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Ispirandosi allo spirito dell’orientalismo occidentale, quale è stato definito da Edward Said (1), certi Arabi hanno sostenuto che una mentalità dispotica si era radicata presso la maggior parte dei loro compatrioti quale conseguenza della loro formazione culturale e della loro educazione.

 

Uno dei sostenitori di questa   visione, è stato, in un passato ancora recente, Moncef Marzouki, l’attuale presidente transitorio della Tunisia, alla’epoca in cui viveva ancora  in Francia come oppositore dell’ ex-presidente, il tiranno Zine el Abidine Ben Ali.

 

In un articolo pubblicato in arabo il 19 febbraio 2010 sul sito internet di Al Jazeera, Marzouki cita l’universitaria francese Béatrice Hibou, che appartiene alla scuola orientalista ed è l’autrice di un opera intitolata La force de l’obéissance: économie politique de la répression en Tunisie (2), per spiegare che la pretesa “obbedienza” dei Tunisini e delle Tunisine ai loro tiranni è dovuta ad una mentalità istillata in loro di generazione in generazione (tesi simili sono state efficacemente confutate dall’universitario tunisino Mahmoud Ben Romdhane in un’opera apparsa recentemente in francese (3).

 

Marzouki affermava che chiunque leggesse l’opera di B.Hibou “capirebbe che ciò che intriga lo spirito occidentale a proposito degli Arabi, è la nostra straordinaria capacità di obbedire ai dirigenti più corrotti, mentre la cultura occidentale è invece fondata sul rifiuto di obbedire all’ingiustizia e sulla legittimazione del diritto a resisterle”.

 

Aggiungeva così alla percezione orientalista degli Arabi un’immagine idealizzata della “cultura occidentale”, come se quest’ultima fosse un dato eterno, e dimenticando il fatto che i due regimi più dispotici della storia moderna si sono sviluppati dopo la prima guerra mondiale  in seno a due delle più antiche civiltà occidentali: l’Italia e la Germania. Senza parlare, peraltro, del fatto che prima dell’epoca  moderna, l’Occidente è passato attraverso un lungo periodo di monarchie assolute.

 

Marzouki andava anche oltre, rincarando la dose rispetto all’orientalista francese: “Prendete un qualsiasi Tunisino o Egiziano o Yemenita dalla strada e portatelo al potere. Ci sono 90% di probabilità che esso agirà in una maniera che non sarà molto diversa da quella di Ben Ali, Mubarak o Saleh”.

 

Una delle realizzazioni più importanti delle rivoluzioni arabe in corso, per quel    che concerne la percezione degli Arabi, è che esse hanno distrutto l’immagine caricaturale foggiata dall’orientalismo occidentale a proposito della sottomissione volontaria degli Arabi e del loro costume culturale, o di quello in generale dei mussulmani, alla servilità. Come se gli Arabi odiassero la libertà e amassero la tirannia.

 

L’ondata rivoluzionaria che dilagata partendo dalla Tunisia , e che si trova ancora al suo stadio iniziale, ha dimostrato al mondo intero che gli Arabi odiano la tirannia e aspirano alla libertà quanto ogni altro popolo. Essa ha anche dimostrato, che a partire dal giorno in cui gli Arabi hanno deciso “di  aspirare a vivere” – per prendere a prestito il verso famoso del poeta tunisino Aboul-Kacem al-Chebbi (4) – e sono riusciti a spezzare la barriera della paura – essi hanno realizzato sollevamenti sociali che sono diventati  esempi da seguire dappertutto nel mondo.

 

Dopo che Marzouki stesso è tornato in Tunisia in seguito alla caduta di Ben Ali, è stato talmente travolto dall’euforia della rivoluzione che ha, per un momento, fatta sua un’analisi di classe simili a quella  della sinistra radicale, scrivendo queste righe assai lucide pubblicate il 10 marzo 2011: “Non sono i rivoluzionari che colgono i frutti della rivoluzione. Dopo il tempo dei rivoluzionari viene quello degli opportunisti; dopo l’epopea viene il tempo delle speranze deluse. I poveri di Sidi Bouzid tornano alla loro povertà e gli abitanti dei cimiteri del Cairo ai loro cimiteri. Nessuna soluzione radicale viene trovata ai loro problemi, solo una gran quantità di promesse che non verranno realizzate.

Nella nostra situazione, è la borghesia che ottiene di più: godeva di un livello di vita decente sotto il dispotismo, ma la sua esistenza era avvelenata dalla corruzione e dalla soppressione delle libertà. Con la fine del dispotismo, la borghesia – grazie al sacrificio degli umili e dei poveri – ha aggiunto ai suoi diritti economici e sociali i diritti politici di cui era privata, mentre le classi popolari hanno acquisito delle libertà politiche che non nutriranno gli affamati e le affamate”.

 

La saggezza popolare dice che il potere corrompe. Da quando è diventato presidente della Tunisia, Moncef Marzouki non riesce più a capire perché i poveri di Sidi Bouzid si sono rifiutati di tornare alla loro povertà, hanno rifiutato le promesse vuote e hanno insistito perché ai loro problemi vengano date soluzioni radicali. Ha improvvisamente trovato questo rifiuto e questa insistenza talmente detestabili, da dover ricorrere agli argomenti abituali dei tiranni, quasi per confermare quel che aveva scritto due anni prima.

