Nell’Ucraina orientale tutte le parti in conflitto sembrano puntare a posizionarsi nel modo per loro più vantaggioso in vista di trattative. Il governo di Kiev intensifica l'”operazione antiterroristica” mentre i dirigenti della “Repubblica di Donetsk” ripuliscono le proprie fila, integrando combattenti caucasici e russi. E mentre venerdì in Normandia per la prima volta Putin, Obama e Poroshenko si ritroveranno assieme, sul terreno incombe l’incubo di un’estensione dei combattimenti ai grandi centri urbani.
Gli ultimi sviluppi nell’Ucraina orientale stanno seguendo due binari principali: da una parte l’intensificarsi degli scontri militari e il netto aumento delle vittime, dall’altra le divisioni sempre più evidenti, ma non sempre facilmente interpretabili, ai vertici della “Repubblica Popolare di Donetsk” (RPD). Per avere un quadro degli eventi e di come si intrecciano gli uni con gli altri bisogna tornare indietro di qualche giorno.
L’operazione antiterroristica e la strage di Volnovakha
Alla vigilia delle elezioni presidenziali del 25 maggio il governo di Kiev ha nuovamente intensificato la cosiddetta “operazione antiterroristica”, nota giornalisticamente con la sigla ATO. Il modello lungo il quale finora è stata condotta la ATO sembra essere quello di una linea che alterna momenti piatti a momenti di improvvisa intensificazione delle operazioni. Nelle ultime settimane, come abbiamo già osservato, sul terreno hanno assunto un ruolo sempre più rilevante, se non addirittura dominante, i vari battaglioni più o meno “privati” o “volontari” che chiaramente sono scarsamente controllabili e formati da uomini poco esperti nella conduzione di operazioni di questo tipo con le seguenti inutili vittime civili che sicuramente alienano gli abitanti locali dalle autorità di Kiev – a tale proposito sono eloquenti i recenti casi di Mariupol e Krasnoarmeysk. In più va aggiunto che proprio nell’ambito dell’ATO è tornato in sordina sulla scena il Pravy Sektor, dopo che a partire dal tentativo di assalto al parlamento in seguito all’uccisione due mesi fa di un suo leader, Oleksandr Muzichko, era stato protagonista di azioni sul terreno solo una volta a fine aprile. In quell’occasione, alcune centinaia di loro militanti avevano tentato di marciare su Maidan a Kiev, tentativo miseramente fallito perché il servizio di autodifesa di Maidan glielo ha impedito a suon di bastonate. La presenza di Pravy Sektor nell’ATO si limita a un pugno di militanti nei battaglioni Azov e Dnepr (ma tra di loro c’è Andrey Denisenko, braccio destro di Dmitro Yarosh), in buona parte appartenenti all’ala neonazista “Patrioti dell’Ucraina”, ma il suo ritorno sulla scena, oltretutto nell’ambito di operazioni militari formalmente comandate dal governo, è sicuramente un pessimo segno. L’ATO comunque si sta dimostrando in buona parte inefficiente e continua a registrare morti inutili tra le sue fila e tra i civili, riuscendo al massimo a contenere in modo incerto le forze della RPD.
