La Serbia è scossa dalla più grande ondata di proteste nella storia del paese. Alla sua testa c’è un movimento studentesco organizzato orizzontalmente e con un sostegno massiccio. Tuttavia, il regime del presidente Vučić non si arrende ancora e durante la manifestazione di sabato si è verificato l’uso di un insidioso strumento repressivo, uso peraltro riconosciuto dal governo serbo.
Sabato 15 marzo si è svolta a Belgrado la più grande manifestazione della storia serba. È stato il culmine delle attività del movimento di protesta studentesco, che esiste dal novembre dello scorso anno. “Sono un’attivista ambientalista, quindi ho partecipato a molte manifestazioni. Ma per la prima volta in vita mia ho visto persone di destra e di sinistra fianco a fianco, senza cercare di convincersi l’un l’altro di qualcosa”, così descrive l’atmosfera della manifestazione di sabato una partecipante di 25 anni di Belgrado. “Erano semplicemente lì per sostenere gli studenti. Non vedevo una tale tolleranza da molti anni”.
Le proteste sono iniziate in seguito a una tragedia avvenuta nella seconda città più grande, Novi Sad. Il tetto di un edificio della stazione, recentemente ristrutturato, è crollato uccidendo quindici persone. I manifestanti hanno immediatamente presentato questo evento come un problema sistemico legato all’enorme corruzione e incompetenza dell’amministrazione statale, rifiutando l’idea che si sia trattato di uno sfortunato incidente.
Già a novembre, diverse facoltà dell’Università di Belgrado sono state occupate in relazione alle proteste. Gli studenti si sono barricati negli edifici universitari, che sono diventati i luoghi principali in cui i manifestanti si sono incontrati e hanno pianificato la loro strategia futura. I blocchi si sono estesi ad altre città universitarie della Serbia e gli studenti hanno gradualmente conquistato la maggioranza della società serba alla loro causa. Le decisioni sulle azioni future vengono prese in sessioni plenarie aperte al pubblico.
Le manifestazioni si stanno svolgendo in modo altamente coordinato, non hanno leader formali e cercano di indagare sull’intero incidente di Novi Sad e di apportare cambiamenti più profondi al funzionamento del sistema politico del paese. Secondo la ricercatrice Nina Djukanović, si tratta del più grande movimento di protesta studentesca dal 1968.
“La gente viene alle proteste di buon umore, ha più pazienza del solito e si comporta in modo rispettoso gli uni verso gli altri. Quando qualcuno ti pesta un piede o ti spinge, si scusa immediatamente”, racconta a Alarm un’altra partecipante alle proteste, Marija, 39 anni, arrivata alla manifestazione di sabato a Belgrado dalla città di Čačak.
Negli ultimi mesi, i cortei studenteschi hanno attraversato il paese, partendo da varie città verso Belgrado per la manifestazione di sabato. Oltre a loro, migliaia di lavoratori provenienti dalle regioni sono arrivati nella capitale, ma le proteste hanno avuto luogo anche in altri luoghi.
Il regime sull’orlo del baratro
Secondo l’organizzazione no-profit Archive of Public Gatherings, nelle strade di Belgrado c’erano quasi 300.000 persone, mentre gli organizzatori studenteschi hanno stimato una cifra di 800.000 persone. Non sorprende che le autorità statali riportino cifre molto più basse: secondo la polizia c’erano 107.000 persone, e secondo l’esercito solo 88.000. Tuttavia, gli studenti sostengono che tali cifre possono essere raggiunte solo se si contano solo alcune strade e piazze principali. Eppure, come mostrano le immagini, sabato tutte le strade di Belgrado erano piene.
Anche secondo stime moderate, si è trattato della più grande manifestazione nella storia del paese. “Gran parte dell’opinione pubblica si aspettava che sabato si arrivasse a una risoluzione politica, come quando 25 anni fa abbiamo rovesciato Milošević. Ma gli studenti non hanno chiesto nulla del genere”, spiega Marija.
Recentemente, il regime di Vučić ha adottato una strategia conciliante nei confronti del movimento studentesco. Si dichiara pronto a negoziare e ha fatto diverse concessioni formali. Tuttavia, gli studenti si rifiutano di negoziare con Vučić: le loro richieste sono rivolte a istituzioni specifiche, sottolineando il fatto che gli uffici sono occupati da persone fedeli al presidente.
Ma Vučić non può permettersi un confronto diretto, in parte a causa dell’ampio sostegno agli studenti – secondo i sondaggi, l’80% dei serbi appoggia le loro richieste. Un ruolo cruciale è svolto anche dall’organizzazione orizzontale del movimento studentesco, che significa che il regime non ha nessuno da colpire con una repressione diretta o una campagna diffamatoria.
