Tempo di lettura: 7 minuti

renzi-biciDopo i colpi del jobs act, sono arrivate le lacrime della legge di stabilità, due facce di una stessa medaglia, la medaglia del liberismo e del capitalismo: togliere ai poveri per dare ai ricchi, mentre il sistema sanitario viene aggredito da tutte le parti.

Se le norme del jobs act lasciano mano libera ai padroni nella gestione della forza lavoro, cioè sulla precarietà delle assunzioni, sulle modalità di sfruttamento nei luoghi di lavoro ed infine sulla totale libertà di licenziamento, la legge di stabilità realizza i “sogni” del presidente della Confindustria Squinzi, (gli incubi dei lavoratori) riducendo ancora le tasse alle imprese e taglieggiando la spesa pubblica e sociale.

La legge di stabilità è salita rapidamente dai 20 miliardi iniziali a 36 miliardi di euro, un costo inaccettabile per le classi popolari.

Infatti il primo strumento per leggere il significato economico e politico di questa legge è che essa arriva dopo anni e anni di austerità e di riduzione della spesa sociale; piove cioè violentemente sul bagnato, su una condizione di lavoro e di reddito delle larghe masse sempre più incerta e precaria. La caduta dei salari, l’inadeguatezza delle pensioni, 6 milioni di disoccupati, i dieci milioni di poveri, le fabbriche che chiudono, sono il diretto risultato delle scelte economiche della classe dominante negli anni scorsi.

A chi vengono dati i soldi dalla finanziaria e da dove arrivano le risorse? Chi perde e chi ci guadagna? Tutti i veleni della legge si capiranno meglio quando sarà depositata in parlamento, ma molte cose sono chiare.

A guadagnarci e di molto sono i padroni. Il taglio definitivo della tassa dell’Irap comporta loro un bel regalo di 5 miliardi nel 2015 e 6,5 miliardi a regime.

Non bisogna mai dimenticarsi che il governo Prodi e poi Letta avevano già sforbiciato ampiamente questa tassa sulle imprese, per una cifra annua corrispondente a 7,5 miliardi. Rispetto a dieci anni fa le imprese pagheranno allo stato ogni anno 14 miliardi in meno. Ecco una delle cause del deficit pubblico.

Inoltre non bisogna dimenticarsi che l’IRAP era la tassa istituita per contribuire a un adeguato finanziamento della sanità pubblica. Che cosa succederà ora….?

Ai padroni vengono poi regalati altri due miliardi attraverso l’abolizione dei contributi sui nuovi assunti per i prossimi tre anni. Chi assumerà lo farà a costo zero ed avrà a disposizione quella norma del Job Act che gli permette di licenziare liberamente i nuovi assunti entro tre anni. Anche da questo punto di vista si può capire perché Squinzi è così contento.

Renzi ci “spiega” che anche i lavoratori avranno il loro tornaconto, perché la nuova legge trasforma i famosi 80 euro in più in busta paga in una riduzione fiscale permanente. Renzi non dice però da dove arrivano questi soldi. Mentre per i padroni la riduzione fiscale è una posta solo attiva, per i lavoratori gli 80 euro comportano invece una pesantissima posta passiva.

In che cosa consiste? Consiste nel fatto che per finanziare la legge di stabilità ben 15 miliardi vengono reperiti con la spending review, cioè con pesantissimi tagli operati alla spesa pubblica centrale e ai finanziamenti alle regioni e enti locali.

Le previsioni parlano di 6,1 miliardi in meno per la spesa statale, 4 miliardi in meno per le regioni, 1,2 per i comuni e 1 per le province, che continuano a vivere se pure nella nuova forma antidemocratica. Gli stessi giornali borghesi ammettono che quando si è davanti a tagli di questa dimensione non si tratta di ridurre qualche spesa inutile, ma di tagliare nel corpo vivo della spesa sociale e dei servizi pubblici. [i]Nessuno parla di tagli alla sanità, ma è noto che la sanità è gestita dalle Regioni; impensabile che questa riduzione delle risorse non produca una ricaduta pesantissima sul settore sanitario. Il ministro dell’economia ha rivelato il gioco del governo dicendo: “Le regioni e i comuni possono sempre alzare le tasse”.

