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m-teresa-rodriguez-rubio-podemos jlj-8Pubblichiamo un’interessante intervista a Maria Teresa Rodriguez, militante di Izquierda Anticapitalista e deputata europea di Podemos sullo stato di Podemos a cinque mesi dalle elezioni europee sul dibattito interno e l’articolo di Josep Maria Antentas, militante di Izquierda Anticapitalista e professore di Sociologia alla Università Autonoma di Barcellona, sul processo costituente in Catalogna.

 

Come si sta costruendo Podemos cinque mesi dopo le elezioni europee?

Il compito principale è di costruire una organizzazione politica, con dei principi politici, delle regole di funzionamento democratico, che combinino l’autoorganizzazione dal basso e la capacità di integrare grandi masse nel suo funzionamento. Da una parte ci sono più di un migliaio di circoli (assemblee di base) autoorganizzate, e dall’altra più di 100.000 “aderenti” che si sono iscritti via internet. La sfida è di creare un’organizzazione democratica capace di sostenersi nello stesso tempo sulla base organizzata e sulla partecipazione massiccia delle persone attraverso la via telematica.

E’ un processo che si concluderà, dopo un processo di due mesi definito “Assemblea cittadina Noi possiamo” Questo lavoro è fatto in parallelo con l’inizio di una attività istituzionale dei deputati nel parlamento europeo.

 

Infatti, come questo lavoro europeo può servire agli anticapitalisti?

In primo luogo dobbiamo essere i portavoce dei movimenti sociali nelle istituzioni. Io lavoro nella commissione ambiente del Parlamento, in rapporto con una cinquantina di movimenti ecologisti per denunciare gli attacchi contro l’ambiente e sostenere questi movimenti per ottenere delle vittorie. Per esempio sui rifiuti tossici nei laghi.

Inoltre, come deputata, si ha accesso a delle informazioni che permettono di prevedere i futuri attacchi… e le mobilitazioni necessarie. E infatti abbiamo denunciato le trattative segrete sul trattato transatlantico contro cui si è espresso molto chiaramente uno dei nostri primi atti nel Parlamento europeo.

Un terzo aspetto è di denunciare dall’interno un’istituzione che difende la finanza e le banche.

 

Puoi parlarci di dibattiti che attraversano oggi Podemos?

Podemos vuole essere unicamente una forza governativa, per il potere, o anche un quadro di mobilitazione e di lotta? Il dibattito si colloca tra una tensione tra l’ambizione di arrivare al potere per via elettorale, non essendo troppo definiti sulle rivendicazioni e il bisogno di precisare il nostro programma e ciò che difendiamo.

Per una parte della direzione, il rischio è che, se si precisano troppo le cose, questo può far perdere voti sul piano elettorale.

Per noi è necessario rafforzare il potere dei circoli per vincere. Non è solo una questione etica o democratica. Noi siamo divergenti da coloro che pensano che la partecipazione numerica tramite internet sia sufficiente e non ci sia la necessità di appoggiarsi sulla democrazia diretta dei circoli. Internet non può sostituirsi al contatto fisico tra le persone attraverso cui si costruiscono le solidarietà e gli interventi.

 

Qual’è l’orientamento di Izquierda Anticapitalista (IA) rispetto a Podemos?

Noi pensiamo che Podemos sia l’espressione politica di un profondo malcontento verso il sistema attuale e di una volontà di cambiamento radicale che passa attraverso l’autoorganizzazione e l’ingresso massiccio delle persone nella scena politica. Da questo punto di vista difendiamo un partito che sia radicato nei settori popolari e nelle lotte e che sia uno strumento di autoorganizzazione popolare.

IA può portare a Podemos una certa esperienza del nostro inserimento nel movimento sociale e noi lo stiamo facendo in modo generoso e disinteressato. La corrente politica che rappresenta IA ha ancora molto da apportare all’interno di Podemos. In ogni caso definiremo la nostra politica relativa a Podemos, durante il nostro prossimo congresso che si svolgerà tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015.

 

In Catalogna ci sarà presto un importante referendum. Quali sono le posizioni di Podemos rispetto alla questione nazionale, una questione molto importante nello Stato spagnolo.