La recente intensificazione del conflitto è cominciata proprio con un’azione che ha causato molte vittime tra i soldati dell’ATO. Il 22 maggio a Volnovakha, sulla strada tra Donetsk e Mariupol, un microbus con le insegne della Privatbank (la banca dell’oligarca Kolomoyskiy) è stato lasciato passare a un posto di blocco delle forze ucraine. Immediatamente dopo il passaggio l’autoveicolo si è fermato e dal suo interno sono usciti paramilitari che hanno sparato all’impazzata sui soldati ucraini, uccidendone 17 e ferendone decine di altri, per poi fuggire. I giorni precedenti molti mezzi della Privatbank erano stati sequestrati da paramilitari della RPD e il fatto che il microbus sia stato lasciato passare senza essere fermato al posto di blocco è un segno evidente dell’impreparazione delle forze ucraine. La strage ha però avuto i suoi riflessi anche all’interno della RPD. Il giorno successivo il suo comandante militare Igor Strelkov ha annunciato ufficialmente la fucilazione di due militari della “repubblica” resisi colpevoli di “atti ignobili”, citando a tale proposito non meglio precisate “imboscate” – il riferimento ai fatti di Volnovakha è però evidente. Il comandante Igor Bezler, che controlla la città di Gorlovka, ha subito rivendicato l’azione di Volnovakha, un gesto sicuramente di sfida. E’ un ennesimo segno delle forti divisioni interne alla RPD. Pochi giorni prima era stata pubblicata nella pagina Live Journal di Igor Strelkov la notizia del disarmo del sindaco di Slavyansk, Vyacheslav Ponomarev, che aveva appena minacciato di marciare su Donetsk e di dare una lezione ai leader locali. Ponomarev dopo qualche giorno ha smentito il disarmo, ma ha detto sibillinamente che le sue guardie del corpo erano state sostituite da qualcuno senza che lui ne sapesse il motivo. Dopo alcuni altri giorni è tornato sulla scena nel suo ruolo come se niente fosse: probabilmente è stato “avvisato” da Strelkov e ha accettato la lezione uscendo indenne della faccenda.
Finisce l’era di Maidan
Il 25 maggio si sono svolte le elezioni presidenziali largamente vinte al primo turno da Petro Poroshenko e quelle che hanno portato alla nomina di Vitaliy Klichko a sindaco di Kiev. Entrambi si sono subito premurati, in un modo o nell’altro, di liquidare l’esperienza di Maidan. Il primo he esplicitamente detto che è finita l’era di Maidan ed è cominciata quella della “politica normale”, il secondo ha annunciato lo sgombero definitivo delle tende che ancora rimangono a Maidan. A loro si è aggiunto anche il Pravy Sektor, che si è detto favorevole allo sgombero della tendopoli per sostituirla con “punti di informazione”. L’elezione di Poroshenko porta ai vertici dello stato un oligarca proprio nel momento in cui l’oligarcato (e in prima fila Akhmetov e Kolomoyskiy) stanno cercando di riprendere un saldo controllo del paese e di mettere fine al periodo di instabilità aperto dalle mobilitazioni popolari di Maidan. Di Poroshenko non va dimenticato che la sua corsa alla poltrona di presidente è cominciata con la benedizione di un altro potente oligarca, Dmitriy Firtash, e che il nuovo presidente viene ritenuto da tutti gli osservatori una figura disponibile al compromesso, sia con la Russia sia con gli oligarchi e le altre strutture del passato regime (nel corso della sua carriera Poroshenko ha cambiato più volte fronte ed è stato tra le altre cose ministro dello sviluppo economico del regime di Yanukovich). Intanto il quotidiano russo “Kommersant” in un servizio ha scritto che presto a Kiev ci sarà un rimpasto di governo per fare spazio al suo interno a uomini vicini al nuovo presidente della repubblica. A farne le spese, secondo il giornale, sarà soprattutto il partito di destra Svoboda, la cui presenza nell’esecutivo sarà fortemente ridotta, o addirittura cancellata, in seguito ai pessimi risultati del suo leader Tyahnibok alle presidenziali.
Akhmetov tratta di nuovo con i separatisti
Il 25 maggio a Donetsk si è tenuta anche una manifestazione organizzata dalla RPD che ha marciato fino alla residenza di Rinat Akhmetov, trasferitosi nel frattempo a Kiev. Quando i manifestanti sono giunti alla residenza qualcuno di loro ha proposto di assaltarla, ma uomini di “Oplot” (le milizie di Kharkov che fanno da “tutori dell’ordine” per la RPD) e alcuni ceceni del battaglione Vostok (si veda sotto) si sono schierati a difesa della residenza. Di fronte ai manifestanti il premier della RPD, Aleksandr Borodaj, ha affermato che non bisognava fare alcun assalto perché erano in corso trattative con Akhmetov che forse deciderà di riconoscere la RPD. “Gli oligarchi non sono tutti uguali”, ha detto Borodaj. “C’è il fascista Kolomoyskiy, ma c’è anche Akhmetov, che non combatte contro di noi”. Il portavoce della RPD, Vladimir Makovich, ha poi dichiarato che, contrariamente a quanto annunciato prima, la sua “repubblica” non procederà a nazionalizzazioni perché non è interessata alla proprietà collettiva, ma solo a che “ciascuno sia padrone di ciò che possiede”. Il 31 maggio Borodaj ha confermato le trattative in corso con Akhmetov (che nel frattempo non ha smentito la notizia) e ha ribadito che non ci sarà alcuna nazionalizzazione delle sue proprietà: “Non abbiamo niente in comune con i comunisti, che prendono e nazionalizzano. Noi rispettiamo il diritto alla proprietà privata”.
