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stazioni servizio interno shop alimentari kyDopo tanti rinvii, dopo tanto tergiversare, finalmente, si potrebbe dire, la legge sugli orari di apertura dei negozi avrebbe dovuto essere discussa dal Parlamento cantonale. E, invece all’ultimo momento, un colpo di scena: una maggioranza del Gran Consiglio, su proposta democristiana decide di rinviare la trattanda ad una prossima seduta.

Obiettivo conclamato di questo rinvio, fortemente voluto dal sindacato OCST, sarebbe quello di trovare una “soluzione” (non si capisce tuttavia quale) che possa accontentare le organizzazioni sindacali e impedire il lancio di un referendum.
Una situazione difficile e pericolosa nella quale il rischio è quello di un brutto compromesso assai simile a quello che aveva portato la stessa OCST a non sostenere il referendum (vittorioso) contro la revisione della legge del 1998.
È evidente che le organizzazioni sindacali (non solo l’OCST, ma anche UNIA che in queste ultime settimane si sta caratterizzando per un profilo basso sulla questione, quasi l’annunciato referendum contro il progetto di legge fosse lanciato di malavoglia…) pensano di avere un rapporto di forza oggi sfavorevole. Ma le campagne politiche si fanno proprio per cambiare le situazioni di partenza.

 

Un processo di liberalizzazione a tutto campo

La liberalizzazione e l’allargamento degli orari di apertura dei negozi avviene, nel progetto di legge in discussione, su più fronti.
Il primo è sicuramente quello dei negozi di vendita al dettaglio (grandi e piccoli) che vedono prolungato l’orario giornaliero di apertura: fino alle 19.00 tutti i giorni con la conferma del giovedì fino alle 21.00 e l’allungamento del sabato fino alle 18.30.
A questo si aggiunge il carattere definitivo di quelle che oggi appaino come una serie di deroghe (le domeniche che precedono il Natale, alcuni giorni festivi infrasettimanali, ecc.). Sta di fatto che con la nuova legge 8 o 9 domeniche all’anno i negozi potranno rimanere aperti (senza contare eventuali deroghe per eventi “eccezionali” quali anniversari, eventi speciali, ecc.).
Infine, ed è qualcosa di tutt’altro che trascurabile, si procede ad una ampia liberalizzazione degli orari di apertura nei negozi annessi alle stazioni di benzina. Si tratta, a nostro modo di vedere, dell’aspetto più importante di questa riforma legislativa, poiché liberalizza (e qui di fatto si tende ad un’apertura 24 ore su 24, 7 giorni su 7) un settore sempre più importante e per nulla “particolare”.
Infatti questi punti di vendita annessi alle stazioni di benzina si sono trasformati in veri e propri piccoli supermercati che, per offerta merceologica, non hanno nulla da invidiare alle grandi catena di distribuzione. Come potrebbero d’altronde, visto che a dominare questo settore dei negozi annessi alle stazioni di benzina vi sono proprio loro: COOP e Migros prima di altri?
Si tratta di uno sviluppo nel quale non è più la stazione di benzina ad essere il punto centrale di questi luoghi, ma il piccolo supermercato; a tal punto che qualcuno ha detto, giustamente, che si dovrebbe parlare non di negozi annessi alle stazioni di benzina, ma di stazioni di benzina annessi ai negozi!
Infine, come poteva essere altrimenti, l’attuale regolamentazione che permette al FoxTown di aprire la domenica assurge a legge. Il progetto di legge integra, ed in parte estende, le possibilità di apertura domenicale per i centri commerciali che provvederebbero ai bisogni dei viaggiatori e dei “turisti”. Nulla di nuovo sotto il sole, visto che tale possibilità era già contemplata nell’attuale regolamento di applicazione della legge. Resta irrisolto (e la legge cantonale sugli orari di apertura non può risolverlo) il problema del divieto del lavoro domenicale nei centri commerciali: aspetto che rende da anni illegale quanto si fa al FoxTown ogni domenica.

 

Il momento opportuno?