La maggioranza dei giornali si dimentica anche di dire quello che invece il “Fatto quotidiano” ricorda: che negli ultimi 4 anni le finanziarie hanno già ridotto complessivamente di 40 miliardi di euro i finanziamenti per le Regioni e Comuni. I risultati si vedono nel degrado di tutti i servizi; la giusta ribellione dei cittadini viene indirizzata verso le autonomie locali invece di rivolgersi alla fonte di queste scelte profondamente antipopolari.

Per padroni e ricchi questa riduzione dei servizi non fa problema; da sempre possono ricorrere ai servizi privati; anzi la distruzione della sanità, della scuola, della previdenza pubbliche serve a una parte dei capitalisti a fare soldi con questi business.

Il Sole 24 ore deve ammettere che tra i ministeri i più colpiti dai tagli saranno quello del lavoro e quello dell’istruzione (la ministra Giannini avrebbe limitato i tagli al suo dicastero a soli 700-800 milioni…..)

È il gioco delle tre carte: si strombazzano i 500 milioni stanziati per assumere una parte dei precari della scuola, mentre complessivamente si tagliano ancora le risorse a questo settore fondamentale della società. Vedremo se e quali saranno le riduzioni alle spese militari.

Stessa operazione con l’ASPI, cioè con il nuovo sussidio universale per i disoccupati per cui si stanzia un miliardo e mezzo dimenticandosi di specificare che esso sostituirà le diverse forme di cassa integrazione e di mobilità che garantivano di più i lavoratori dalle ristrutturazioni e dai licenziamenti.

L’operazione che fa il governo Renzi/Squinzi/Napolitano è quindi di elargire una elemosina (80 euro) con una mano, mentre con l’altra ruba dalle tasche (la spesa pubblica sociale)della classe lavoratrice risorse ben più consistenti.

Non meno vergognosa e pericolosa la manipolazione sulla liquidazione (TFR); ciascun lavoratore potrà richiederlo mensilmente in busta paga invece di riceverlo alla fine della attività lavorativa o quando cambia lavoro. Si vuole creare l’illusione nel singolo salariato di guadagnare di più quando ciò che gli viene dato sono già soldi suoi. E che succederà quando un lavoratore, andando in pensione scoprirà, qualche volta con sorpresa, di non poter più disporre di quel gruzzolo di garanzia, o peggio ancora, se tra qualche anno finirà licenziato, di non avere alcun margine economico per affrontare l’emergenza?

Poi ci sono alcuni paradossi. La legge di stabilità, a modo suo è costretta a riconoscere implicitamente che le norme europee che regolano le scelte economiche sono delle porcherie tali che qualche volta anche il governo più liberista e antipopolare non riesce a starci dentro.

Sono infatti previsti dalla ipotetica riduzione dello spread, cioè dalla riduzione degli interessi pagati sul debito ben 11 miliardi di minori spese. Al di là dell’incertezza di questi risparmi (vedremo cosa dirà la Commissione europea) si può però ricavare una ben precisa conclusione: il peso del debito è insopportabile, il tributo di sangue che viene garantito in proporzioni enormi alla finanza è inaccettabile e impedisce qualsiasi investimento per una politica economica che serva veramente gli interessi dell’insieme dei cittadini e delle cittadine. E’ un vampiro che succhia sangue senza fine dalle classi popolari per quel 10% di abbienti che continuano ad arricchirsi in barba alla crisi dei paesi e della società.