L’intensificarsi dei combattimenti
Il 26 maggio la situazione è di nuovo precipitata. Tutti mettevano in conto che ci sarebbe stata una nuova intensa ripresa dell’ATO subito dopo l’elezione di Poroshenko. Gli uomini della RPD hanno anticipato la mossa occupando l’aeroporto, ma in breve tempo le forze ucraine lo hanno riconquistato con l’utilizzo anche di jet ed elicotteri. Gli scontri sono stati molto forti e si sono svolti in più punti della città, causando vittime anche tra i civili. Un jet ha colpito tra le altre cose un camion che trasportava miliziani della RPD, causando più di 30 morti e decine di feriti. Le orrende foto dei loro corpi ammucchiati gli uni sugli altri nell’obitorio di Donetsk hanno fatto il giro del mondo segnando un nuovo capitolo nel conflitto. Molte delle vittime sono risultate essere cittadini della Federazione Russa, provenienti dal Caucaso o da altre regioni dello stato confinante. A Slavyansk, che nonostante le operazioni ATO in corso da lungo tempo rimane nelle mani della RPD, così come d’altronde anche Kramatorsk e gli altri centri conquistati dai paramilitari il 13 aprile scorso, le forze ucraine hanno registrato un altro umiliante insuccesso, l’abbattimento il 29 maggio di un elicottero (il quarto fino a oggi) con la morte di dieci militari, tra i quali un generale. Le forze della RPD sono evidentemente dotate di armi efficaci e di uomini esperti nel loro uso che difficilmente sono di origine locale. Nelle ultime ore però le forze ucraine sembrano avere ulteriormente intensificato le loro operazioni. Nella regione di Lugansk è stato respinto l’attacco a un posto di confine, mirato evidentemente ad aprire un canale diretto tra la Repubblica Popolare di Lugansk (RPL) e la Russia. La città di Lugansk è stata oggetto di un attacco aereo e ci sono state 8 vittime, mentre nel momento in cui scriviamo è in atto un’ennesima offensiva contro Slavyansk. Le forze della RPD sembrano trovarsi attualmente in una difficile posizione dal punto di vista militare e non a caso si comincia a parlare di un’apertura di canali di trattativa tra i due fronti, anche se per ora non si è giunti a nulla di concreto.
Il caos militare e politico nella “Repubblica di Donetsk”
Da un paio di settimane è giunto a Donetsk il battaglione Vostok, composto in larga parte da combattenti ceceni e di altre zone della Federazione Russa, tutti molto bene armati. La presenza dei ceceni è stata ampiamente documentata da svariate fonti e confermata anche da membri della RPD. Va notato che il nome Vostok è lo stesso di un battaglione ceceno che agiva nell’ambito dell’esercito russo e che si è messo in luce per la sua efficacia anche durante la guerra russo-georgiana del 2008. Solo che poi il suo comandante, Sulim Yamadaev, è caduto in disgrazia presso la dirigenza cecena, il battaglione è stato sciolto e quasi tutti i suoi membri sono stati uccisi. L’intervento di questo nuovo Vostok sembra svolgere due funzioni: da una parte si tratta di uomini bene armati e addestrati ai combattimenti militari in zona urbana, capacità che alle attuali forze della RPD evidentemente manca, dall’altra servono come braccio armato di chi, cioè probabilmente Igor Strelkov, vuole mettere ordine tra le fila della RPD. Inutile dire che il controllo da parte della Russia, per quanto ufficialmente non esistente, sembra avere raggiunto il suo culmine: è cittadino russo il comandante delle forze armate della RPD, è cittadino russo anche il suo premier (ed entrambi sono uomini dei servizi segreti di Mosca) e ora sono caucasici e russi anche i suoi effettivi militari di gran lunga più efficaci e meglio armati. Il 29 maggio i paramilitari del Vostok hanno distrutto con bulldozer le barricate intorno all’amministrazione regionale di Donetsk, sede del governo della RPD, che, secondo quanto è stato dichiarato, verranno sostituite con un sistema di posti di blocco organizzati in modo militarmente professionale.