Detto questo val la pena interrogarsi sulle ragioni che hanno spinto proprio in questo momento la maggioranza del Parlamento a lanciarsi in questa battaglia, visto che nessuno aveva dubbi (almeno finora bisogna aggiungere, alla luce degli ultimi sviluppi evocati all’inizio di questo articolo) sul fatto che contro questa riforma verrebbe comunque lanciato un referendum.
Crediamo che a spingere i partiti borghesi verso questa prova di forza sia il sentimento di attraversare un periodo economico, sociale e politico sostanzialmente favorevole alle loro tesi e quindi di poter vincere questa importante partita. Un sentimento, come detto, che le organizzazioni sindacali sembrano condividere e che le fanno esitare a dare battaglia, come dimostra il tentativo odierno di guadagnare tempo per cercare un qualche compromesso.
Questa percezione dei partiti borghesi non è sicuramente sbagliata. Molti indizi vanno in questa direzione. A cominciare dal contesto economico difficile nel quale hanno presa le idee semplici, diffuse dagli ambienti borghesi e padronali, secondo le quali maggiori flessibilità e liberalizzazioni, nonché l’abbattimento di eccessive regolamentazioni “libererebbero” nuove energie in ambito economico, favorirebbero la crescita economica, fornendo occasione di lavoro e di reddito. Un circolo virtuoso che avrebbe come punto di partenza la liberalizzazione e l’allargamento degli orari di apertura dei negozi. In forma più popolare: “più lavoro che crea lavoro”.
Accanto a questa valutazione sulla migliore accoglienza di queste ipotesi (ed a loro conferma) vi è sicuramente l’arretramento della capacità di azione e di presenza sul territorio e nel dibattito politico e sociale da parte delle organizzazioni sindacali.
Siamo sicuramente lontani dalla configurazione che aveva permesso di vincere il referendum in occasione dell’ultima proposta di modifica della legge sugli orari di apertura (1998). Da allora possiamo dire che abbiamo assistito ad un declino della capacità sindacale di incidere nel dibattito e nell’azione nel settore della vendita.
Lo dimostrano non solo la vicenda FoxTown, ma anche i risultati delle votazioni nelle quali la popolazione ticinese è stata chiamata ad esprimersi su un tema che in qualche modo toccava la liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi. Pensiamo, ad esempio, all’ultima votazione federale relativa agli orari di apertura dei negozi situati sui grandi assi di comunicazione (la famosa votazione della luganighetta). Ebbene, il Ticino dove il movimento sindacale è stato il pioniere delle battaglie contro la liberalizzazione degli orari di apertura dei negozi, è stato registrato il secondo risultato più favorevole (dopo Zugo) alla liberalizzazione.
Infine anche sul terreno della mobilitazione dei lavoratori e delle lavoratrici del settore, i passi avanti fatti tra la fine degli anni ’90 e la metà degli anni Duemila sono svaniti in una concezione gestionale e assistenziale dell’attività sindacale, con scarse mobilitazioni e una scarsa presenza sui luoghi di lavoro.

 

Una battaglia persa?

Non diremmo. Vi sono le condizioni per condurre una battaglia referendaria che possa effettivamente avere presa tra la popolazione.
A nostro avviso le condizioni perché essa riesca devono punto di partenza il rifiuto di una legge che prevede di fatto un peggioramento delle condizioni di lavoro del personale. Questa prospettiva è l’unica che possa offrire un collegamento tra il personale della vendita e gli altri salariati ai quali i fautori della legge faranno appello nella loro veste di “consumatori”.
Bisogna per contro mettere l’accento proprio sul deterioramento delle condizioni di lavoro nella vendita, simili a quelle che ogni salariato sta vivendo da tempo nel proprio settore di lavoro. Che siano i lavoratori del settore privato o quelli del settore pubblico, tutti sono confrontati con un costante peggioramento delle condizioni di lavoro centrato su sempre maggiore flessibilità e precarietà.
Un secondo aspetto decisivo che va affrontato con chiarezza è quello della cosiddetta “crisi” nel settore del commercio. Qui i fenomeni di “crisi” sono strettamente legati ai processi di liberalizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro che tendono a mettere “fuori mercato” i piccoli e medi commerci, favorendo il processo di concentrazione. Un processo che non porta per nulla ad una crisi per i grandi gruppi che lo dominano: prova ne sia che da anni ormai assistiamo a fatturato e margini di utile in costante progressione.
Su questo terreno, in particolare, va combattuta il tentativo di collegare la cosiddetta “spesa oltre frontiera” agli orari di apertura dei negozi, tentativo sul quale è incentrata la giustificazione della proposta di liberalizzazione. Ci pare fondamentale rifiutare tale logica; è necessario spostare la discussione dagli orari di apertura alla questione di salari e redditi che sono la causa fondamentale della spesa oltre frontiera: un vero e proprio atto di autodifesa dei salariati-consumatori di fronte ad una erosione costante del loro potere d’acquisto.
È sviluppando questi temi, nel quadro di una campagna unitaria, che non voglia ricorrere solo ai mezzi di propaganda tradizionali (affissioni, annunci, discesa in campo di “personalità” esterne al mondo sindacale – che tra l’altro portano anche sfiga come hanno dimostrato i risultati disastrosi dell’ultima votazione sul salario minimo), sarà possibile cercare di combattere con qualche chance di successo una battaglia che si annuncia sicuramente difficile.
La decisione di lunedì scorso ci dice che forse questa battaglia non ci sarà e ci si avvia verso un pessimo compromesso. Le dichiarazioni padronali del giorno dopo (secondo le quali non vi sarebbe nulla da negoziare) ci fanno dire che si è partiti veramente male.