Non ci sono ambiguità in proposito: Podemos difende il diritto a decidere su tutti i temi: sovranità nazionale, economica, sociale…. In questo quadro, Podemos difende il diritto all’autodeterminazione. E’ una posizione chiaramente espressa dal movimento.

In Catalogna Podemos sostiene il processo che conduce al referendum del 9 novembre, con una posizione critica rispetto alla CiU (Federazione dei partiti politici autonomisti catalani di centro-destra al governo in Catalogna, ndr.) perché questi difendono i tagli di bilancio e l’austerità. L’unica patria della CiU è il denaro…

 

 

Stato spagnolo. 11 settembre e 9 novembre: il momento della verità

 

di Josep Maria Antentas

 

Non vi è alcun dubbio. Si avvicina il momento della verità. Quale? I prossimi mesi varranno anni. Essi potranno, nel bene o nel male, costituire un’accelerazione verso la rottura del quadro istituzionale creato nel 1978 [adozione della Costituzione post-franchista]; in caso contrario, potranno rappresentare l’epico naufragio del processo avviatosi nel 2012, lasciando così dietro di sé un’eredità piena di cinismo e di frustrazione senza precedenti.

Le prime fasi della sceneggiatura delle prossime settimane sembrano chiare. Dopo la mobilitazione del 11 settembre1, il governo del Mas (l’assemblea della Generalitat della Catalogna) approverà la Legge delle Consultazioni (la legge che riguarda il voto sull’indipendenza) e, a partire da questo momento, siglerà il decreto di convocazione in vista della consultazione che sarà, secondo ogni probabilità, sospeso dal Tribunale costituzionale.

E’ in questo momento che ci si troverà di fronte a due opzioni. Da una parte, mantenere sino in fondo la spinta alla disobbedienza democratica perché solo essa darà ali al processo sovranista e logorerà lo Stato; dall’altra parte, fare marcia indietro. Questa seconda opzione consta a sua volta di diverse possibilità che vanno dalla ricerca a breve termine di un’altra via per far esprimere l’esercizio democratico del diritto di decidere [sull’indipendenza] fino al tentativo di rinviare il processo sine die.

Rispettare la decisione del Tribunale Costituzionale, tutto indica che sia questa la volontà del Mas -a discapito della sua enfatica gestualità – sarebbe un errore strategico di prim’ordine. Un pessimo sintomo. Il primo passo da compiere deve essere a tutti i costi la difesa della consultazione. Disobbedire ad un divieto, non solamente ingiustificabile e inspiegabile al di fuori del quadro dello Stato spagnolo, ma anche davanti ad una parte considerevole dell’opinione pubblica spagnola, diventa la sfida principale delle forze democratiche catalane.

L’Assemblea Nazionale Catalana (Anc) e coloro che dirigono il movimento indipendentista dovrebbero scommettere con chiarezza per questa opzione e non accettare la politica dei “piani B” dal contenuto incerto. Poste di fronte all’evidenza che non andrà così, le forze della sinistra devono trasformarsi nelle principali protettrici e difensori della consultazione. Nel momento della verità, non ci devono essere dubbi su chi si pronuncia sino in fondo in favore del diritto a decidere.

 

Unità? Quale unità?

In questa situazione sarà elemento portante il mantenimento nel corso dei prossimi mesi di un blocco unitario, il più ampio possibile, tra i sostenitori della consultazione. Un’unità che non può, tuttavia, essere a rimorchio del governo di Artur Mas. Essa deve intraprendere una forte pressione su quest’ultimo e pretendere di superarlo. Non bisogna permettere alcuna scappatoia che miri ad un ritiro o all’autorizzazione di un ennesimo rinvio di questo momento cruciale per rimandare in questo modo i tempi di un processo che non può reggere indefinitamente se si spera che non perda tutta la sua forza.

L’unità in difesa della consultazione non deve essere confusa con il mantra dell’unità patriottica che sottomette tutte le contraddizioni sociali alla questione nazione ed è utilizzato per disinnescare la resistenza contro le politiche di austerità.

Lo scandalo Pujol2 dovrebbe servire da ultimo avvertimento per tutti coloro che difendono ancora questa politica in buona fede. I problemi sono in casa, non solo dall’altra parte dell’Ebro (fiume che segna il confine tra la Catalogna e il resto dello Stato spagnolo).

