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La logica dell’“America First”, adottata dal movimento neofascista statunitense noto come MAGA, può sembrare razionale a chi non ha familiarità con la storia economica delle relazioni internazionali. Secondo Trump e i suoi accoliti, l’America ha speso enormi somme di denaro per proteggere i suoi alleati, soprattutto i Paesi ricchi, cioè l’Occidente geopolitico (Europa e Giappone in particolare) e gli Stati petroliferi del Golfo. È giunto il momento di ripagare il debito: tutti questi Paesi devono pagare il conto aumentando i loro investimenti negli Stati Uniti e i loro acquisti da essi, soprattutto quelli di armi (è questo che Trump intende con le sue continue pressioni sugli europei affinché aumentino le loro spese militari). Tutto questo rientra naturalmente nella logica mercantile coerente con il fanatismo nazionalista che caratterizza l’ideologia neofascista (si si veda qui “L’era del neofascismo e i suoi tratti caratterizzanti”, 04/02/2025).

Da questo punto di vista, la spesa militare degli Stati Uniti – che ha veramente superato non solo quella degli alleati dell’America, ma ha quasi eguagliato, ad un certo punto, la spesa militare di tutti gli altri Paesi del mondo messi insieme – è stata un grande sacrificio a beneficio di altri. Secondo la stessa logica, l’ampio deficit della bilancia commerciale statunitense non è altro che il risultato di altri Paesi che sfruttano la buona volontà degli Stati Uniti, motivo per cui Trump vuole ridurlo imponendo tariffe a tutti i Paesi che esportano negli Stati Uniti più di quanto importano da essi. Così facendo, cerca anche di aumentare le entrate dello Stato federale per compensare la riduzione delle stesse entrate attraverso tagli fiscali a vantaggio dei ricchi e delle grandi imprese.

La verità storica, tuttavia, è molto diversa da questa rappresentazione semplicistica delle cose.

In primo luogo, la spesa militare degli Stati Uniti dopo la Seconda guerra mondiale è stata, e rimane, un fattore importante nelle dinamiche specifiche dell’economia capitalista statunitense, che da allora si basa su una “economia di guerra permanente” (questo è spiegato in dettaglio nel mio libro The New Cold War: The United States, Russia, and China, from Kosovo to Ukraine, edizione UK, edizione USA, 2023). [Sul concetto di “Nuova guerra fredda” si veda qui].

La spesa militare ha svolto, e continua a svolgere, un ruolo importante nel regolare il corso dell’economia statunitense e nel finanziare la ricerca e lo sviluppo tecnologico (quest’ultimo ruolo è stato preminente nella rivoluzione delle ICT (Information and Communications Technology), un settore che ha riportato gli Stati Uniti al vertice della tecnologia dopo il relativo declino delle sue industrie tradizionali).

In secondo luogo, la protezione militare che gli Stati Uniti hanno fornito ai loro alleati in Europa, Giappone e agli Stati arabi del Golfo faceva parte di un rapporto di tipo feudale, in cui questi Paesi fornivano grandi privilegi economici al padrone degli Stati Uniti, oltre a partecipare alla sua rete militare sotto il suo comando esclusivo. La verità contraddice completamente la rappresentazione che Trump e i suoi servi fanno delle relazioni degli Stati Uniti con i propri alleati, basate sul loro sfruttamento. La realtà è esattamente l’opposto, poiché Washington ha imposto ai suoi alleati, soprattutto ai Paesi ricchi, un modello di relazioni economiche attraverso il quale li ha sfruttati, in particolare imponendo il proprio dollaro come valuta internazionale, in modo che questi Paesi finanziassero direttamente e indirettamente il duplice deficit della bilancia commerciale e del bilancio federale statunitense. I dollari del deficit commerciale statunitense, insieme a varie risorse in dollari di vari Paesi, sono continuamente rientrati nell’economia statunitense, alcuni dei quali hanno finanziato direttamente il Tesoro americano.

In questo modo, gli Stati Uniti hanno vissuto, e continuano a vivere, molto al di sopra delle proprie possibilità, come dimostrano le dimensioni del loro deficit commerciale, che l’anno scorso ha sfiorato i mille miliardi di dollari, e le dimensioni del loro enorme debito, che supera i 36 mila miliardi di dollari, pari al 125% del loro PIL. Gli Stati Uniti sono il compendio finale di un grande e potente debitore che vive a spese dei ricchi creditori in un rapporto di dominio dei primi sui secondi, anziché il contrario.

