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matteoPubblichiamo l’interrogazione al Consiglio di Stato presentata da Matteo Pronzini, gran consigliere MPS, lunedì 18 luglio.

 

Imposte trattenute ai lavoratori frontalieri: quali sono i costi indotti dalla loro presenza quotidiana sul territorio del Canton Ticino?

 

Dietro alla discussione sui ristorni fiscali ai lavoratori frontalieri in realtà vi è il tentativo di far dimenticare quale sia il problema principale legato alla libera circolazione ed al ricorso massiccio alla manodopera frontaliera: il dumping salariale promosso dal padronato, cioè il tentativo di usare la grande offerta di manodopera per abbassare i salari.

 

I frontalieri diventano così in qualche modo i responsabili di tutto: di “rubare” il lavoro e di “rubare” le imposte che dovrebbero rimanere in Ticino, poiché di “proprietà” del Cantone. Una situazione ideale per far montare xenofobia e divisione tra i lavoratori. Un affare dal punto di vista sociale per i padroni e un premio elettorale per chi, come la Lega, su questi temi ci campa.

 

Il tema del ristorno delle imposte dei frontalieri è oggetto di una discussione assai strana. In particolare poiché essa ruota attorno all’idea, assurda da più punti di vista, che le imposte che vengono trattenute ai lavoratori frontalieri siano di “proprietà” del canton Ticino.

 

 

Chiariamo, una volta per tutte,  che le imposte trattenute ai lavoratori frontalieri  appartengono ai lavoratori frontalieri, così come le imposte trattenute ai lavoratori residenti in Ticino appartengono a loro stessi.  

 

Ed i lavoratori frontalieri dovrebbero avere il diritto, come ogni altra categoria di salariati, di dire che cosa vogliono che, attraverso queste loro imposte, venga realizzato.

 

D’altronde questo diritto ogni cittadino e ogni cittadina che paga le imposte in Ticino ed ha il diritto di voto, almeno in principio, ce l’ha o, forse meglio, dovrebbe poterlo avere. In fondo la democrazia liberale teorizza proprio questo: che attraverso l’esercizio della rappresentanza politica si decida, tra le altre cose, anche l’allocazione delle risorse pubbliche accumulate attraverso il prelevamento delle imposte.

 

In realtà a non poter dire nulla sono proprio coloro che pagano le imposte oggetto del contendere, i frontalieri, ostaggio di un dibattito tra élite politiche che li usano per interessi  elettorali e di potere.

 

Proprio partendo da questa necessità e da questo diritto, cioè di poter decidere sulla destinazione dei frutti del proprio lavoro, si dovrebbe aprire una discussione nella quale i frontalieri direttamente o  attraverso le loro organizzazioni, possano esprimere il proprio punto di vista.

 

Ora, riaprire la discussione sull’attuale ripartizione delle imposte pagate dai frontalieri è possibile e, forse, anche necessario. Ma non nella prospettiva indicata da coloro che in questi mesi stanno cavalcando la questione a fini sostanzialmente elettorali.

 

Infatti la questione che va discussa potrebbe essere posta in un senso diametralmente opposto a quello che ci propinano i fautori della revisione: l’attuale 62% di imposte trattenuto dal Ticino è conforme ai servizi ed alle prestazioni che il Cantone offre ai lavoratori frontalieri e che questi sono in misura di utilizzare?

 

È noto a tutti, e su questo non pensiamo che vi siano possibili discussioni, che le imposte prelevate sul reddito di chi lavora debbano servire a finanziare le attività dello Stato. Strade, ospedali,amministrazione pubblica, scuole, sicurezza, socialità: sono gli aspetti fondamentali finanziati attraverso i proventi fiscali.

 

Ebbene, prendiamo come  esempio il classico frontaliere, residente nella provincia di Varese, che ogni mattina entra dal  valico del Gaggiolo per andare a lavorare in una delle numerose fabbriche della zona industriale di Stabio. Di quali servizi offerti dallo Stato può beneficiare?

 

Non certo delle scuole (i figli studiano in Italia), non certo dell’amministrazione pubblica (un certificato, un documento di identità, ecc. deve recuperarli in Italia), nemmeno del servizio sanitario cantonale (ospedali, ecc.),  e neanche della sicurezza sociale (viene finanziata attraverso i prelevamenti – come per AVS, INSAI, ecc), né tantomeno dei sussidi ad essa legati (pensiamo a quelli relativi ai premi dell’assicurazione malattia); e, infine, nemmeno fa un grande “consumo” di strade e infrastrutture pubbliche visto, nel caso in questione, che utilizza poche centinaia di metri per recarsi al lavoro.

 

E’ dunque necessario ed urgente che nell’attuale discussione si pongano sul tavolo tutte le carte. Per questa ragione chiedo al Consiglio di Stato di rispondere alle seguenti domande:

 

  1. La suddivisione attuale (38,8% ai comuni di frontiera il resto alla Svizzera – ritoccata di poco rispetto alla percentuale stabilita al momento dell’entrata in vigore a pieno regime dell’accordo) è stata decisa alla luce di precisi criteri di ordine economico e sociale. Quali sono stati, all’epoca tali criteri? Sono cambiati rispetto alla situazione attuale? E se sì, in che modo?

 

  1. Il Consiglio di Stato ritiene che l’attuale ammontare delle imposte trattenuto ai lavoratori frontalieri copra in modo sufficiente, insufficiente o eccessivo i costi che l’amministrazione pubblica deve direttamente sopportare in seguito alla diretta presenza dei lavoratori frontalieri sul territorio cantonale (spese in ambito formativo, sanitario, sociale, infrastrutturale, ecc.)?

 

Ringraziandovi per la vostra risposta, porgo i miei più cordiali saluti.

 

 

Matteo Pronzini