La giustificazione di una strategia indipendentista sconnessa dalle rivendicazioni sociali è fondata sull’argomento che “occorre, innanzitutto, marciare tutti insieme verso l’indipendenza per non dividerci e indebolirci. Dopo, discuteremo su quale Catalogna vorremo”. Questo argomento ha molti punti deboli.

1° L’unità in favore dell’esercizio a decidere non è incompatibile con la difesa da parte di ciascuno del suo modello di paese.

2° Un indipendentismo senza contenuto sociale si mostra incapace di creare legami con una parte importante dalla società catalana di origine popolare e lavoratrice che si identifica in misura minore con il nazionalismo catalano.

3°Oggi, qui ed ora, noi siamo già di fronte ad un modello di paese e quelli che lo dirigono imprimono il loro segno giorno per giorno attraverso tagli al bilancio, licenziamenti e sfratti.

Esiste già una Catalogna, quella del potere finanziario, quella del Mas, la sua Catalogna. Perché bisognerebbe subordinare nel tempo la difesa della nostra Catalogna? Perché, noi che vogliamo una Catalogna senza tagli, senza licenziamenti, senza sfratti dovremmo posporre le nostre proposte? Non si dovrebbe forse rivendicare la stessa cosa a coloro che compiono i tagli, sfrattano e licenziano? Non bisognerebbe allora decidere che i tagli al bilancio, i licenziamenti e gli sfratti siano egualmente rimandati a favore dell’unità di tutti? Non c’è alcun dubbio: licenziare, sfrattare e compiere i tagli divide la società catalana. Ma da tutto questo qualcuno ne trae beneficio, ed è quello che conta in ultima istanza.

4° Non bisogna mai dimenticare che durante un processo di transizione, colui che lo controlla determina ciò che avviene nelle fasi successive; e che attraverso quest’ultimo, i rapporti di forza tra gli attori sociali non sono mai eguali. Le concessioni e le smobilitazioni di oggi non potranno mai essere recuperate più tardi.

La subordinazione delle rivendicazioni sociali e di quelle economiche alle rivendicazioni politiche ha dietro le sue spalle una lunga tradizione di sconfitte nel percorso dei movimenti popolari di ogni sorta. La storia è piena di rivoluzioni a tappe che non hanno mai conosciuto dopo l’approdo democratico la tappa sociale, dispersa nel tempo delle illusioni spezzata. Non si tratta di andare troppo lontano nel tempo: paradossalmente, il discorso “prima l’indipendenza, dopo il resto” assomiglia sorprendentemente all’argomento presente durante la Transizione (post-dittatura franchista), “prima la democrazia, poi i diritti sociali”. Il ragionamento è servito a giustificare le rinunce e le concessioni che non si possono riottenere. In politica, le promesse per l’avvenire non esistono, sono illusorie e fugaci allo stesso tempo. Approfittare del momento opportuno, della congiuntura adeguata, è alla base di qualsiasi movimento rivendicativo. Quello che non può essere conquistato oggi, nessuno potrà garantirtelo domani. Non dimentichiamo, tuttavia, il detto secondo cui l’essere umano è il solo animale che inciampa due volte sulla stessa pietra… .

L’unità nazionale, inoltre, lungi dell’essere una politica del momento, finisce per trasformarsi in una strategia permanente che, una volta, impegnatisi, non lascia vie di uscita. Se oggi si accetta il ragionamento “prima l’indipendenza, dopo il resto”, bisognerà in seguito accettare, nell’ipotesi di una Catalogna indipendente, l’austerità imposta dall’Unione Europea. “Restate tranquilli, bisogna fare dei sacrifici affinché la Troika ci riconosca, ma più tardi ritroveremo i nostri diritti perduti” costituirà la sostanza del prossimo discorso. C’è sempre una buona scusa per rinviare sempre più in là le politiche di redistribuzione e la conquista di nuovi diritti.

Il paradosso della situazione consiste nel fatto che, nonostante le grandi mobilitazioni del 2012, del 2013 e quella che è in preparazione per quest’anno, la rivendicazione nazionale è separata esplicitamente da quella sociale che è presente in maniera latente. Coloro che rivendicano l’indipendenza lo fanno nella maggioranza perché pensano che essa sarà sinonimo di più democrazia e più eguaglianza. È questo che permette di favorire il processo costituente dal basso e partecipativo che, ricordiamocelo, non è presente in alcun modo nell’agenda ufficiale.

