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sciopero-treni-G 07-300x225Dopo la Francia e la Germania (dove il conflitto è tutt’altro che esaurito e riprenderà verosimilmente quanto prima) è l’Italia il paese dove con più insistenza i lavoratori delle ferrovie lottano conto la politica condotta dalle direzioni aziendali. Lo scorso 14 marzo si è tenuto l’ultima delle diverse giornate di lotta che hanno segnato gli ultimi mesi. Soldarietà ne ha parlato con Alessandro Pellegatta, macchinista e redattore di CUB Rail, una delle espressioni del sindacalismo di base.

Tra sabato sera, 14 marzo, e domenica 15 si è tenuto in Italia uno sciopero dei ferrovieri. Puoi dirci, brevemente, quali erano le rivendicazioni principali al centro della protesta e come tale azione si inseriva nella continuità delle lotte degli ultimi mesi?

Una vertenza complessa che dura da tempo. Le rivendicazioni sono appunto sempre le stesse nelle varie azioni di lotta indette dalle sigle di base. Le principali: la questione previdenziale (contro la legge Fornero sull’allungamento dell’età pensionabile che, ad esempio, per i macchinisti, significa un incremento di 8 anni); contro il recente Job Act (abbattimento delle tutele, licenziamenti più facili); contro l’accordo sulla rappresentanza firmato dalle confederazioni “ufficiali” che di fatto mina la possibilità per le sigle di base di presentarsi alle elezioni per il rinnovo dei rappresentanti; per il “riordino normativo” (vertenza per migliorare la formazione/informazione dei lavoratori che svolgono mansioni di sicurezza); per l’orario di lavoro, la sostenibilità dei turni di lavoro.

 

Questo sciopero è stato indetto dal sindacalismo di base. Puoi precisare meglio le dinamiche interne a questo sindacalismo, le critiche che esso rivolge al sindacalismo, chiamiamolo così, ufficiale e concertativo. In occasione di questo sciopero come si sono comportati i sindacati concertativi?

Il mondo sindacale di base in Italia è estremamente ed irrazionalmente frammentato. Ciò fa sì che non si riesca a costruire un’alternativa credibile alle confederazioni “ufficiali”, che di conseguenza continuano a concertare col padronato coi risultati che vediamo (e subiamo). Nei luoghi di lavoro e negli impianti dove noi attivisti del sindacalismo di base siamo presenti ma soprattutto “non dormienti”, nonostante la nostra esclusione dalle trattative con le imprese, portiamo avanti pratiche, azioni comportamentali dal basso, codici etici, metodi d’azione che, grazie ad un costante riferimento e rapporto con la base, si radicano nel corpo lavorativo e diventano un’alternativa inconciliabile al sindacalismo “ufficiale”, dai funzionari ai “ras” locali. Tutto questo fa sì che ci piova regolarmente addosso l’accusa di “estremismo”, il che a volte ci aliena qualche simpatia “moderata”; al tempo stesso spiega la situazione attuale, che vede una realtà a macchia di leopardo, con impianti che rispondono alla grande allo sciopero ed altri dove prevale la rassegnazione.
I sindacati concertativi? E chi li ha visti? Le loro bacheche sono vuote da tempo. Qualche singolo loro aderente e rappresentante lotta con noi, accolto a braccia aperte, non siamo settari.

 

Quale bilancio, complessivamente, si può trarre di questo sciopero? E quali prospettive intravvedi per il prossimo periodo?

La conclusione più semplice e più ovvia: uniti si vince. Nelle Ferrovie sono presenti tre delle innumerevoli sigle di base: oltre a noi della Cub ci sono il Cat e l’Usb. Se i nostri “vertici” (che parola brutta!) litigano, noi rispondiamo dal basso con le sinergie. Quando ero a Bellinzona con voi la sera del 14, a sciopero iniziato sono partito in auto per recuperare alcuni scioperanti genovesi rimasti a Milano. Ci siamo incontrati di notte, a metà strada, noi milanesi della Cub e i genovesi del Cat. Abbracci, sfottò reciproci e un’unità che si cementa. Dal basso. Concludo ribadendo: senza lotta non c’è dignità.