Sono state presentate lunedì le liste MPS-PC per le prossime elezioni cantonali. Una lista completa per il consiglio di Stato ed una cinquantina di candidati per il Gran Consiglio (vedi a destra). Obiettivo di questa partecipazione è quello di dare una rappresentanza sul piano politico a quella opposizione sociale che, seppur piccola, ha cercato di resistere alle politiche di austerità condotte dal governo e dalla maggioranza parlamentare.
In questo momento poi appare importante che questa lista possa rappresentare un’alternativa importante a due aspetti fondamentali che saranno al centro delle discussioni e che vedono tutti i partiti (da “destra” a “sinistra”) assai vicini in una sorta di unità cantonale dai tratti inquietanti.
Opporsi alle derive xenofobe
Il primo è quello della cosiddetta “priorità cantonale”. L’idea cioè che per combattere la crisi sociale sia necessario riconoscere una priorità (a livello occupazionale, economico e sociale) ai lavoratori e alle lavoratrici domiciliati sul territorio cantonale (nella migliore delle ipotesi: quando cioè questa “priorità” non viene declinata come una priorità nazionale, di passaporto). Chi propone questo non solo promuove una politica concretamente contraria a queste indicazioni, ma sa benissimo che si tratta di una politica assolutamente inattuabile. Ma l’obiettivo di costoro non è certo difendere i lavoratori “indigeni”; quanto piuttosto costruire, attorno alla figura dei frontalieri, un capro espiatorio della crisi sociale nella quale si trova il capitalismo svizzero e, di conseguenza, anche un già debole cantone come il Ticino. Così i responsabili delle disgrazie dei salariati che vivono in Ticino diventano i frontalieri, gli stranieri e non coloro che in questi anni sono stati responsabili delle scelte economiche e politiche del paese che hanno condotto ad una diminuzione dei salari e dei redditi, ad un aumento delle disuguaglianze, ad un peggioramento dei servizi pubblici e delle assicurazioni sociali, alla precarizzazione dell’occupazione e ad un peggioramento delle condizioni di lavoro: per non citare alcuni dei numerosi aspetti attorno ai quali potrebbe essere declinata la crisi sociale che viviamo.
Questa sorta di “rivincita” sociale ha trovato cristallizzazione politica nel voto ticinese del 9 febbraio, nelle numerose iniziative politiche espresse dalla destra (a cominciare dalle migliaia di firme che hanno sostenuto l’iniziativa popolare “Prima i nostri”) e nelle iniziative prese, purtroppo con il consenso di tutte le forze politiche ad esclusione dei rappresentanti della nostra lista, dallo stesso Parlamento: ricordiamo, tra le ultime, la decisione punitiva nei confronti dei frontalieri che si sono visti alzare il moltiplicatore comunale di imposta dal 72% di media al 100%.
La nostra presenza vuole essere un chiaro no a queste politiche xenofobe e reazionarie che hanno un solo obiettivo: dividere il fronte dei salariati, scatenare diffidenza e rancore tra i salariati: una situazione ideale per chi vuole impedire qualsiasi tentativo di resistenza e di risposta, oggi più che mai necessaria, da parte dei salariati. Una condizione ideale per il padronato che, evidentemente, non può che essere contento di questo orientamento. Un orientamento che vuole offrire ai salariati-elettori un miraggio, una soluzione semplicissima con la quale risolverebbero la loro difficile situazione. Una prospettiva tesa a guadagnare consensi tra salariati e popolazione disperata, pronta a scaricare su qualcuno ancora più disperato le responsabilità della propria situazione.
Difendere i salariati o le imprese?
Il secondo aspetto è quello di più stretta attualità: l’emergenza di una sorta di “unione sacra” a difesa delle imprese “messe sotto pressione” dalla decisione della Banca Nazionale Svizzera (BNS) di abbandonare, almeno ufficialmente, la difesa del tasso di cambio fisso euro/franco. Naturalmente si dà per scontato che la decisione del settembre 2011 (al momento in cui la BNS rese pubblica la sua decisione) sia stata la migliore e che grazie a quella politica le imprese abbiano potuto avviare un ciclo virtuoso (profitti, investimenti, occupazione) che oggi sarebbe gravemente in pericolo a causa del contrordine della BNS. Ed allora ecco fiorire le proposte per “aiutare” le aziende che, altrimenti, si sottintende, sarebbero costrette a licenziare, a pagare i salari in euro (quindi a diminuire i salari per i lavoratori frontalieri), ad aumentare l’orario di lavoro, etc.
E le proposte non mancano. In ambito fiscale ne sono già state avanzate alcune tese a permettere di spalmare su più anni le perdite e gli ammortamenti aziendali, così come una diminuzione delle imposte sugli utili aziendali; non estraneo a questo clima la decisione del ministro Zali di trovare un accomodamento con i gradi distributori sulla famosa tassa destinata ai cosiddetti grandi generatori di traffico; pure in questa direzione va il rilancio della questione delle aperture dei negozi che, si racconta, dovrebbero dare una mano alle difficoltà che il franco forte causerebbe al settore della vendita; infine immaginiamo verranno riprese tutte quelle misure (un gruppo di lavoro che coinvolge governo, padroni e sindacato è già stato allestito) già avanzate nel 2011 e che andavano nella stessa direzione di “aiutare” le imprese.
La nostra presenza alle prossime elezioni cantonali vuole quindi rappresentare una logica diversa da quelle qui esposte e che ci pare siano sostenute, con accenti più o meno forti, da tutti i partiti di governo. Unire i salariati, cercare di mobilitarli in difesa delle loro condizioni di vita e di lavoro : è questo il messaggio che cercheremo di mettere al centro di questa campagna elettorale.