In seno al processo indipendentista si intreccia un doppio conflitto. Il primo, in superficie, consiste nello scontro istituzionale tra l’apparato dello Stato (centrale) e il governo catalano. Il secondo, più profondo, consiste nell’opposizione tra la politica della piazza, della partecipazione e della democrazia reale, e l’altra politica, la politica dall’alto. Questo tipo di conflitto oppone apertamente il movimento popolare catalano a Mariano Rajoy (presidente dello Stato spagnolo e membro del Partito popolare). In maniera sotterranea, si rivolge anche contro coloro che vogliono gestire, nel migliore dei casi, il diritto alla decisione dall’alto e immettere questo processo in canali controllati, come se fosse un semplice atto formale contro la logica costituente e democratica. Bisogna contestare la doppia ragion di Stato, quella dello Stato spagnolo realmente esistente e quella dello Stato catalano inesistente. I due possiedono un potenziale anestetizzante. Combatterli esige lo scontro aperto con il primo, senza lasciarsi strumentalizzare dal secondo.

 

Crisi politica e riconfigurazioni

Subendo l’impatto congiunto delle politiche di austerità e del processo indipendentista, il sistema dei partiti catalano si è autodistrutto. I suoi due grandi pilastri – CiU (Convergenza e Unione, coalizione della destra nazionalista) e il Psc (Partito socialista catalano che è contro la consultazione), sono in crisi. Il secondo, senza alcuna credibilità sul piano sociale e nazionale, scivola verso il punto di non ritorno che ha già conosciuto il Pasok. Il primo, sebbene si trovi in una posizione migliore, soffre di un usura irreparabile, perché l’austerità lo divide e perché la sua credibilità nel processo sovranista è debole.

Differentemente dal sistema dei partiti (bipartisan) dello Stato spagnolo, dove il Partito popolare e il Psoe sono in discesa anche se non sono stati superati da alcuna forza emergente – nonostante che i due sentano sul collo il fiato di Podemos; in Catalogna la crisi di CiU e del Psc è più profonda. Questi due ultimi partiti hanno perso la direzione politica-elettorale. Tuttavia, proprio per la centralità del dibattito sulla questione nazionale, colui che beneficia della crisi politica, l’Erc (sinistra repubblicana catalana), è una forza che incarna un progetto di rottura sul piano nazionale, ma si situa nella continuità sul piano economico. Non è una forza contro l’austerità come lo è Syriza in Grecia o Podemos nello Stato spagnolo. È il grande paradosso della crisi politica catalana.

In questo contesto, è indispensabile ricercare un’ampia alternativa alle politiche sovraniste e all’austerità. La proposta difesa dal Processo Costituente di Arcadi Oliveres e di Teresa Forcades fin dall’aprile del 2012 è, in questo momento, più necessaria che mai. Di fronte al declino di CiU e del Psc e di fronte all’ascesa di Erc, manca all’appello un nuovo attore che possa trasformarsi in punto di appoggio della politica catalana e incarnare la critica alle politiche di austerità e alla politica tradizionale che ha fatto la sua irruzione il 15 maggio 2011.

Né Icv_EUiA ( Izquierda Unida catalana, coalizione dominata dal Partito comunista spagnolo, né Podemos, né la Cup (Candidatura di unità popolare), né lo stesso Processo Costituente, hanno di per sé la forza di suscitare da sole da sinistra un’alternativa che possa destabilizzare la politica catalana. E’ giunto il momento di individuare alcuni punti di convergenza e di lavoro comune. Attenzione, tuttavia, un nuovo soggetto di questo tipo non potrà nascere unicamente dall’addizione delle sigle. Esige, infatti, sia la convergenza tra le persone non organizzate e quelle delle organizzazioni esistenti. E, ancora più importante, questo avverrà solo se una tale “formazione” incarnerà una netta rottura con la politica tradizionale e la cultura istituzionale che ha fatto tanti danni alla sinistra, dalla Transizione ad oggi. Senza alcun dubbio dovranno predominare in un qualche blocco futuro e proposta convergente la dimensione della novità e quella della rottura.

