Dopo l’accordo di massima tra Putin e Trump per vedersi a breve, resta aperto quale dovrebbe essere l’agenda di discussione tra i due leader. Perché se sembra che sulle cessioni territoriali dell’Ucraina alla Russia tra i due si possa giungere a un compromesso, restano aperti tutti i capitoli politici che alla fine sono quelli che più importano alla Russia.
In primo luogo per il capo del Cremlino la questione dei rapporti di forza e gli equilibri su scala globale che permettano alla Russia di far pesare la sua potenza militare e quindi, di restare dentro i giochi sui flussi energetici internazionali. Sergej Lavrov, ha voluto definire con un articolo pubblicato il 2 febbraio sulla rivista ufficiale della diplomazia russa “Rossija v globalnoy politike” (La Russia nella politica globale) la cornice in cui si inserisce la riflessione del Cremlino nei confronti della nuova amministrazione americana. Lavrov scrive:
Nel 2025 con il ritorno al potere negli Stati Uniti dell’amministrazione repubblicana guidata da Donald Trump, la riflessione di Washington sui processi internazionali del secondo dopoguerra ha acquisito una nuova dimensione. Il nuovo segretario di stato Marco Rubio ha fatto dichiarazioni molto eloquenti a questo proposito, al Senato degli Stati Uniti il 15 gennaio di quest’anno. Il loro significato è questo: l’ordine mondiale postbellico non è solo obsoleto, ma è stato trasformato in un’arma contro gli interessi degli Stati Uniti. In altre parole, non solo il mondo di Yalta-Potsdam con il ruolo centrale delle Nazioni Unite, ma anche il cosiddetto ’ordine basato sulle regole’, che sembrava incarnare l’egoismo e l’arroganza dell’Occidente guidato da Washington nell’era post-Guerra Fredda, è ora considerato indesiderabile.
Secondo Mosca con Trump si è entrati in un’epoca in cui gli Usa vogliono tornare a essere i “padroni del mondo” senza alcuna mediazione istituzionale o diplomatica. In un’intervista al primo canale televisivo russo Putin in parole più povere ha ripetuto lo stesso punto di vista. Tutti gli ottimismi del Cremlino dopo il 4 novembre, seppur improntati alla cautela, e legati soprattutto al conflitto ucraino sembrano più che smorzati.
Malgrado ciò la dirigenza russa non ha altra alternativa che, come in una partita di poker, andare comunque a vedere il gioco di Trump. E poi perché, a medio termine, Washington potrebbe comprendere che si muove in una realtà mutata dove Cina e India sono dei player di grande stazza: in fondo se il programma contrattualista di Trump venisse rispettato gli Usa diverrebbero una potenza come le altre, seppur per il momento ancora la più potente.
Scrive ancora Lavrov:
l multipolarismo si sta rafforzando e, invece di contrastare questo processo oggettivo, gli Stati Uniti potrebbero diventare, in una prospettiva storica prevedibile, uno dei centri di potere responsabili insieme alla Russia, alla Cina e ad altre potenze del Sud globale, dell’Est, del Nord e dell’Ovest. Nel frattempo, sembra che la nuova amministrazione statunitense farà delle incursioni da cowboy per testare i limiti della duttilità dell’attuale sistema multipolare, e la sua resistenza agli interessi americani.
Niall Ferguson su “Foreign Affairs” è convinto che questo può essere l’orizzonte neo-reaganiano di Trump, tenendo però presente che oggi, a differenza degli anni ’80, il vero avversario è la Cina e non la Russia.
Uno dei cavalli di battaglia di Putin nel suo confronto a distanza con il presidente americano è diventato la rimessa in discussione della legittimità a trattare e a firmare un qualsiasi accordo di pace da parte di Volodymyr Zelensky. Per lo “zar” il presidente ucraino non sarebbe più in carica come capo di stato essendo il suo quinquennio scaduto nell’aprile 2024. Tuttavia è noto che spesso i paesi in guerra non tengano le elezioni e praticamente tutti gli stati del mondo continuino a ritenere legittimo l’ex-attore.
