e la potenza grezza trionfa ancora una volta. Guerre commerciali, tagli massicci agli aiuti, richieste esplicite di cedere la Groenlandia o di spopolare Gaza: ogni giorno porta una nuova crisi che mette in discussione i diritti collettivi e individuali riconosciuti e mina le istituzioni che dovrebbero difenderli. È davvero questo il mondo che aspettavamo per criticare l’ipocrisia? È questo che otterrà la sinistra internazionalista?
Quale pace?
I negoziati per porre fine alla guerra in Ucraina, tanto auspicati da molti commentatori, sembrano più vicini che mai, anche se l’Ucraina stessa ha poco da dire. Che tipo di accordo ci stanno preparando le grandi potenze? Un gentleman agreement che concede a Putin parte del nostro territorio e un veto sul nostro futuro, mentre Trump ottiene il 50% delle nostre ricchezze naturali? Senza parlare dell’abbandono al suo destino di tutta l’opposizione russa contro la guerra e dei suoi obiettivi. Tutto ciò è equiparato a problemi irrilevanti, quando quello che è in gioco è definito “la pace”?
Un armistizio potrebbe essere necessario all’Ucraina per riprendere fiato. Il protrarsi della guerra non ci ha reso più forti, e questo è ancora più vero per la sinistra che a malapena sopravvive. Tuttavia, per evitare di perdere tempo prima che ricomincino i combattimenti, in patria o su scala più ampia, dobbiamo guardare con sobrietà a questa nuova situazione e identificarne i punti critici. Gli appelli morali funzionano solo quando c’è qualcuno da svergognare, cosa che non accade quasi più. La risposta credibile della sinistra dovrebbe essere radicata nella realtà, rispondere alle condizioni materiali e sfruttare le aperture politiche piuttosto che aggrapparsi a verità eterne.
Cooperazione, munizioni e infrastrutture sociali
Il fatto è che l’instabilità cresce e le piccole nazioni diventano sempre più vulnerabili, soprattutto quando sono in gioco posizioni strategiche, risorse o corridoi commerciali. Pertanto, l’impegno della sinistra sui temi della difesa non consiste nello sfruttare e diffondere la paura, ma nel non diventare facile preda dei predatori imperialisti. Ci sono diversi punti chiave da tenere a mente quando si parla di sicurezza.
Innanzitutto, insistere sulla necessità di avere i mezzi per difendersi non è guerrafondaio. Senza di essa, la diplomazia si riduce a una richiesta di pietà. Invece di rifugiarsi nella propria bolla, la sinistra deve svolgere un ruolo attivo nelle decisioni sull’acquisizione, la produzione, la distribuzione e l’uso delle armi, che non possono certo essere lasciate a lobbisti, oligarchi, commercianti di armi e potenze straniere.
In secondo luogo, la preparazione alle crisi è una risorsa importante. In caso di guerra, catastrofe naturale o addirittura rivoluzione, chi sa cosa fare ed è organizzato determina il futuro. La nostra amara esperienza ci insegna che la sinistra, confinata negli spazi delle università, delle ONG o dei social media, sarà messa da parte. Quando la normalità finisce, ci si rende indispensabili grazie a competenze pratiche, determinazione, accesso a reti sociali utili e capacità di mobilitare risorse. In Ucraina, troppo spesso, queste risorse erano a destra.
In terzo luogo, le infrastrutture sociali sono essenziali per la resilienza. Come ha dimostrato l’Ucraina, un paese in guerra ha bisogno di ferrovie, ospedali, sistemi energetici, un patrimonio abitativo adeguato e personale qualificato per gestire il tutto. Ciò che è inaffidabile in tempo di pace fallirà sicuramente se scoppia una crisi. Quindi l’indebolimento degli investimenti sociali con il pretesto della difesa o dell’austerità fiscale, l’allentamento dei controlli e del coordinamento in nome della libera concorrenza, sono atti di sabotaggio e come tali vanno denunciati. Quanto prima le voci isolate si uniranno per diventare un’unica voce forte, tanto maggiore sarà la possibilità di inserire la questione nell’agenda e di combattere una buona battaglia contro i neoliberisti.
In quarto luogo, a prescindere dalle munizioni disponibili, le guerre vengono combattute in ultima analisi dal popolo. Quindi la forza della difesa militare dipende dalla partecipazione e dalla disponibilità popolare, che può scomparire. Nessuna coercizione può sostituire totalmente il consenso: basta ricordare la storia della brigata “Anna di Kiev”, addestrata lo scorso anno dai francesi. Un esercito basato sulla coscrizione e dotato di una grande forza di riserva non solo può essere l’unico modo accessibile e realistico per garantire l’autodeterminazione, ma è altrettanto importante notare che crea anche una dipendenza strutturale che richiede la legittimità dell’azione e la fiducia della popolazione.
Infine, nessuno può sopravvivere da solo. Mettere in comune le risorse, condividere le conoscenze, sfruttare le economie di scala e persino stipulare un accordo di difesa comune contribuiscono alla sicurezza reciproca e fanno risparmiare denaro. Se la cooperazione è essenziale tra i paesi, lo è ancora di più a livello locale, dove la solidarietà e gli sforzi congiunti sono indispensabili per potersi organizzare efficacemente su scala globale e ottenere risultati. Ascoltarsi a vicenda potrebbe essere il primo passo.
La pace contro il fascismo
Si può naturalmente sostenere che, piuttosto che influenzare il processo decisionale, la sinistra dovrebbe identificare le frustrazioni crescenti, amplificarle e incanalarle nella sovversione sistemica. Tuttavia, a meno che la situazione mondiale non cambi radicalmente, se ci sono buone possibilità di vittoria, nel caos che questo percorso comporterà, riappariranno domande simili sulla garanzia della sicurezza e della pace.
Attualmente, le élite al potere stanno affrontando un’imminente crisi di legittimità dovuta alla loro incapacità di rispondere a un numero crescente di minacce esterne e di gestire le contestazioni interne dell’estrema destra, che sono il frutto della svolta neoliberista che hanno orchestrato con tanta disinvoltura in precedenza. Questa vulnerabilità offre un’apertura che la sinistra può cogliere per rimodellare il dibattito e avanzare almeno alcune delle sue richieste principali. Con velocità e determinazione, si può dare una possibilità alla pace. Ma anche se il collasso è già imminente, è meglio impegnarsi nella battaglia ora per rafforzare le risorse di potere della classe operaia, prima che l’unica cosa che rimanga sia la resistenza sotterranea sotto una dittatura fascista, sia essa locale o imposta dall’esterno.
* dirigente della organizzazione socialista ucrina Sotsialnyi Rukh. Questo articolo è apparso sul settimana L’Anticapitaliste.