Ma la situazione nella RPD è lontana dall’essere stata riportata all’ordine. Solo a Slavyansk la situazione sembra essere saldamente in mano all’ala militare di Strelkov. Come abbiamo visto, altre città, per esempio Kramatorsk, sembrano essere in conflitto con Slavyansk. A Mariupol la situazione è calma, ma non si capisce chi esattamente abbia il controllo della città. E a Donetsk regna ancora il caos. Dopo l’intervento del battaglione Vostok e la “pulizia” della sede del governo della RPD, quest’ultimo ha emesso un comunicato in cui si afferma che “le forze dell’esercito popolare della RPD hanno condotto un’operazione antiterroristica per liquidare i gruppi di sabotatori del nemico e la ‘quinta colonna’ tra le fila dei miliziani”. Inoltre i vertici della RPD hanno introdotto la legge marziale, con la quale tutte le funzioni degli organi civili passano agli organi di governo militare e ai tribunali militari che potranno disporre la fucilazione degli arrestati, con una raggelante precisazione: “non ci saranno fucilazioni sul posto. Se da qualche parte ciò accadrà si tratterà di un eccesso degli esecutori, e non dello stato”. Intanto nei giorni scorsi il “presidente” della RPD, Denis Pushilin, ha a quanto pare abbandonato Donetsk e da allora non si è più fatto vedere. Il 25 aprile è stata annunciata in gran pompa la fusione tra le regioni di Donetsk e Lugansk in una nuova repubblica denominata “Novorossiya” (“Nuova Russia”), ma un paio di giorni dopo la notizia è stata smentita dal governo della RPD. “Novorossiya” è il nome del partito appena creato dall’ex “governatore” della RPD Pavel Gubarev, il nazista che lancia comunicati video con alle spalle i ritratti di Vladimir Putin e Hugo Chavez e riguardo al quale non è ancora chiaro da che parte stia nell’ambito del conflitto interno in corso nella RPD. Così come non è chiaro da che parte esattamente si schierino Igor Bezler che controlla Gorlovka, il barbuto Babay che controlla Konstantinovka, Valeriy Bolotov capo della “Repubblica di Lugansk” o le milizie di Kramatorsk.
Il contesto internazionale
Sul fronte internazionale c’è da registrare innanzitutto la freddezza della Russia. Dai giorni immediatamente precedenti il referendum dell’11 maggio Mosca ha cambiato decisamente tono riguardo agli eventi nell’Ucraina orientale. Tra le altre cose, la RPD ha inviato alla Russia una richiesta di aiuto, ma il ministero degli esteri di Mosca ha commentato seccamente: “Non abbiamo ricevuto una tale richiesta. Se la hanno inviata probabilmente la riceveremo”. Come scrive Valentin Krasnoperov sul sito ucraino “Hvylya”, “l’obiettivo fondamentale di Putin è quello di installare nel Donbass una élite politica che ne diventi il nucleo controrivoluzionario, per poi ottenere da Poroshenko, tramite pressioni, la legalizzazione dello stato delle cose”. Il giornalista russo Oleg Kashin da parte sua così commenta i cambiamenti nella RPD e il sempre maggiore ruolo al suo interno di soggetti della Federazione Russa: “Se si trattasse di creare uno stato fantoccio che deve durare per lungo tempo, le autorità [di Mosca] dovrebbero appoggiarsi principalmente a gente locale, cercando di legittimare il più possibile le ‘nuove autorità’ mediante il coinvolgimento di forze locali. Altra cosa è invece quando ciò che serve è solo la creazione di un focolaio di tensione per il periodo di cui il committente ha bisogno per condurre negoziati da una posizione forte”. Infine, viene confermato da più fonti il ritiro almeno parziale delle truppe di Mosca dal confine con l’Ucraina. In realtà non è una garanzia di non intervento: ad aprile esperti militari avevano già fatto notare che entro fine maggio ci sarebbe stato bisogno di un ritiro parziale e di un avvicendamento degli effettivi per garantire