In seguito all’assassinio di Michael Brown, il 9 agosto 2014, a Ferguson, periferia di Saint-Louis nel Missouri, le forze di polizia ancora una volta hanno ucciso, martedì 19 agosto, un giovane afroamericano di 23 anni, sempre in una periferia povera di Saint-Louis. Il suo nome era Kajieme Powell. I due poliziotti che hanno sparato parecchie volte al ragazzo, affermano che aveva un coltello in mano. In una formula tradizionale che riassume una situazione presentata sempre secondo lo stesso schema: «La polizia era in stato di legittima difesa»!
Contemporaneamente, gli arresti indiscriminati di manifestanti si moltiplicano durante le manifestazioni di Ferguson. Ci saranno pesanti pene di prigione.
Alle forze di polizia militarizzate – comprano dall’esercito statunitense le eccedenze che non è riuscito ad «adoperare» in Irak, in Afghanistan e altrove – si è aggiunta la Guardia Nazionale dello Stato del Missouri. In altre parole, una struttura che, di fronte a manifestazioni massicce, sa soltanto schiacciarle con un’estrema violenza. Il quotidiano più diffuso USA Today del 19 agosto 2014 constata: «Mandare la Guardia Nazionale è da sempre un’ammissione di sconfitta che partecipa alla stigmatizzazione di una comunità tanto quanto la violenza che si suppone debba fermare.»
Di fronte a questa crisi che rivela la permanenza della cosiddetta questione razziale, Obama ha mandato nella contea il ministro della Giustizia, Eric Holder, il che fa scrivere al Washington Post in una formula molto concisa: «Si vede che la morte dell’adolescente nero è diventata il simbolo di qualche cosa di enorme, un test per la giustizia americana e per la capacità del governo di sorvegliare la polizia che si ritiene sorvegli tutti gli altri.»
Jake Tapper, in un servizio sulla rete CNN, affermava che era incomprensibile vedere queste forze militarizzate agire in tal modo. E poneva la domanda: «Perché fanno questo? Non so. Non ci sono motivi. Niente lo giustifica. Certo ci sono stati saccheggi. Certo ci sono state violenze in questi ultimi 9 giorni. Ma nelle strade non succede niente che giustifichi delle scene degne di Bagram.» In una parola: la base aerea di Bagram in Afghanistan, nota per le brutalità che degli «specialisti» fanno subire ai prigionieri; base aerea che Tapper ha conosciuto.
Le indagini iniziano a confermare le affermazioni degli amici e dei familiari di Michael Brown. I risultati dell’autopsia richiesta dalla famiglia, resi pubblici lunedì 18 agosto 2014, hanno concluso che il ragazzo era stato colpito da almeno sei pallottole, di cui due alla testa, e da dietro. Secondo il Los Angeles Times di martedì 19 agosto, i risultati della secondo autopsia, richiesta a livello federale, parlano anche di sei ferite da pallottola. Come verrà giudicato il poliziotto? La giustizia dovrà rispondere a un’interrogazione ripresa dai manifestanti e citata da The Guardian del 20 agosto: «Perché un poliziotto vale di più di un giovane Nero?»
Di seguito riproduciamo l’intervista rilasciata a Lorraine Millot da Thomas Sugrue, professore di storia e sociologia presso l’università di Pennsylvania. In un libro tradotto in francese nel 2012, Il Peso del passato, Barack Obama e la questione razziale (Ed. Fahrenheit, 174 pp), lo storico dei diritti civili ricorda che questo «passato» fatto di umiliazioni e segregazione non è ancora realmente passato.
Ferguson è un caso isolato oppure esprime tensioni razziali più generali negli Stati Uniti?