Un riconoscimento implicito alla follia della norma europea che prescrive il cosiddetto pareggio di bilancio (il nostro parlamento l’ha votato a larga maggioranza..) sta poi nel fatto che il governo Renzi rinvia al 2017 il percorso verso questo obbiettivo. Lo fa perché si sono resi conto che non si può volere subito tutto correndo il rischio di qualche ribellione popolare; un grande balzo in avanti nelle politiche di austerità alla greca è stato già fatto; se la società si disgrega e si divide ulteriormente, nei prossimi anni potranno fare ancora peggio. E’ bene saperlo.

Nello stesso tempo la legge di stabilità mostra la totale internità economica ed ideologica del governo alle politiche del capitale. Agli imprenditori Renzi ha detto: ” Vi ho tolto tasse e art. 18, ora assumete, che volete di più?” Non è dato sapere se il Presidente del Consiglio crede veramente a quello che dice. Di fronte a una crisi così grave, solo un illuso può pensare che togliendo ogni laccio e lacciuolo ai capitalisti questi si mettano a investire ed assumere a più non posso; nessun padrone si metterà a investire ed assumere lavoratori anche alle condizioni più favorevoli se le prospettive di mercato sono pessime e se i suoi prodotti non si riescono a vendere. È il capitalismo, bellezza.

In realtà l’unico soggetto che potrebbe cambiare le carte in tavola, sarebbe proprio lo Stato, perché è l’unico protagonista che potrebbe decidere di utilizzare grandi risorse e fare grandi investimenti per creare lavoro, per innovare prodotti in senso utile, per mettere in sicurezza un territorio che frana e si allaga, per valorizzare la cultura, per garantire a tutte e tutti servizi di qualità; per garantire cioè buona occupazione e salari decenti, alimentando in questo modo anche i consumi, quelli utili al buon vivere e non quelli di lusso.

Ma è proprio quello che il liberismo e i padroni temono come la peste. Tutto per i privati, a partire dalla risorse pubbliche; tutto in funzione dei privati per affermare il dominio del capitale sulla forza lavoro.

Da Berlusconi a Monti, da Letta a Renzi, ecco le diverse facce dei governi della borghesia, con cui si garantisce le rendite e i profitti.

Stanno rottamando i nostri diritti e le nostre condizioni di lavoro, di salario e quel welfare sociale che deve permettere a tutte e tutti di vivere decentemente e in sicurezza.

Dobbiamo essere noi a rottamare questo governo e i padroni.

Contro il Jobs Act e la legge di stabilità c’è una sola strada da percorre, quella della lotta e della mobilitazione, una lotta dura e generale. Ci sono molti segnali di resistenze e di lotta che si stanno attivando ed anche radicalizzando. Dobbiamo lavorare tutti insieme, forze politiche della sinistra, sindacati combattivi, per farle avanzare, e per risvegliare la cosiddetta opinione pubblica, cioè tutti gli strati dei lavoratori, precari, disoccupati.

Dobbiamo lavorare tutte e tutti perché le mobilitazioni già programmatiche convergano tra loro; non serve la somma di scioperi separati uno dall’altro, serve lo sciopero generale di tutte e di tutti insieme. Il problema non è quello per cui ogni apparato sindacale possa dire: “io ci ho provato, (e magari non ha neanche voluto farlo, ma solo mandare messaggi a qualcuno del governo e della sua maggioranza), ma non è stato possibile”. Quel che è necessario lo si può fare solo tutti insieme. Non si tratta di far vedere al governo e ai padroni che la CGIL è ancora in grado di mobilitare un poco e di fare una consistente manifestazione a Roma.

C’è il fuoco che brucia le case della classe lavoratrice; si tratta di suonare le campane e di fermare le fabbriche, gli uffici, i diversi luoghi di lavoro, dimostrare che si fa sul serio, dimostrare che la classe lavoratrice torna protagonista e che venderà cara la pelle.

 

[i] Un editorialista del Sole “4 ore va oltre proponendo subito che il Jobs Act si applichi anche ai dipendenti pubblici “non c’è nessuna ragione di discriminare a loro favore” e auspicando che si creino le condizioni anche per tagliare il “pubblico impiego”, cioè i lavoratori.