la prontezza a un intervento. L’occidente, a parte lo scontato sostegno al neoeletto Poroshenko, mantiene anch’esso un profilo basso. Gli Usa hanno nuovamente respinto una richiesta di aiuti militari da parte di Kiev e l’Ue è distratta dal dopo-elezioni e dalle divisioni interne. Ciò non ha impedito al grande capitale mondiale di partecipare al forum economico di San Pietroburgo organizzato da Igor Sechin, capo della Rosneft e braccio destro di Putin colpito dalle sanzioni Usa. Era presente tra gli altri il CEO di Eni, e BP e Total vi hanno firmato contratti da centinaia di milioni di dollari. L’Ue da parte sua però è attiva su un altro fronte, quello delle trattative per evitare la sospensione delle forniture di gas dalla Russia all’Ucraina nel corso della settimana, dopo che Mosca aveva introdotto unilateralmente il pagamento anticipato delle consegne a partire da giugno, che Kiev al momento non è in grado di pagare. Il 2 giugno la Russia ha spostato di una settimana la scadenza per la sospensione delle forniture. Secondo molti osservatori vi è una buona possabilità che si giunga a un compromesso, che potrebbe poi aprire la via a negoziati anche riguardo all’Ucraina orientale.
L’ipotesi delle trattative e il rischio che la situazione sfugga di mano
Il quadro generale ci sembra quello del tentativo da parte di tutte le parti in gioco di posizionarsi nel modo per loro più vantaggioso in vista di trattative. Sono molti infatti ad attendersi importanti sviluppi diplomatici per venerdì prossimo, 6 giugno, quando Putin prima incontrerà privatamente Hollande e poi parteciperà alla cerimonia per commemorare lo sbarco in Normandia, alla quale prenderanno parte anche Obama e Poroshenko. Uno dei più noti analisti russi, Feder Lukyanov, ha addirittura scritto che è imminente una nuova Dayton in versione ucraina. I segnali del fatto che è in corso un riposizionamento generale degli attori sono molteplici. La “pulizia” all’interno della RPD mira a escludere le forze locali meno controllabili ponendole sotto un più diretto controllo dell’ala militare guidata dai moscoviti Strelkov e Borodaj. Se l’operazione avrà successo la Russia disporrà di una leva molto meno disordinata e quindi più facilmente manovrabile secondo necessità, ma il successo dell’operazione non è garantito. Anche il governo di Kiev, seppure con meno successo, sta cercando di posizionarsi militarmente con la ATO. Poiché non è chiaro che risultati a lungo termine intenda concretamente ottenere (la ripresa del controllo dell’Ucraina orientale per via militare sarebbe sicuramente un fallimento, visto che le autorità di Kiev non godono certo di una sufficiente popolarità in loco), anche qui tutto lascia intendere che l’obiettivo principale sia quello di aprire trattative da posizioni più forti. L’innalzamento del livello dello scontro militare e del numero delle vittime, anche tra i civili, al fine di aumentare la posta in gioco prima di aprire negoziati è purtroppo un classico di questi tipi di conflitto. Così come è un classico, per esempio, anche il sequestro di osservatori internazionali (in questo caso dell’Osce). Tuttavia il moltiplicarsi delle parti in gioco e delle divisioni interne parla anche di una situazione poco controllabile e che rischia di sfuggire di mano. Ci riferiamo in particolare alle divisioni interne alla RPD, su un fronte e, sull’altro, ai battaglioni “privati” nonché agli attriti tra i diversi oligarchi. E su tutto incombe l’incubo di un allargarsi del conflitto armato all’intera città di Donetsk, che comporterebbe sicuramente una carneficina tra la popolazione civile.
* articolo apparso sul sito www.crisiglobale.wordpress.com che in questi mesi ha pubblicato articoli tra i più documentati e seri sulla situazione in Ucraina.