Solo nella misura in cui sarà possibile elaborare un tale strumento politico nuovo la crisi del sistema politico tradizionale sarà completa e cederà il passo a un sistema di partiti originale. Sarebbe un disastro che non si elevi al di sopra dei cocci rimanenti di Ciu e del Psc una forza con un peso sociale, elettorale e istituzionale, e con un progetto per il paese che non passi attraverso l’obbedienza al mondo finanziario e alla Troika, che la nuova egemonia dell’Erc sia facilitata senza essere contestata da una sinistra frammentata in molteplici opzioni, senza alcuna vocazione ad affermarsi come maggioritaria. Per la prima volta, dopo decenni, coloro che desiderano non soltanto un cambiamento politico, ma anche un cambiamento del modello economico politico e sociale hanno la possibilità di giocare un ruolo importante nella politica catalana. Non è una cosa che capita sovente. E’ una cosa che era inimmaginabile solo tre anni fa. E ‘ una cosa che è ancora difficile da credere. Lasciare passare quest’occasione avrà un prezzo alla lunga ben più elevato che gli apparenti sacrifici e difficoltà riscontrate, a breve scadenza nel processo di costruzione delle convergenze.

 

Dentro o fuori

La consultazione del 9 novembre 2014 è lungi dall’essere una questione semplicemente catalana. Al contrario di ciò che postula il senso comune maggioritario in seno all’indipendentismo catalano, quello che avviene fuori dalla Catalogna è determinante. Senza alleati all’esterno, l’esercizio del diritto a decidere è ben più complesso e la pressione all’unità con i patrioti, i cui soldi sono piazzati ad Andorra, sarà ben più forte. E, d’altro canto, contrariamente a quello che pensa una buona parte della sinistra spagnola, il processo indipendentista catalano, lungi dall’essere un fastidio sgradevole, una causa sospetta di cui si preferisce non parlare, comporta, riflettendoci bene, la straordinaria possibilità di affliggere un certo colpo alla nave malconcia della Transizione. Un’occasione unica per aprire una nuova direzione definitiva all’Hispanic.

Bisogna dirlo e ripeterlo: coloro che vogliono ostacolare il diritto del popolo catalano a votare il 9 Novembre sono gli stessi che non hanno lasciato il popolo spagnolo decidere tra la monarchia e la Repubblica, gli stessi che fanno i tagli alla sanità e alla scuola, che hanno come priorità la salvaguardia delle banche rispetto a quella delle famiglie e che sono sommersi vicendevolmente dai casi di corruzione.

È precisamente sulla base di questa doppia comprensione strategica, in Catalogna come all’esterno della Catalogna, che deve nascere l’embrione di una volontà di libera coabitazione e di vicinanza così come un’alleanza tra i popoli sovrani di fronte al potere finanziario nazionale e internazionale. Contrariamente alle passioni in voga, non bisogna focalizzare la questione nazionale da un punti di vista identitario ed emotivo, quanto piuttosto da un punto di vista democratico e strategico. E’ qui che risiede la bussola che non ci farà perdere durante il cammino, sbagliare amici e avversari, le priorità e in questo modo fare il gioco di coloro che non vogliono cambiare o che vogliono che tutto cambi perché resti uguale.

Nessuno sa cosa succederà nel caso di uno scontro frontale tra le istituzioni dello Stato spagnolo e quelle Catalane. Ma può abbattersi una scossa ai danni dell’attuale malconcio regime e si possono aprire molte possibilità per le forze democratiche e anti-austerità in tutto lo Stato, a condizione che sappiano cogliere il tempo e non abbandonino l’iniziativa a coloro che agiscono per mantenere contro vento e maree il quadro politico e istituzionale traballante.

 

1L’11 settembre è la data scelta dai nazionalisti catalani per commemorare la perdita della “indipendenza catalana” avvenuta con la presa della città di Barcellona da parte del nuovo re Borbone, Filippo V, durante la guerra di Successione spagnola, l’11 settembre 1714. Questa data è stata attraversata da manifestazioni massicce nel corso degli ultimi anni (Ndr. A L’encontre)

2Jordi Pujol, 84 anni, figura “storica” della destra nazionalista catalana, già presidente della Generalitat dall’aprile 1980 al dicembre 2003, membro dello stesso partito di Mas, il Ciu. Egli è stato coinvolto in scandali di corruzione e di evasione fiscale tramite conti in Svizzera.