 

In occasione di un’intervista accordata alla televisione Al Jazeera il 20 gennaio 2012, e rispondendo a una domanda a proposito della continuazione delle proteste popolari in Tunisia dopo la caduta del tiranno, da una parte Marzouki ha dichiarato che esse erano la conseguenza dell’eredità del regime deposto e della paralisi economica. Poi ha aggiunto:  “Ma c’è anche lo sfruttamento, la politicizzazione e l’agitazione da parte di certi ambienti, sia per irrespon    sabilità o con l’intenzione     di sabotare questa rivoluzione – entrambi i fattori sono all’opera. Ci sono delle persone che io considero degli irresponsabili, come l’estrema sinistra che ora dichiara che essa ama la rivoluzione, mentre sanno che questo governo è istallato da solo un mese; è questo che considero come irresponsabile”.

 

Secondo il vecchio ritornello ben noto ai Tunisini e agli Arabi, le masse non possono sollevarsi spontaneamente contro le condizioni miserabili di esistenza. Ci sono sempre degli “agitatori”, dei “sovversivi”, dei “colpevoli irresponsabili” e degli “estremisti” – quale che sia il loro colore politico, del resto – che li spingono alla protesta e alla rivolta.

 

Ciò che sfugge a questa logica, è che la collera contro lo sfruttamento e la miseria porta naturalmente alla radicalizzazione politica. Questa logica rovescia la realtà sostenendo che sono i radicali che creano l’indignazione pubblica contro la miseria e lo sfruttamento.

 

Quel che il nuovo presidente tunisino non ha ancora capito, è che il suo appello, lo scorso dicembre, per una tregua sociale di sei mesi era votato all’insuccesso perché non era accompagnato da nessun programma che indicasse una reale intenzione da parte del nuovo governo tunisino di soddisfare i bisogni evidenti e le rivendicazioni elementari del popolo, per le quali questo era insorto e aveva rovesciato Ben Ali.

 

Hamadi Jebali, uno dei dirigenti del movimento Ennahda, oggi primo ministro del governo transitorio tunisino, non ha esitato ad affermare su Al Jazeera (il 22 gennaio 2012), che il declino economico della Tunisia nel corso dell’annata trascorsa “è dovuto alle occupazioni, blocchi di strade e scioperi selvaggi dei lavoratori”. Ha aggiunto che queste proteste di massa hanno impedito la messa in atto di nuovi progetti di investimento che avrebbero permesso di creare “migliaia” di impieghi.

 

Per riprendere le parole dello stesso Marzouki, questi signori che oggi sono al potere vogliono dunque che le masse cessino le loro lotte ora che il dittatore è stato rovesciato e che “i poveri di Sidi Bouzid tornino alla loro povertà […] Nessuna soluzione radicale viene data ai loro problemi, solo una quantità di promesse che verranno o non verranno realizzate. E` la borghesia che ottiene di più: essa godeva di un livello di vita decente sotto il despotismo, ma la sua esistenza era avvelenata dalla corruzione e la soppressione delle libertà. Con la fine del dispotismo, la borghesia,- grazie al sacrificio degli umili e dei poveri – ha aggiunto ai propri diritti economici e sociali i diritti politici di cui era privata, mentre le classi popolari hanno acquisito delle libertà politiche che non nutriranno gli affamati e le affamate“.

 

Non c’è bisogno di essere particolarmente perspicaci per comprendere che i vincitori delle prime elezioni organizzate dopo le rivolte, così come i governi che si sono insediati da allora, sono di fatto nelle mani degli opportunisti e non dei rivoluzionari, come Marzouki aveva giustamente detto quando era ancora ispirato dall’entusiasmo e dalla saggezza della rivoluzione.

 

La condanna degli scioperi dei lavoratori e delle lavoratrici come responsabili del declino economico del paese, così come il ricorso al vecchio ritornello a proposito degli “estremisti” e dei “sovversivi” appartenenti all’ “estrema sinistra”, costituiscono il linguaggio comune dei nuovi dirigenti, in Tunisia come in Egitto, al punto tale da rievocare irresistibilmente i regimi deposti.

 

Ma le masse che un giorno hanno aspirato a vivere e gustato la libertà non cesseranno di lottare e di protestare prima che “il destino” non risponda alle loro aspirazioni, anche se questo avrà bisogno di anni.        

 

 

* Gilbert Achcar è professore alla Scuola di studi orientali e africani (SOAS) dell’Università di Londra.

 

1. L’orientalisme, Ed. du Seuil, 2005

2. Ed. La Découverte, 2006

3. Tunisie : Etat, économie et société. Ressources politiques, légitimation et régulations sociales, Ed. PubliSud, 2011

4.1909-1934, considerato come il poeta nazionale tunisino, autore di un celebre poema indirizzato “Ai tiranni del mondo” (Ila Toghat Al-Aalam)

5. parecchie centinaia di migliaia del Cairo, tra i più poveri, vivono nelle “città dei morti” della metropoli.

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