Ciò che succede a Ferguson fa eco a tensioni antiche, che si sono già viste in altri posti, come in Florida dopo la morte di Trayvon Martin. Il turbamento che si vede a Ferguson è il risultato di quarant’anni d’investimenti nel trattamento poliziesco e giudiziario, piuttosto che sociale, delle disuguaglianze razziali. Gli Afroamericani sono molto più spesso controllati, arrestati, perseguiti in giudizio e incarcerati che i Bianchi. Il fenomeno è così diffuso che ha generato l’espressione «Driving While Black» (letteralmente «guida in stato di negritudine»), che esprime il fatto che i guidatori neri hanno molte più probabilità dei Bianchi di essere fermati e perseguiti per infrazione stradale. Spesso i poliziotti approfittano dei controlli stradali per perquisire le macchine e vedere se trasportano droghe o altri prodotti illeciti. In città come Ferguson, è anche una fonte maggiore di redditi per i poliziotti che incassano le multe. Ciò che ovviamente provoca molto risentimento.
Questo sarebbe peggiorato negli ultimi anni?
Il cambiamento più drammatico è la militarizzazione della polizia. È iniziata negli anni 1960 con le sommosse urbane, ma è drammaticamente peggiorata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. In una piccola città di periferia come Ferguson, si è potuto vedere che la polizia era attrezzata come un vero piccolo esercito!
Quindi l’elezione di Obama non ha placato le tensioni razziali negli Stati Uniti?
L’elezione di Obama ha spinto molta gente a credere che l’America aveva superato la sua lunga storia di disuguaglianze razziali. Con un Nero alla Casa Bianca, molti hanno pensato che il problema era risolto. I Bianchi sono meno pronti a riconoscere il problema. E i Neri hanno creduto che la loro situazione sarebbe migliorata: oggi c’è un abisso fra le loro attese e le disuguaglianze che si mantengono, è questo abisso che nutre la rabbia. Ferguson e Saint-Louis sono due esempi perfetti di città ancora profondamente «segregate». I Neri sono andati a vivere in quelle che chiamo le «periferie di seconda mano»: le case non sono più in ottimo stato, i Bianchi le lasciano e i Neri subentrano. Ci sono molte altre Ferguson negli Stati Uniti, dove Neri e Bianchi vivono ancora in quartieri separati. C’è sì un movimento d’integrazione, ma è estremamente lento. I cambiamenti sono soltanto marginali.
Barack Obama avrebbe potuto fare di più?
La sua reazione a Ferguson è stata tipica: ha richiamato alla pace, al rispetto e alla coesione. Riprende la sua retorica ben nota di riconciliazione delle razze. Avrebbe potuto fare di più, andando di persona a Ferguson o a Saint-Louis per rivolgersi a tutte le comunità riunite nell’occasione. Ma ogni volta che affronta l’argomento razziale, scatena controversie.
I detrattori di destra lo accusano immediatamente di essere razzista anche lui, il che lo spinge ad essere estremamente prudente. Detto ciò, ha anche richiesto un’indagine approfondita al suo ministro della Giustizia, Eric Holder, che gode di più credibilità fra i militanti per i diritti civili.
Alcuni militanti neri accusano addirittura Obama di avere peggiorato il problema facendo credere che ora l’America sarebbe post-razziale…
Il fatto è che ora siamo intrappolati nell’illusione che gli Stati Uniti siano entrati in un’era post-diritti civili. L’idea è che se ci sono ancora disuguaglianze, sono dovute a fallimenti individuali piuttosto che a ingiustizie di sistema. Mentre i sistemi educativo, poliziesco o bancario continuano a mantenere queste disuguaglianze. Il tasso di disoccupazione dei Neri è ancora doppio di quello dei Bianchi.
Detto ciò, il movimento di protesta a Ferguson, così come quello che aveva seguito la morte di Trayvon Martin [26 febbraio 2012, a Stanford in California; l’omicida George Zimmerman verrà assolto dalla giustizia nel 2013], dà anche la speranza che gli Afroamericani ora manifestino il loro malcontento. A Ferguson, i manifestanti sono scesi in strada contro le istituzioni che li discriminano, la polizia e il governo locale. Ci avviciniamo alle sommosse urbane degli anni 1960. Bisogna ascoltare i manifestanti.