A novembre, tuttavia, Vučić e i suoi sostenitori hanno risposto alle proteste studentesche con la violenza, a volte direttamente con la polizia, altre volte con gruppi di persone non identificate che poi si sono rivelate essere membri del partito al potere. A gennaio, l’opinione pubblica è rimasta scioccata dalle immagini di un’auto che ha travolto i manifestanti e quasi ucciso uno degli studenti.
In vista della manifestazione di sabato, una domanda aleggiava per le strade di Belgrado: come avrebbe reagito il regime a una mobilitazione così ampia? Alcune voci più ottimiste hanno sottolineato che la polizia non ha semplicemente la forza di agire contro un numero così elevato di persone. Tuttavia, in Serbia si temeva anche l’uso di tecniche tradizionali per delegittimare e reprimere le manifestazioni: infiltrare nella folla dei provocatori che avrebbero iniziato ad attaccare la polizia, la quale avrebbe poi reagito con la violenza contro tutti i partecipanti. “Mi sono avvicinata alla manifestazione con tensione e paura, perché preferivo non immaginare di cosa sia capace questo governo”, racconta Marija.
Interventi senza sparare
A quanto pare, le forze di stato non hanno fatto ricorso alla violenza aperta. Tuttavia, potrebbero aver utilizzato un metodo ancora più insidioso dei provocatori di cui sopra. Secondo le testimonianze, i video e gli esperti, per la prima volta nel paese è stata utilizzata un’arma nota con l’acronimo LRAD (Long Range Acoustic Device), un aggeggio detto “cannone sonoro”, capace di stordire con un sibilo micidiale. Non ha un effetto letale, ma è progettata per paralizzare o neutralizzare un avversario utilizzando un alto volume di suono.
Secondo una rivista militare, queste armi possono “provocare un dolore insopportabile alle persone colpite”, ma anche effetti più a lungo termine: mal di testa, nausea, acufeni e persino perdita di capelli. L’origine di questi sistemi d’arma descrive la ben nota traiettoria del cosiddetto boomerang imperiale: sono stati utilizzati per la prima volta dall’esercito statunitense per “controllare le folle ostili” durante le invasioni di Iraq e Afghanistan. Dalla metà degli anni Duemila, tuttavia, sono stati adottati anche dalla polizia statunitense contro le manifestazioni sul territorio americano, ricevendo di recente una maggiore attenzione mediatica quando sono stati impiegati durante le proteste di Black Lives Matter dopo l’omicidio di George Floyd da parte della polizia.
Con gli LRAD, a differenza dei normali altoparlanti, il suono “non si propaga in un cerchio, ma in modo preciso e unicamente in questo cono stretto. Se ci si trova a pochi metri di distanza dall’area colpita, non si fa altro che osservare sconcertati le persone che si contorcono a terra, a pochi metri da noi”. Ciò è coerente con i video di Belgrado, dove si vedono persone che si disperdono improvvisamente dal centro della strada verso i bordi.

Nonostante ciò, i ministeri dell’Interno, della Difesa e il presidente Vučić ne negano l’uso. “Tuttavia, l’arma fa parte del sistema di sicurezza dello stato serbo da diversi anni”, spiega ad Alarm la giornalista Anastazija Antanasijević del nostro partner serbo Mašina. “E il suo utilizzo avrà probabilmente un impatto cruciale sull’ulteriore sviluppo delle proteste”. Marija è d’accordo: “Ero un po’ preoccupata che non sarebbe successo nulla e che le proteste si sarebbero semplicemente spente. Ma dopo l’uso del cannone sonico, la rabbia dell’opinione pubblica sta crescendo di ora in ora”.
A parte l’uso effettivo di un’arma contro la propria popolazione, la tempistica di questo incidente è cruciale in termini simbolici. È avvenuto proprio durante i 15 minuti di silenzio osservati durante le manifestazioni per le 15 vittime del tetto crollato a Novi Sad: “Alle sette in punto, l’intera città si è improvvisamente ammutolita. Improvvisamente, tutto ciò che si sentiva era l’eco nelle orecchie di tutti i rumori precedenti”, così descrive Tijana la sua esperienza della manifestazione. “Dopo 11 minuti di silenzio, ho sentito improvvisamente le persone dietro di me iniziare a gridare. In seguito ho capito che veniva usato il cannone sonoro. E aveva perfettamente senso. Perché nessuna persona normale oserebbe disonorare la memoria delle vittime in questo modo”.
“Ci ha spaventato tutti. Ho iniziato subito a correre e a cercare un riparo per mia madre, che è già in età da pensione. Poi abbiamo lasciato la manifestazione”, così Marija descrive la sua esperienza con il cannone sonico. “Le ambulanze ci giravano intorno e da domenica ho letto sui social media che molte persone sono finite in emergenza”.