Ovviamente non è che a Putin interessino molto le questioni giuridico-istituzionali, visto che si può avere più di un dubbio sul carattere di democraticità del voto presidenziale del marzo scorso che lo ha rieletto per altri 6 anni alla guida della Russia. La questione è piuttosto legata al futuro dell’Ucraina e alle sue relazioni con la Russia. Se le elezioni in Ucraina (comprese quelle della Rada a questo punto) si tenessero durante le trattative di pace come pretende Putin allora il quadro politico a Kiev potrebbe entrare in movimento se non addirittura terremotare.
Parte dell’insoddisfazione popolare nel paese ex-sovietico per il bilancio bellico e sociale del conflitto potrebbe trasformarsi in una ricerca di un nuovo inizio con Mosca. Lo si è visto a Tblisi, si potrebbe rivedere a Kiev. Oggi tutto ciò appare difficile – quasi fantascientifico – ma un candidato filo-russo (travestito da nazionalista) potrebbe davvero comparire nelle zone orientali del paese.
Per ora questo aspetto non sembra essere in cima ai pensieri del nuovo inquilino della Casa Bianca che ha iniziato a non escludere nuovi aiuti all’Ucraina. Trump però ha voluto chiarire che non potranno essere più dei “pagherò”. Qualche giorno fa, il presidente degli Stati Uniti ha scritto, nero su bianco, di voler concludere un accordo con le autorità ucraine in base al quale Kiev riceverà aiuti statunitensi in cambio di “metalli rari” e di terra coltivabile.
“Stiamo cercando – ha scritto il presidente Usa – di fare un accordo con l’Ucraina in cui loro forniranno ciò che noi diamo loro con i loro minerali di terre rare e altre cose”.
L’inquilino della Casa Bianca non ha specificato cosa intendesse, ma è noto che non solo le aree coltivabili del paese slavo sono tra le più fertili al mondo ma anche le sue potenziali risorse di materie prime sono di grande interesse. L’Ucraina ha infatti il 10% delle riserve mondiali di ferro, il 6% di titanio e il 20% della grafite. Ha inoltre l’ottava riserva al mondo di manganese, la nona di uranio. Per non parlare anche degli ingenti giacimenti di ossido di litio, stimati in 500. 000 tonnellate. Un bottino che sarebbe di non poco conto, ma difficilmente Unione Europea e India resteranno a guardare gli Usa prendersi tutto.
Il governo ucraino per ora è costretto a fare di necessità virtù visto che secondo fonti americane in Donbass nel giro di un paio di settimane il suo esercito avrebbe ceduto altri 450 chilometri quadrati a quello russo. Secondo il “Financial Times”, le autorità ucraine avevano già incluso due punti nel loro segretissimo “piano di vittoria” in preparazione all’arrivo di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Uno di questi implicava che l’Ucraina avrebbe condiviso le sue più importanti risorse naturali con i partner occidentali, e l’altro che gli ucraini avrebbero sostituito alcune truppe statunitensi in Europa dopo la fine della guerra. Zelensky ha voluto segnalare che almeno un terzo di quei territori che tanto interessano a Trump sarebbero già nelle mani di Putin. Un modo neppure tanto velato per dire: “se t’intessano quelle materie prime dovrai aiutarci a difenderle”.
Questo secondo aspetto avrebbe delle ripercussioni nei rapporti all’interno della Nato di non poco conto ma per ora la cosa sembra più una boutade che altro.
Se ne parlerà più nel dettaglio probabilmente già questa settimana quando Trump potrebbe incontrarsi con Zelensky per definire i contorni della trattativa. Per allora, Mosca e Washington dovrebbero aver già deciso data e luogo del vertice. La Russia ha proposto come location Arabia Saudita o Emirati Arabi Uniti e non sembra che per ora da parte americana vi siano state proposte alternative.
*articolo apparso su Naufraghi/e l’11 febbraio 2025