Anche nei confronti dell’Ucraina, i 125 miliardi di dollari che gli Stati Uniti hanno dato finora a quel Paese (lontano dalle cifre fantasiose di Trump, che sostiene che il suo Paese abbia speso 500 miliardi di dollari in questo senso) equivalgono a quanto ha fornito la sola Unione Europea (anche se il PIL dell’UE è inferiore di circa il 30% a quello degli Stati Uniti), senza contare il contributo di Gran Bretagna, Canada e altri tradizionali alleati degli USA. In realtà, ciò che gli Stati Uniti hanno speso per finanziare la guerra in Ucraina è servito alla loro politica di indebolimento della Russia come rivale imperiale.

Washington è la principale responsabile della creazione delle condizioni che hanno facilitato la trasformazione neofascista della Russia e che hanno portato all’invasione del suo vicino.

Ha deliberatamente alimentato l’ostilità verso la Russia e la Cina dopo la Guerra Fredda per consolidare la subordinazione dell’Europa e del Giappone alla sua egemonia.

Tuttavia, quando Trump e i suoi accoliti riconoscono la responsabilità delle precedenti amministrazioni statunitensi nel creare la situazione che ha portato all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, non lo fanno per amore della pace, come ipocritamente sostengono (la loro posizione sulla Palestina è la migliore prova della loro ipocrisia), ma piuttosto nel contesto della loro transizione dal considerare la Russia uno Stato imperialista rivale – un approccio che Washington ha sempre più perseguito a partire dagli anni ’90, nonostante il crollo dell’Unione Sovietica e il ritorno della Russia all’ovile del sistema capitalistico globale – al considerare Putin come il proprio partner nel neofascismo, in attesa di cooperare con lui per rafforzare l’estrema destra in Europa e nel mondo, oltre a beneficiare del grande mercato e delle grandi risorse naturali della Russia. Mentre vedono nei governi liberali europei un avversario ideologico e un concorrente economico allo stesso tempo, vedono nella Russia un alleato ideologico che non può competere con loro dal punto di vista economico.

D’altra parte, la Cina, agli occhi di Trump e dei suoi accoliti, è il più grande avversario politico e concorrente economico e tecnologico. Joe Biden ha seguito questa stessa politica, stabilendo una continuità tra il primo e il secondo mandato di Trump per quanto riguarda l’ostilità alla Cina. Sebbene la squadra di Trump possa sperare di separare Mosca da Pechino, proprio come la Cina si è separata dall’Unione Sovietica negli anni ’70 e si alleò con gli Stati Uniti, Putin non rischierà di intraprendere questa strada finché non sarà sicuro della permanenza dei neofascisti statunitensi alla guida del loro Paese.

La grande domanda che ci si pone ora è se l’asse liberale europeo sia pronto a intraprendere il percorso di emancipazione dalla tutela statunitense, il che richiede di interrompere l’allineamento con Washington nell’ostilità verso la Cina e di consolidare le relazioni di cooperazione con essa. Ciò richiede anche che i Paesi europei siano pronti a lavorare nel quadro del diritto internazionale e a contribuire al rafforzamento del ruolo delle Nazioni Unite e di altre istituzioni internazionali, due cose che Pechino ha costantemente sollecitato.

L’interesse economico dell’Europa è chiaro a questo proposito, in particolare modo quello della più grande economia europea, quella tedesca, che ha ampie relazioni con la Cina. L’ironia della sorte vuole che la Cina si unisca ora agli europei nella difesa della libertà commerciale globale contro l’approccio mercantile adottato da Trump e dai suoi chierici, e nella difesa delle politiche ambientali contro il loro rifiuto, accompagnato dalla negazione del cambiamento climatico, che caratterizza vari tipi di neofascisti. Le posizioni nette espresse dal prossimo premier tedesco, Friedrich Merz, nel criticare Washington e nel chiedere l’indipendenza dell’Europa dagli Stati Uniti, se dovessero sfociare in un effettivo tentativo di seguire questa strada, potrebbero riflettersi nell’atteggiamento dell’Unione Europea nei confronti della Cina, tanto più che la posizione francese va nella stessa direzione.

Tutti questi elementi confermano la morte del sistema liberale atlantico e l’ingresso del mondo in una tempestosa fase di rimescolamento delle carte, di cui siamo ancora all’inizio.

Le elezioni del Congresso degli Stati Uniti del prossimo anno giocheranno un ruolo importante nel far avanzare questo processo o nel frenarlo, a seconda che portino a rafforzare o a indebolire il dominio neofascista sulle istituzioni statunitensi. Nel frattempo, il movimento neofascista statunitense ha iniziato a imitare le sue controparti in vari Paesi, minando gradualmente la democrazia elettorale e mettendo le mani sulle istituzioni statali statunitensi nel tentativo di perpetuare il proprio controllo su di esse.

*Tradotto in inglese da Gilbert Achcar dall’originale arabo pubblicato su Al-Quds al-Arabi il 4 marzo 2025. La versione italiana si basa su quella inglese: https://gilbert-achcar.net/peace-between-neofascists ed è stata curata dalla redazion di Rproject.it.