L’incidente rischia quindi di essere dannoso non solo per il presidente ma anche per i membri delle forze di sicurezza. Diverse immagini mostrano agenti di polizia che abbassano gli scudi o applaudono i manifestanti. Ma i video dell’esodo di massa mostrano come gruppi di poliziotti abbiano lasciato la zona dell’impatto pochi secondi prima. “Non mi interessa affatto che la polizia ci abbia improvvisamente salutato con gentilezza, quando finora ci ha picchiato, arrestato, ricattato e molestato per anni. Si sono divertiti a servire il regime e avrebbero continuato a farlo se non fosse stato per le proteste studentesche che si sono trasformate in una rivolta popolare”, aggiunge indignata Marija.
Al di là dell’orizzonte della protesta
Il presidente Vučić non sembra avere intenzione di dimettersi. Retoricamente, sta perseguendo una strategia che combina il riconoscimento degli studenti e dei manifestanti con blande contromosse. Nel suo discorso di sabato dal palazzo presidenziale, da un lato ha descritto la manifestazione come grande. Ha riconosciuto che “il 99% dei manifestanti non voleva problemi” e ha detto che, come chi è al potere, deve “imparare e cambiare”. D’altra parte, si è sentito addolorato perché i manifestanti erano spinti da “energia negativa, rabbia e indignazione diretta contro i funzionari del governo serbo”. E se qualcuno mette in dubbio la sua legittimità, dovrebbe sfidarlo alle elezioni.
Inoltre, ha nuovamente messo in guardia da una rivoluzione “colorata”, una serie di cambiamenti di regime in Europa orientale e Asia centrale verso una direzione filo-occidentale. Gran parte dei media europei – e in questo sono d’accordo con Vučić, anche se con segno opposto – ama vedere i conflitti politici nella regione attraverso il modello collaudato di “autocrate locale contro opposizione filo-occidentale”.
Dalle richieste degli studenti e dando un’occhiata alle strade in protesta, dove le bandiere dell’UE non si vedono da nessuna parte, è chiaro che questa interpretazione non riflette pienamente la situazione serba. “Abbiamo ceduto le nostre miniere alla Cina, la nostra energia alla Russia, il nostro litio e le nostre banche alla Germania. La maggior parte dell’UE è rimasta in silenzio o ha sostenuto Vučić a causa del litio”, elenca Marija le influenze straniere.
È proprio per questo che il destino del paese dovrebbe essere deciso in primo luogo dai serbi. Come dimostrano i sondaggi e l’andamento delle proteste, ora credono negli studenti. “Ora aspettiamo di vedere che cosa propongono, in modo da poterli sostenere il più possibile. Ma temo che con il passare del tempo il regime userà sempre più la forza bruta”, descrive Tijana le sue prospettive per il futuro.
La giornalista Antanasijević del nostro partner Mašina considera la manifestazione di sabato assolutamente cruciale perché ha mostrato chiaramente quante persone sono attualmente disposte a partecipare alle proteste – nonostante le esplicite intimidazioni, le minacce di violenza fisica e la campagna di disinformazione del campo filogovernativo. “Centinaia di migliaia di persone hanno avuto il coraggio di venire a Belgrado”, dice a Alarm. “Ora devono trovare il coraggio di organizzarsi a livello locale con i loro colleghi, vicini e amici. Scioperi, blocco delle istituzioni e pressione sulle persone che prendono le decisioni: tutto questo deve continuare, e gli studenti non possono farcela da soli”.

Gli studenti guardano alla società serba e parlano della necessità di organizzare assemblee civiche a livello locale e del fatto che le persone devono iniziare a organizzarsi da sole. Secondo una studentessa, questa protesta ha il potenziale per trasformare non solo la società serba. “L’azione di sabato ha portato anche incredibili dimostrazioni di solidarietà e attenzione”, continua Antanasijević. “I cittadini hanno protetto gli studenti e gli altri, e la città è stata pervasa da un senso di appartenenza e di unità senza precedenti”. Se queste proteste vogliono avere successo e ottenere qualcosa di specifico, questa unità deve durare.
In un momento in cui il resto dell’Europa teme l’ascesa dell’estrema destra, la Serbia sta sperimentando una democrazia radicale che non si vedeva nel continente da molti anni e che, senza esagerare, ha il potenziale per cambiare il mondo. Tuttavia, oltre all’ombra della violenza di stato, l’ottimismo serbo è anche offuscato da una lezione storica dell’ultimo decennio.
I movimenti di protesta di massa di quest’epoca, dalla Primavera araba a Occupy fino alle manifestazioni greche contro i tagli al bilancio, hanno dimostrato che una mobilitazione di successo non significa necessariamente la presa e la trasformazione del potere politico. Tuttavia, il movimento guidato dagli studenti si differenzia anche dai movimenti globali degli anni 2010, ad esempio per le severe istruzioni (e il loro rispetto) di non entrare negli edifici governativi. Pertanto, non solo Vučić ma tutta l’Europa dovrebbe attendere con ansia il prossimo passo dei manifestanti.
* critico letterario e giornalista, caporedattore di Alarm. **attivista e giornalista, redattore di Alarm. L’articolo è apparso sul sito Alarm